In Parlamento

Amedeo Bianco (Fnom): «Ecco il mio Ddl sulla responsabilità professionale»

di Barbara Gobbi

In fatto di gestione del rischio medici e aziende non sono all'anno zero. Anzi. Eppure il grande "contenitore" della responsabilità professionale, che chiama in causa strutture, assicurazioni, camici bianchi, pazienti, giudici e tribunali ha decisamente bisogno di una sistemata. Ne è convinto il presidente della Fnomceo Amedeo Bianco che, nella doppia veste di leader dei medici e di neo senatore Pd, ha tutta l'intenzione di provarci. Come, lo racconta in questa intervista rilasciata in esclusiva a questo sito (v. anche l'esclusiva sul riordino delle professioni previsto dall'omnibus Lorenzin ). Incassato l'avallo della Federazione in occasione di un Consiglio nazionale straordinario ad hoc, Bianco sta ora lavorando a un Ddl - ennesimo tentativo di sistematizzare la materia - che presenterà al più tardi a settembre.

Presidente (e senatore) Bianco, i tempi sono finalmente maturi per uno nuovo progetto di legge sulla responsabilità professionale?
Sicuramente c'è ormai grande consapevolezza delle criticità poste dal tema. Ma ora la scommessa, a livello parlamentare, sta nel condividere l'impostazione delle soluzioni possibili. La mia opinione è che si debba assolutamente andare oltre gli interventi "spot", che fino a oggi quanto a proposte di legge ben poco hanno prodotto.

Quali sono i nodi che il suo Ddl affronterà?
Basta leggere l'ultimo rapporto Ania, che pur fornendo un punto di vista necessariamente di parte, mette a fuoco aspetti di cui ogni progetto di legge sistematico non potrà che tenere conto. Il quadro attuale è molto complesso ma possiamo tracciare quattro priorità: innanzitutto servono strumenti utili ad allentare la sinistrosità di strutture e professionisti, in difficoltà anche per la crisi che ha ridotto drasticamente le risorse disponibili. Però l'impegno - che pure è evidente - delle strutture da solo non basta, e qui passiamo al secondo punto: l'urgenza di riequilibrare un atteggiamento giurisprudenziale che oggi ha portato a operare un'inversione dell'onere della prova, in totale favore del presunto danneggiato ricorrente.

Può chiarire meglio questo punto?
Il problema è che in Italia la strutturazione della responsabilità in ambito civile è stata largamente abbandonata dal legislatore negli ultimi lustri, per cui tutta l'evoluzione della responsabilità professionale è stata delegata a un'interpretazione della giurisprudenza che in quindici anni ha portato a una trasformazione della responsabilità da extracontrattuale a contrattuale. Una situazione che dilata all'infinito i tempi in cui si può inoltrare una richiesta di risarcimento e che, nel giudizio, opera l'inversione dell'onere della prova. Al punto che sta diventando davvero difficile non condannare una struttura o un medico. Serve ritrovare un giusto equilibrio, fermo restando il buon diritto di ogni cittadino che si ritenga danneggiato a essere tutelato. Ancor più problematico, poi, è il versante penale...

E siamo al terzo elemento che affronterete nel Ddl...
Va assolutamente definita e delimitata l'area dei comportamenti colposi che hanno rilievo penale. Nel codice penale non esiste il concetto di colpa grave: anche qua va fatto uno sforzo per capire quali siano gli elementi di colpa che effettivamente possono definire un profilo penale: non è possibile entrare in sala operatoria non sapendo come se ne esce.

Quarto punto?
Andrebbero sfruttati appieno gli strumenti esistenti per la classificazione del danno in ambito civilistico. Le tabelle di riferimento per il danno biologico, operative da 7 anni, sono ancora sotto-utilizzate ma sarebbero molto utili a stabilire con maggiore certezza i riferimenti per un risarcimento. A valle, invece, è opportuno partire da una seria mappatura di rischi.

Come la intenderebbe, la mappatura?
Come declinata nelle singole realtà, in una determinata struttura e contesto. Mi riferisco a una qualunque struttura che eroghi prestazioni sanitarie: va monitorata strettamente per tipo di attività svolta, casistica e contesto, così da poter arrivare a capire qual è il rischio e tarare misure di prevenzione e interventi.

Su questo punto siamo all'anno zero?
Assolutamente no e va detto con forza: l'attenzione delle aziende sta crescendo e l'indice di sinistrosità, stando agli ultimi dati, è stabile se non in leggere flessione. Lo confermano sia dall'Ania che da Regione Lombardia, dove le proiezioni 2013 parlano di un calo pari all'8-9%. Idem per la medicina difensiva, che non porta con sé quei costi "monstre", fino a 14 miliardi, di cui spesso si parla. Certo, esiste un problema di comportamenti difensivi. Ma i professionisti, nonostante tutto, le responsabilità se le prendono.