In parlamento

Il diabete mellito dalla prevenzione alla cura. Relazione della Salute al Parlamento

La prevenzione primaria deI diabete si identifica con la prevenzione dell'eccesso ponderale. È possibile tenere sotto controllo l'epidemia di obesità e invertirne l'andamento attraverso azioni complessive, che intervengano sui determinanti sociali, economici ed ambientali degli stili di vita.

E' questa una delle azioni principali indicate nella relazione al Parlamento sullo «Stato delle conoscenze e delle nuove acquisizioni in tema di diabete mellito», appena inviata alle Camere dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin.

Le azioni indicate però, per avere efficacia, devono - secondo la relazione - prevedere il coinvolgimento attivo di settori della società esterni al Sistema sanitario.

La prevenzione
Si tratta, infatti, si legge nella relazione, di un problema di Sanità pubblica la cui soluzione non può essere demandata esclusivamente al sistema sanitario, ma che necessita di interventi che siano il più possibile trasversali e intersettoriali, con il coinvolgimento di molti altri soggetti istituzionali e della società civile (ministeri, Comuni, Province, associazioni professionali e di categoria, associazioni dei consumatori, produttori di alimenti, pubblicitari, mass media, ecc.) così come raccomandato dall'Unione Europea (Ue) e dall'Oms.

Per questo la Sanità pubblica deve affrontare il tema del soprappeso e dell'obesità attraverso la definizione di una strategia globale, tenendo conto di alcuni elementi fondamentali:

I) la prevenzione dell'obesità non può essere di competenza esclusiva del Sistema sanitario, ma deve essere espressione di uno specifico impegno di tutte le Istituzioni;

2) gli interventi da attuare devono essere finalizzati ad un cambiamento socio-culturale, perché l'obesità e le malattie ad essa correlate sono problemi di salute, ma gli interventi utili alla loro soluzione sono da attuarsi, nella larga maggioranza dei casi, aI di fuori del mondo sanitario;

3) per modificare i comportamenti individuali nei confronti dell'alimentazione e dell'attività fisica, occorrono politiche che aiutino e rendano possibili le scelte personali più salutari in quanto i soli interventi individuali non producono effetti duraturi nel campo della promozione di stili di vita sani, se non sono accompagnati da tutta una serie di modifiche ambientali, strutturali e socio-culturali, che consentano il mantenimento dei comportamenti appena acquisiti;

4) è necessario elaborare programmi di azione che impegnino gli srakeholder in interventi di documentata efficacia, coinvolgendo tutti i soggetti della Società civile (Istituzioni pubbliche, Associazioni di cittadini e consumatori, produttori, distributori e rivenditori di beni di consumo, mondo dello sport, pubblicitari, ecc.) in un processo di cambiamento;

5) i decisori istituzionali e gli operatori di Sanità pubblica devono farsi promotori di un'azione di advocacy in favore della salute in tutti i settori della società civile.

Per contrastare l'epidemia di obesità è necessario investire nella prevenzione, soprattutto attraverso un approccio innovativo alla "salute", che non può più essere responsabilità solo del sistema sanitario, ma deve diventare obiettivo prioritario per tutti i settori del Paese.

Le "politiche intersettoriali" per la prevenzione dell'obesità devono avere 2 obiettivi:

1. creare le condizioni per favorire scelte alimentari nutrizionalmente corrette;

2. orientare le politiche per uno sviluppo dell'ambiente urbano che incoraggi l'attività fisica.

E gli strumenti che la relazione indica sono il Piano Nazionale della Prevenzione e il Programma nazionale «Guadagnare Salute: rendere facili le scelte salutari», il Piano nazionale sulla sulla malattia diabetica, approvato a dicembre 2012 in Stato-Regioni (VEDI ).

Le complicanze del diabete
C'è poi la prevenzione di evoluzione e complicanze del diabete.
Per questo nell'assistenza alle persone con diabete, secondo un modello di Gestione Integrata, elementi essenziali sono:

- l'adozione di un protocollo diagnostico-terapeutico condiviso da tutti i soggetti interessati. Il protocollo di cura concordato dovrebbe essere adattato alle singole realtà attraverso l'individuazione dei compiti e dei ruoli che ciascun operatore sarà chiamato a svolgere nell'ambito del percorso di cura stabilito;

- la presa in carico delle persone con diabete in maniera collaborativa tra medici di medicina generale e team diabetologico;

- la condivisione del piano di cura personalizzato e il coinvolgimento attivo delle persone con diabete nel percorso di cura;

- la valutazione periodica secondo il piano di cura adottato, finalizzata al buon controllo metabolico, alla prevenzione e alla diagnosi precoce delle complicanze;

- la partecipazione attiva delle persone con diabete nella gestione della malattia, attraverso programmi di educazione e di supporto;

- l'effettuazione, da parte di tutti gli operatori interessati in maniera condivisa e collaborativa, di interventi di educazione sanitaria e counselling per le persone a rischio e le persone con diabete rivolti, in particolare, all'adozione di stili di vita corretti e all'autogestione della malattia;

- la raccolta dei dati cImici delle persone con diabete, in maniera omogenea da parte di tutti gli operatori interessati, per consentire valutazioni di processo e di esito.

L'epidemiologia del diabete
In Italia, in base ai dati Istat, nel 2013 si stima una prevalenza del diabete noto pari al 5,4% (5,3% nelle donne, 5,6% negli uomini) pari a oltre 3 milioni di persone, con un trend crescente nell'ultimo decennio
La prevalenza aumenta al crescere dell'età fino ad un valore di circa il 200/o nelle persone con età superiore a 75 anni.

Inoltre, secondo i dati dell'Osservatorio epidemiologico cardiovascolare (I-Iealth Examination Survey 2008-2012), tra le persone di età compresa tra 35 e 69 anni circa il 3% (2% delle donne e 4% degli uomini) ha il diabete ma non lo sa.

Anche nel nostro Paese sono, poi, riscontrabili diseguaglianze nella gestione della patologia diabetica e nell'accesso ai servizi sanitari. I risultati di uno studio condotto nel 2006 dalla Commissione regionale per l'assistenza diabetologica del Piemonte mostravano come i diabetici con licenza elementare riportavano un rischio di subire un ricovero in emergenza o non programmato superiore del 90% rispetto ai laureati (al netto di alcuni fattori di rischio diversamente distribuiti tra i due gruppi).
Tali dati sono sostanzialmente simili a quelli rilevati dal Sistema PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), programma continuo di sorveglianza nella popolazione italiana di età 3 5-69 anni sui principali fattori di rischio comportamentali (sedentanetà, scorretta alimentazione, fumo, alcol, rischio cardiovascolare, sicurezza domestica, screening oncologici, ecc.), affidato dal Centro nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute al Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) dell' Istituto Superiore di Sanità (155).

Nella popolazione con diabete intervistata nel periodo 2009-2012 è presente un'alta prevalenza di fattori di rischio cardiovascolare: il 550/a è iperteso, il 45% ha alti livelli di colesterolo, il 74% è in eccesso ponderale e il 23% fuma abitualmente. In entrambi i generi, inoltre, la presenza di diabete è associata con uno stato di svantaggio socioeconomico: la prevalenza ditale condizione è pari al 12,7% nelle persone senza alcun titolo di studio o con la sola licenza elementare e scende all' 1,8% fra i laureati; il 6,6% delle persone che riferiscono di avere molte difficoltà economiche ha il diabete, rispetto al 2,8% di quelle che non riferiscono alcuna difficoltà.