In Parlamento

Dl svuotacarceri, la commissione Giustizia cancella la norma salva-stalker e aumenta la pena da quattro a cinque anni

di Manuela Perrone

Torna la custodia cautelare in carcere sia per il reato di stalking, grazie all'aumento da quattro a cinque anni della pena prevista, sia per il finanziamento illecito ai partiti, ma per quest'ultimo solo se il giudice lo riterrà necessario. Lo prevedono gli emendamenti approvati in commissione Giustizia alla Camera al testo del decreto legge "svuotacarceri" , che dovrebbe essere votato in aula lunedì forse con la fiducia del Governo. Le modifiche sono state proposte da tutti i gruppi e approvate all'unanimità, anche se sul finanziamento illecito il Pdl si è astenuto.

Contro la norma introdotta al Senato (presentata da Lucio Barani, del gruppo Grandi Autonomie e Libertà, e avallata dal Governo) erano insorti in molti. La stessa commissione Affari sociali, nel parere approvato ieri (leggi il testo ), aveva posto come condizione per il "sì" al testo proprio quella di espungere l'emendamento Barani oppure di cambiare il Codice penale aumentando da quattro a cinque anni il massimo della pena prevista per l'«odioso» reato di stalking. Un mezzo per non farlo rientrare nella rosa di quelli per cui la misura cautelare è cancellata.

Ad aprire alla soluzione della modifica del Codice penale era stato il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, due giorni fa: «La custodia in carcere per il reato di stalking non si può eliminare. Per questo è giusto prevedere un innalzamento delle pene per questo tipo di reato». Ferri ha difeso la ratio dell'emendamento: «La custodia cautelare per reati punibili con un minimo di cinque anni, così come previsto dalla norma modificata in Senato al decreto svuotacarceri, ha sicuramente dei vantaggi in quanto evita gli eccessi nel ricorso alla custodia cautelare restringendo il carcere a reati più gravi e di maggiore pericolosità sociale, ma non si può pensare di risolvere il sovraffollamento degli istituti penitenziari a svantaggio delle vittime di un reato così odioso».

Il biasimo per una volta è stato pieno e trasversale, dalla Lega al M5S. E si è levata anche la voce delle donne di Se Non Ora Quando , il movimento nato nelle piazze il 13 febbraio 2011, che proprio oggi si erano appellate alla commissione Giustizia perché sanasse una «palese ingiustizia», «indegna di un Paese civile». Snoq non ha dubbi: «Apprezziamo lo sforzo congiunto di tutte le forze parlamentari che già in tal senso si erano mosse in occasione della ratifica della Convenzione di Istanbul. Ora bisogna andare avanti e non abbassare mai la guardia su un reato la cui pericolosità sociale ci viene raccontata da una quotidiana cronaca degli orrori. Siamo solo all'inizio, la violenza contro le donne rimane un'emergenza e il contrasto alla violenza una priorità nell'agenda politica».