In parlamento

Il senso profondo della riforma costituzionale per salute e politiche sociali

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

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24 Esclusivo per Sanità24

E' desolante constatare l’esclusivo interesse della politica a misurarsi in questi giorni - così duramente da minacciare la caduta del Governo - sulla composizione del futuro Senato, meglio su da chi sarà composto e su come saranno designati/eletti i senatori. Una revisione costituzionale che va ben oltre, atteso che stravolgerebbe l’esercizio del potere legislativo, rispetto a quello modificato nel 2001, arrivando a cancellare la potestà legislativa concorrente. Quel meccanismo che affida allo Stato, nelle materie scandite nell’attuale testo dell’art. 117, comma 3, la definizione dei principi fondamentali e alle Regioni la competenza a decidere nel dettaglio. Una revisione, quella in corso di seconda e ultima (!) lettura parlamentare, che andrebbe ad incidere profondamente in materia di salute. Ciò in quanto interverrebbe radicalmente sui commi 2 e 3 dell’art. 117 Cost. Quanto al comma 2 - quello noto per avere alla lettera m) assegnato alla competenza esclusiva statale di legiferare sui Lea, da garantire su tutto il territorio nazionale - sancendo a carico dello Stato la competenza esclusiva di determinare “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare”. Quanto al comma 3 - quello in cui si sancisce la competenza esclusiva delle Regioni in via residuale - assegnando alle Regioni il compito di disciplinare con leggi e, ovviamente con regolamenti, la “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”.

Dunque, i principi fondamentali, in materia di tutela della salute, riconosciuti in capo allo Stato verrebbero sostituiti dalle disposizioni generali e comuni, estesi alle politiche sociali.
Il problema è, pertanto, quello di capire la differenza contenutistica tra i “principi fondamentali” e le “disposizioni generali e comuni”, soprattutto al fine di individuare la loro sostanziale rispettiva capienza. Ciò nel senso di comprendere quale delle due “categorie” fosse da considerare comprensiva dell'altra. L’interrogativo, cui occorre dare una risposta esauriente, riguarda quindi la pesatura degli uni rispetto agli altri. Meglio, nell’esercizio della legislazione regionale assumeranno più rilievo le disposizioni generali e comuni rispetto agli attuali principi fondamentali?
Quanto a questi ultimi, da tenere a riferimento nella legislazione di dettaglio regionale nell'attuale esercizio della competenza concorrente, rappresentano valori normativizzati, privi di fattispecie, il cui livello di attuazione varia al variare del relativo bilanciamento tra le legislazioni coinvolte nel determinarlo. Le disposizioni generali e comuni costituiscono, invece, una tipologia di norma munita di una ben individuata fattispecie nella quale viene definita la soglia minima di tutela ovvero “il contenuto essenziale” del diritto, al di sotto della quale non è lecito andare.

Concludendo, i principi fondamentali sono da intendersi, in difetto di provvedimenti specifici, i punti cardine comunque risultanti e/o desumibili dalla legislazione statale, ancorché non espressamente essere ivi definiti come tali (Corte costituzionale n. 282/2002). Essi rappresentano quei riferimenti teorici presuntivamente invalicabili posti alla base della legislazione statale funzionali a costituire il perimetro normativo entro il quale esercitare il potere di legiferare nel dettaglio, sul piano contenutistico, da parte delle Regioni e delle Province autonome. Diversamente, le “disposizioni generali e comuni” sarebbero da ritenersi l’individuazione delle regole specifiche, ivi compresi i valori prestazionali relativi, poste a base dell’ordinamento nazionale per garantire l’esercizio concreto dei diritti dei cittadini (nel caso di specie i diritti sociali). Diritti individuati e specificati dallo Stato nell’ineludibile interesse generale della persona e, in quanto tale, da rendere obbligatoriamente comuni in tutti gli ordinamenti regionali, tenuti ad assicurare l’esigibilità dei rispettivi diritti, individuati a garanzia della uniformità delle prestazioni essenziali e circoscritti nella loro portata sostanziale e globale.

A ben vedere, una differenza non da poco. La nuova lettera consentirebbe allo Stato di “imporre” fattispecie assistenziali ben individuate da garantire ovunque, evitando così ogni discrimine erogativo provocato da una legislazione regionale non sempre attenta e spesso invasiva di competenze statali e, quindi, generatrice di un contenzioso costituzionale all'ingrosso. Non solo. Consentirebbe la regolazione intesa a favorire l'integrazione socio-sanitaria, messa in discussione dal “confine” cui la revisione del 2001 ebbe a relegare l'assistenza sociale nella competenza esclusiva delle Regioni.


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