Europa e mondo

Chance transfrontaliere per camici e pazienti: libera circolazione ma senza regole condivise

di Enrico Reginato, presidente Fems (European Federation of Salaried Doctors )

Il trattato dell'Unione europea lascia ai Paesi membri la più completa autonomia nell'organizzazione dei Servizi sanitari nazionali. Contemporaneamente, uno dei cardini del trattato è rappresentato dalla libera circolazione di persone e di merci. Nel caso specifico del mondo sanitario, assistiamo a una significativa migrazione di professionisti della Salute e di pazienti che vanno alla ricerca, in altri Paesi, di trattamenti che non possono, o ritengono di non poter ottenere in Patria nei tempi e nella qualità auspicata. Nell'Unione europea il Servizio sanitario nazionale è primariamente considerato come un servizio pubblico al cittadino, ma il funzionamento nei singoli Paesi membri è molto difforme, per diversi motivi, dalla disponibilità del finanziamento all'organizzazione e struttura del Sistema. Non esistono molte norme europee sovranazionali che portino a una maggiore omogeneizzazione, come a esempio la definizione di standard assistenziali che prevedano un rapporto appropriato fra numero di pazienti e dotazione di personale, o relativi alla dotazione tecnologica, o la presenza di specialità in rapporto alla popolazione.
Non esistono neppure regole comunitarie per le condizioni di lavoro, fatta eccezione per poche regole più generali, come la direttiva sul tempo massimo di lavoro (che tuttavia ai medici italiani non è ancora applicata e non lo sarà fino alla fine del 2015). Esistono regole sulla formazione e sullo sviluppo professionale, ma non esiste un reale controllo sulla loro effettiva applicazione. Esemplare è il caso della condanna dell'Italia da parte della Corte europea di giustizia per la mancata applicazione, nel 1983, della direttiva sulla formazione specialistica post-lauream, che sta costando molto alle casse dello Stato.
Non abbiamo neppure un metodo europeo comune di valutazione degli esiti. Le disparità esistenti fra i vari Paesi possono, quindi, essere motivo della libera circolazione garantita dal trattato. La migrazione dei professionisti in cerca di condizioni migliori di lavoro è significativa e i flussi sono noti. La carenza di personale sanitario in Paesi dove le condizioni di lavoro sono migliori favorisce la migrazione. In Francia circa il 24% dei medici ospedalieri è straniero, la maggior parte di essi è rappresentata da medici rumeni. Certamente Paesi come la Slovacchia, che presenta uno dei più bassi livelli stipendiali, ma dove una recente Legge nazionale punisce la protesta nel mondo sanitario (lo sciopero nella Sanità è considerato come emergenza nazionale, nelle emergenze nazionali non si sciopera, di conseguenza scioperare nella Sanità è reato) fino alla sospensione per cinque anni dalla professione, sono destinati a una forte mobilità in uscita. Ma l'Italia non è messa bene: a fronte di un atteso numero annuo di diecimila laureati in Medicina, la formazione post-lauream, di pertinenza esclusiva dell'Università, unico caso in Europa, sarà consentita a poco più della metà dei laureati. Dato che, in Italia, il possesso del titolo di specializzazione è indispensabile per accedere alla professione, per i neolaureati esclusi sarà inevitabile la migrazione verso Paesi che ben volentieri, e da anni, reclutano medici provenienti dall'estero. Abbiamo fatto l'esempio della Francia, ma Germania, Regno Unito e Danimarca adottano la stessa politica. Secondo le previsioni della Commissione europea, nel 2020 si prevede un deficit comunitario di medici pari al 13% (stessa percentuale anche per dentisti e infermieri), quindi i laureati italiani esclusi dal nostro Sistema nazionale, che abbiano voglia di farlo, non avranno sicuramente difficoltà a ottenere un posto di lavoro ben retribuito, immediatamente dopo la laurea, con ottime prospettive di carriera, in un altro Paese della Ue, in virtù del ricordato diritto alla libera circolazione.

L'unico vero limite sarà costituito dalla conoscenza della lingua e un servizio molto utile da parte dell'Università italiana sarebbe quello di rendere obbligatori corsi di lingua nei più diffusi idiomi europei, come attività di orientamento alla futura professione. Per il nostro Paese, quindi, al deficit medio europeo previsto, dovrà essere aggiunta la migrazione obbligata. Resta il problema su chi fornirà l'assistenza sanitaria dopo che nel decennio a partire dal 2015 è previsto il pensionamento di settantamila ospedalieri, pari al 70% della forza lavoro medica attualmente in servizio. Per quanto riguarda la migrazione dei pazienti, essa è legata, in molti casi, alle esistenti liste d'attesa, che sono assenti in alcuni Paesi come Germania, Francia e Belgio, grazie alla struttura e all'organizzazione dei rispettivi servizi nazionali.
Complessivamente, a diversi sistemi sanitari, corrispondono diversi risultati. Non esiste ancora un organo ufficiale europeo che valuti il funzionamento dei sistemi sanitari nazionali, anche se recentemente la Commissione europea, con la comunicazione Com(2014) 215, sembra voler intervenire sulla capacità degli Stati membri di fornire a tutti un'assistenza sanitaria di alta qualità, con una serie di iniziative con le quali l'Unione può sostenere i responsabili nazionali. Esiste tuttavia un'organizzazione indipendente, Health Consumer Powerhouse, che pubblica annualmente una classifica dei sistemi sanitari europei basata su una serie di variabili: diritti e informazione dei pazienti, accessibilità, esiti, livello dei servizi, prevenzione e farmaci.
Purtroppo l'Italia scende continuamente nella classifica e nel 2014 è al diciassettesimo posto fra le Nazioni della Ue, ma se mettiamo nella classifica anche Norvegia, Svizzera, Islanda e Macedonia (!), l'Italia è al 21.mo posto. Secondo la citata comunicazione della Commissione «I sistemi sanitari dell'Ue sono soggetti a una crescente interazione... Rafforzando la cooperazione tra i sistemi sanitari possiamo migliorare il loro funzionamento per far fronte alla crescente mobilità dei pazienti e degli operatori sanitari». La Fems, ottenendo immediata collaborazione da parte dell'Aemh (Association européenne des Médecins des hôpitaux - European association of senior hospital physicians), dell'Anaao e della Regione Toscana, ha ritenuto utile organizzare a Firenze, il 13 febbraio, un incontro dei rappresentanti sindacali e ordinistici di un numero significativo di Paesi della Ue per mettere a confronto le loro organizzazioni sanitarie nazionali. A diversi sistemi corrispondono diversi risultati e il raffronto fra loro costituisce un aiuto indispensabile per il miglioramento dei sistemi nazionali.