In parlamento

Dall'harakiri del Senato alle quattro fiducie pronte. Renzi al duello decisivo

di Roberto Turno, da www.ilsole24ore.com

Il Senato chiamato a fare harakiri in 15 giorni. I decreti legge per la competitività e per spuntare le unghie alla burocrazia da far approvare a tempi di record che neanche Tremonti e Monti, in un simil monocameralismo anticipato. Tutto a colpi di fiducia: almeno quattro in un pugno di settimane, per bypassare la valanga dei 10mila emendamenti (8mila solo per le riforme istituzionali, su cui però la fiducia non si può chiedere) che pendono sulle leggi più attese. Gli effetti dei ritmi accelerati imposti dal velocista Matteo Renzi sul Parlamento, li vedremo tutti fin da lunedì. Sul destino delle riforme e sulla qualità e la tenuta delle intese politiche attuali e di quelle nuove eventuali.

Vacanze a rischio
Si apre l'ennesima settimana cruciale in Parlamento da lunedì 21 luglio. Nel segno di una torrida estate politica. L'ingorgo parlamentare venutosi a creare col rinvio dei tempi di approvazione (in prima lettura) delle riforme istituzionali con tanto di nuovo Titolo V (federalismo) della Costituzione annesso, ha imposto alle due Camere una rivoluzione dei calendari. Tanto che le stesse vacanze di deputati e senatori sono da considerare a rischio. Quanto meno intanto quelle dei senatori, dove cova la pressione più forte: fino a Ferragosto, ha annunciato non a caso il presidente Pietro Grasso, si potrà lavorare. «Se serve», ha aggiunto. E che possa essere necessario, non è una semplice eventualità. Altro che stop dei lavori per l'8 agosto. Le difficoltà sul tappeto sono tante e tutte insidiose. Come Matteo Renzi sapeva bene, tanto da averlo annunciato all'assemblea dei gruppi parlamentari riuniti del Pd di martedì: «Questa estate si lavora, preparatevi agli straordinari, allacciate le cinture», aveva detto più o meno. E così sarà.

Al voto anche di notte
E dunque, saranno ritmi forsennati. Sia al Senato che alla Camera. A cominciare da palazzo Madama, dove da lunedì, nel pomeriggio, si inizierà a votare le riforme e i 7.800 emendamenti depositati da oppositori totali e da dissidenti di tutte le parti politiche. Sarà un duello all'ultimo voto, con sedute anche serali. La speranza sarebbe di farcela in 15 giorni, per trasferire il testo che sarà (se sarà) alla Camera alla seconda delle quattro letture necessarie per una legge di rango costituzionale. Però ci saranno interruzione, nel frattempo. La prima, tra giovedì e venerdì, per approvare (con fiducia, si presume) il Dl competitività da inviare poi a Montecitorio che avrà tempo un pugno di giorni per ratificarlo (o addirittura inviarlo di nuovo al Senato). Altra pausa sarà lunedì 28 luglio per convertire il bonus-art che scade a fine mese.

Il puzzle dei decreti
Il rompicapo dei decreti, però, non si ferma qui. Perché alla Camera si annuncia un altro pressing. Il primo sul Dl 90 che vorrebbe rivoltare come un guanto lobby e burocrazie ministeriali: in settimana potrà arrivare in aula, e anch'esso però essere trasferito al Senato. Che a sua volta avrà non più di 7 giorni di lavoro effettivi per varare una riforma di questa portata. A meno che, appunto, il Senato non tenga aperti i portoni fino a Ferragosto, come minacciato da Grasso. Anche se, va detto, questo genere di minacce ha avuto da sempre successo: i parlamentari hanno inghiottito spesso tutti i bocconi amari pur di non perdere le vacanze.
La partita dei decreti, in ogni caso, non è finita qui. Resta quello sulla custodia cautelare. Che pure deve ancora fare entrambe le navette Camera-Senato.

E il Jobs act 2 slitta
In tutto questo via via di leggi da fare, naturalmente, non mancano le vittime eccellenti. Quei disegni di legge che devono farsene una ragione: slittano a settembre. A finire nell'imbuto dei rinvii è anzitutto il Ddl delega di riforma del mercato del lavoro: il Jobs act 2, cardine delle riforme in quello che il terreno più doloroso per gli italiani, l'occupazione che non c'è. I giovani che il lavoro non lo hanno e i più anziani che lo hanno perso. Un passo falso, sicuramente, che ritarderà qualsiasi tabella di marcia auspicata. E che tra settembre e ottobre dovrà ritagliarsi gli spazi con la madre di tutte le leggi: la legge di stabilità 2015. Ma quelli saranno i dolori di ottobre del premier. Un dolore alla volta.