In parlamento

Senza le risorse necessarie è impossibile gestire il rischio

di Gabriele Gallone (membro esecutivo nazionale Anaao Assomed - Presidente Fondazione Pietro Pa)

Il Ddl 2224 può essere didascalicamente scisso in due ambiti: la responsabilità professionale dei sanitari e la gestione del rischio clinico. Il primo ambito non è nuovo a tentativi di modifiche legislative. L’ultimo in ordine di tempo è stato il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n. 189 (cosiddetta legge Balduzzi). L’articolo 3, comma 1, intendeva statuire una “depenalizzazione” della colpa nelle attività sanitarie, allorquando venivano seguite le linee guida, con una modifica della responsabilità civile da contrattuale a extracontrattuale che ha fatto fatica a farsi largo negli orientamenti della magistratura. La non felice stesura dell’articolato e il delicato oggetto della questione determinava la parziale “demolizione” della norma in quanto la Cassazione penale (sez. IV, n. 16944/2015) stabiliva che l’art. 3 «non riguardava le ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza giacché le suddette linee guida contengono solo regole di perizia».

I confini apparentemente netti, ma in realtà assai labili, tra l’imperizia, l’imprudenza e la negligenza, hanno complicato non poco la applicabilità della esimente delle linee guida in questi contesti (vedi anche Cass. pen., sez. IV, n. 47289/2014). Stesso destino ha avuto la responsabilità in sede civile in quanto gli ermellini (Cass. civ., sez. VI, n. 8940/2014), hanno questa volta letteralmente “seppellito” l’interpretazione più favorevole ai sanitari confermando la responsabilità contrattuale del sanitario.

Il Ddl 2224 abroga espressamente, con buona pace di tutti, l’articolo 3, comma 1, della legge Balduzzi. Se il nuovo impianto normativo reggerà alle sezioni penali e civili della Cassazione, i sanitari beneficeranno di una impostazione giuridica più favorevole. Le novità maggiori per i sanitari sono:

1. la responsabilità civile diventa extracontrattuale con conseguente prescrizione quinquennale e onere della prova a carico dell’assistito (articolo 7, comma 3);

2. la responsabilità colposa per morte o lesioni personali dovuta a imperizia viene esclusa se si sono rispettate le linee guida (articolo 6, comma 1);

3. i risarcimenti del danno dovranno basarsi su tabelle (di cui agli articoli 138 e 139 del Dlgs 209/2005), opportunamente integrate (articolo 7, comma 4);

4. viene ristretto il termine prescrizionale della rivalsa (un anno dal giudicato o dall’accordo extragiudiziale) se il sanitario non è stato parte del giudizio stesso (articolo 9, comma 2) ed esclusa se la causa è intentata contro la struttura sanitaria senza che il sanitario sia stato parte nel giudizio (articolo 9, comma 3);

5. in caso di rivalsa, l’accertamento della responsabilità amministrativo-contabile non può superare il triplo della retribuzione annua lorda (articolo 9, comma 5);

6. viene imposto alla strutture sanitarie l’obbligo di stipulare polizze assicurative o misure analoghe (autoassicurazione) e pubblicarne i termini (articolo 10, comma 1 e 4);

7. la definizione di requisiti minimi delle polizze assicurative sanitarie (articolo 10, comma 6);

8. la estensione della garanzia assicurativa per i sanitari che ricevano richieste di risarcimento oltre la cessazione della attività professionale, c.d. “postuma” (articolo 11);

9. criteri stringenti per identificare i consulenti tecnici d’ufficio e dei periti sulla base di specifiche competenze (articolo 15).

In questo minidecalogo manca il decimo punto, ovvero la creazione di un sistema di risk management ispirato alle migliori esperienze internazionali. Per tale approccio organizzativo, però, non si rinviene alcun finanziamento specifico. Scorrendo il Ddl 2224 troviamo che:

1. il centro per la gestione del rischio sanitario (articolo 2, comma 4);

2. l’osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza (articolo 3, comma 2);

3. la attività del Sistema nazionale Linee guida (articolo 6, comma 3);

4. tutte le attività incluse nel Ddl, incluse quelle relative alla creazione delle unità di risk management (articolo 18);

debbono essere istituiti senza nuovi o maggiori oneri per lo Stato.

Le parti relative alla gestione e la prevenzione del rischio sanitario furono in gran parte espunte dal testo del Ddl e inglobate direttamente nella legge di stabilità del 2015 (dal comma 538 al comma 540). Tale scelta, pur riducendo l’unitarietà del provvedimento, poteva trovare motivazione nella speranza che nelle pieghe di una legge di un solo articolo e 999 commi (sic!), avremmo potuto trovare qualche finanziamento ad hoc. Ma il comma 539, a una lettura più attenta, gela anche queste ultime speranze. E la legge Balduzzi, morta sulla responsabilità professionale, ha un ultimo colpo di coda sul tema del risk management. Essa all’articolo 3-bis richiedeva alle aziende sanitarie di «ridurre i costi connessi al complesso dei rischi relativi alla propria attività, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica... (omissis)».

Il risk management affonda sotto i colpi del mantra quasi magico secondo il quale si può fare praticamente tutto senza maggiori oneri. Anzi, magari spendendo di meno. Destinare risorse a questa attività è, evidentemente, da spreconi, e noi siamo notoriamente geni dell’efficienza. Temo che la gestione del rischio clinico debba prima partire dagli errori della politica che continua a credere di potere innovare senza mai investire nulla. Così com’è il risk management sarà fallimentare. Sul recupero delle risorse necessarie si gioca un altro pezzo di credibilità del ministero della Salute.


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