In Parlamento

Commissione errori della Camera: 570 casi di malasanità sotto la lente. La relazione finale

Incongruenze evidenti, come quella relativa al rapporto tra posti letto e personale medico, in cui spesso la prima cifra è più bassa, paradossalmente, della seconda. Spesa sanitaria ancora troppo elevata con particolare incidenza del costo del personale che nel 2011 si attesta al 32,2%. Debiti verso i fornitori che producono interessi moratori che incidono negativamente sui risultati d'esercizio.

Errori sanitari che mostrano un'Italia divisa, in cui regioni in cui si spende di più per la sanità sono anche quelle in cui la stessa è di peggior qualità. Sono le maggiori criticità riscontrate dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli errori e i disavanzi sanitari, in particolare nelle Regioni sottoposte a piani di rientro e che emergono dalla relazione finale presentata oggi.

Oltre a un'indagine sulla domanda di salute degli italiani, con particolare riferimento alla necessità di investire maggiori risorse nelle cure delle malattie croniche e in una migliore e più diffusa prevenzione di patologie tumorali, la relazione mette a fuoco le problematiche di alcuni Regioni. Per quanto riguarda la sanità campana, risultano gravissimi alcuni elementi emersi: incarichi irregolarmente ricoperti e conferiti senza pubblico concorso presso molte aziende sanitarie locali e acquisizione di beni senza il rispetto delle procedure di evidenza pubblica presso l'ospedale di Sorrento, come segnalato dalla Commissione alla magistratura inquirente.

In Sicilia l'inchiesta condotta ha evidenziato il permanere di gravi criticità finanziarie e della situazione fortemente debitoria della maggior parte delle aziende sanitarie, in particolare quella di Messina, unite all'effetto annuncio di misure e interventi non realizzati, come la ristrutturazione della rete ospedaliera, i Pta (o medicina territoriale) e la mancata costruzione dell'Utin dell'ospedale Bambino Gesù di Taormina, ancora sprovvisto di un reparto di terapia intensiva neonatale a danno dei piccoli pazienti del reparto di cardiochirurgia.

A essere interessati da fenomeni di malagestio, anche regioni dall'assistenza sanitaria mediamente di buon livello, come la Toscana, dove il disavanzo della Asl n. 1 di Massa, pari a 1.500.000 euro ha fatto emergere logiche politiche e interessi di carriera vertenti sulle aziende sanitarie, divenute in alcuni casi centrali di creazione di consenso.
Tra le altre regioni oggetto di indagine il Lazio, la Puglia, il Piemonte, Liguria.

«Una preoccupazione diffusa rispetto allo stato di salute del nostro Sistema sanitario nazionale spinge il cittadino a rivolgersi al privato o si traduce in una mobilità sanitaria elevatissima, ulteriore aggravio di spesa per le regioni più povere, in particolare nel caso ad esempio della procreazione medicalmente assistita», ha detto il presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta, Antonio Palagiano. «Crescono le denunce per malpractice e, di conseguenza - ha aggiunto - cresce la medicina difensiva da parte dei medici che cercano così di autotutelarsi, visto che il sistema assicurativo spesso preclude loro la possibilità di stipulare polizze. Un problema evidenziato di recente da ostetrici e ginecologi italiani, che subiscono una mancanza di politiche di tutela nei loro confronti, al punto da esser spinti ad uno sciopero, mai verificatisi in precedenza».

La malasanità. In Italia, in media, ogni mese si contano circa 13 casi di presunta malasanità che finiscono sotto la lente d'ingrandimento della Commissione. Analizzando nel dettaglio la tabella della Commissione si scopre che 261 decessi sono legati a presunti errori medici e 139 a inefficienze di vario tipo. Ma il dato che balza agli occhi è un altro: circa la meta' del numero totale dei decessi (400) si è registrata in due soleregioni: Calabria (87) e Sicilia (84).
L'analisi, se da una parte fa emergere il capillare lavoro svolto dalla Commissione, dall'altra mostra il lato sinistro della sanità nazionale: su 570 casi monitorati, ben 117 si sono verificati in Sicilia, 107 in Calabria, 63 nel Lazio, 37 in Campania, 36 in Emilia Romagna e Puglia, 34 in Toscana e Lombardia, 29 in Veneto, 24 in Piemonte, 22 in Liguria, 8 in Abruzzo, 7 in Umbria, 4 nelle Marche e Basilicata, 3 in Friuli, 2 in Molise e Sardegna, 1 in Trentino.

Anche per quanto riguarda i decessi intesta alla classifica sono Calabria e Sicilia. Tra gli episodi all'esame della Commissione errori, i morti legati a presunti (finché la magistratura non li accerta) casi di malasanità in terra calabrese sono stati 87, in Sicilia 84. Seguono il Lazio con 42 morti, Campania 30, Emilia Romagna 28, Puglia 25, Toscana 22, Piemonte 18, Veneto 16, Liguria 14, Lombardia 13, Abruzzo 8, Basilicata e Umbria 3, Sardegna e Friuli 2, Trentino, Marche e Molise 1.

Gli episodi di malasanita' non sempre pero' hanno a che fare con l'errore diretto del camice bianco. Spesso sono figli di disservizi, carenze, trutture inadeguate. Tutte lacune del Ssn che la Commissione cataloga come 'altro'. Su 186 casi totali registrati in tutto il Paese (che potrebbero aver causato 139 vittime), 45 riguardano gli ospedali siciliani, 28 le strutture del Lazio, 20 quelle della Calabria. E ancora: 17 casi si sono verificati in Emilia Romagna, 15 in Puglia, 10 in Lombardia, Veneto e Campania, 8 in Piemonte, 7 in Liguria e Toscana, 3 in Abruzzo, 2 in Sardegna, 1 a testa in Friuli, Marche, Molise e Basilicata.

Ticket: il rischio franchigia. L'ipotesi di eliminare in sanità ticket ed esenzioni introducendo invece un meccanismo di franchigia proporzionale al reddito lordo «appare tuttavia da verificare» perchè potrebbe causare «l'impossibilità di un trattamento tempestivo, risolutivo e poco costoso, e l'aumento delle possibili complicazioni, delle eventuali possibilità di contagio e della generale morbilità», scrive la Commissione.
«Così impostato questo sistema - spiega la Commissione - dovrebbe frenare maggiormente i primi accessi al sistema, mentre non determinerebbe alcun limite agli accessi più costosi o più frequenti, basandosi sull'ipotesi che l'inappropriatezza stia più tra i primi che tra i secondi. Se, tuttavia, a una migliore analisi tale impianto dovesse risultare come capace di orientare positivamente la domanda, è indubbio che la sua attuazione potrebbe essere uno strumento efficace per garantire la sostenibilità del sistema, compatibilmente con la salvaguardia degli imperativi etici che lo contraddistinguono».

Secondo la Commissione parlamentare «è necessario poter garantire ai cittadini l'accesso alle cure attraverso una partecipazione solidaristica e progressiva alle spese, evitando il più possibile gli effetti negativi della compartecipazione ai costi mediante ticket standardizzati».

«Una tale politica basata sull'efficacia e sulla sostenibilità dovrebbe essere capace di orientare la domanda di salute in senso virtuoso, limitando i fattori di distorsione legati alla richiesta di prestazioni superflue, senza ostacolare l'accesso al sistema di coloro che delle cure mediche hanno bisogno, ma che, al contempo, incontrano maggiori ostacoli nel farsi carico dei costi aggiuntivi».

«Esigenze di carattere etico impongono, infatti, la necessità di utilizzare le compartecipazioni al costo dei servizi non solo come fonte di finanziamento delle prestazioni, ma anche come strumento di governo del sistema, utile a contenere la domanda di prestazioni inappropriate e con bassa efficacia, senza che venga invece pregiudicata anche la domanda di prestazioni sanitarie con elevata produttività in termini di salute», conclude la Commissione.

Medici&posti letto. Nelle Regioni con i conti della sanità in rosso il rapporto tra medici e posti letto mostra delle «incongruenze evidenti» e il confronto con le regioni del Nord è impietoso: si passa da circa 6 medici ogni 10 posti letto effettivi in Friuli Venezia Giulia, provincia autonoma di Trento e Marche, ai 12 camici bianchi ogni dieci posti letto in Sicilia; 11,8 in Basilicata; 11,1 in Calabria. E non va meglio il Lazio, con 11,3 medici ogni 10 posti letto, secondo la relazione conclusiva della Commissione.

«In sostanza - spiega la Commissione nella sua relazione - in base ai questionari pervenuti, la Sicilia sembra evidenziare un numero di dipendenti medici, ogni dieci posti letto effettivi, pari al doppio di quelli presenti in Friuli, nella provincia di Trento e nelle Marche». Presentano invece valori vicini alla media nazionale (otto medici per dieci posti letto) la Toscana, l'Emilia Romagna e l'Abruzzo.

«E' chiaro che, se per far funzionare lo stesso numero di posti letto ci sono realta' regionali che utilizzano risorse umane doppie, cio' non potra' che far lievitare in maniera esorbitante la spesa sanitaria senza aggiungere niente ad appropriatezza ed efficacia delle cure», dichiara in merito il presidente della Commissione, Antonio Palagiano. «Emerge evidente anche da questo dato - prosegue - lo scarto regionale tra Nord e Sud, che parla di un Paese diviso da una sanità ancora disomogenea. Un'Italia federale non può essere un'Italia che vede garantito il diritto alla tutela della salute in modo diverso da Regione a Regione. Di fronte alle sfide che il federalismo ci prospetta, il primo, imprescindibile, punto da cui partire, è la necessità di garantire ad ogni cittadino italiano, pari accesso alle cure».