In parlamento

Riforma del pubblico impiego, alla Camera le contestazioni dei camici bianchi: «Eccesso di delega, provvedimento irragionevole e ostile»

di Ro. M.

«I dirigenti sanitari sono stati esclusi dal ruolo unico della dirigenza, e per loro vale l'articolo 15 della 229 del 1999, in attesa che formazione, accesso, carriera e determinazione del fabbisogno vengano adeguati normativamente da un ddl delega previsto dell'articolo 22 del Patto della Salute 2014-2016, oggi bloccato da un conflitto Stato Regioni». È stata questa la premessa dell’intervento del presidente nazionale della Cimo, Riccardo Cassi, intervenuto questa mattina a nome di tutte le sigle all’audizione alla Camera dei rappresentanti dei sindacati della Dirigenza medica e sanitaria in merito al testo di riforma del Pubblico impiego.

In particolare, l’intersindacale contesta il merito e il metodo, fino a configurare
un eccesso di delega, dei primi due commi dell'articolo 23 della proposta di testo unico, ai
quali i sindacati sono nettamente contrari.

Eccesso di delega e appiattimento del salario accessorio
Riguardo il comma 1, i sindacati specificano che tale norma non era prevista nella legge delega, da qui la contestazione sull'eccesso di delega, ma non solo. Questa norma, spiegano le sigle, contraddice i principi stessi della riforma perché «porta all'appiattimento del salario accessorio impedendo di gratificare il merito e la competenza professionale progressivamente acquisita. Inoltre per quanto riguarda la sanità uno dei fondi accessori è destinato a remunerare le ore straordinarie destinati ai turni di guardia che interessano in misura predominante la componente medica dell'Area. Inoltre, l'ambigua formulazione del comma 1 lascia poi intendere la possibilità di depauperamento delle risorse aziendali della dirigenza medica e sanitaria in godimento, in nome di oscure “convergenze” e perequazioni che possono portare ad un ulteriore taglio dei fondi per le categorie con più elevata professionalità».

Altro fronte di contestazione, la proroga del blocco dei fondi aziendali. Il comma 2 dell’art. 23 secondo i sindacati di fatto «taglia gli stipendi, proprio nel momento in cui esponenti del Governo dichiarano di voler rinnovare i contratti pubblici dopo 8 anni di blocco, con un provvedimento già adottato dai precedenti governi nel 2010-14 e nel 16. Il blocco è a tempo indeterminato fino alla firma del prossimo contratto di lavoro. In pratica, le risorse derivate dal pensionamento per effetto di disposizioni contrattuali, non implementeranno i fondi aziendali, per cui in caso di nuove assunzioni gli oneri ricadranno sui dirigenti in servizio. Per di più, vengono ulteriormente saccheggiati con gravi ripercussioni sul funzionamento e la flessibilità del servizio pubblico i fondi aziendali indispensabili per la contrattazione decentrata e in particolare per remunerare merito, disagio, guardie, reperibilità e straordinari».

Una manovra che per i camici bianchi si presenta complessivamente in rosso. «L'entità dei tagli subiti - spiegano i sindacati - è di gran lunga superiore agli aumenti stipendiali proposti per il rinnovo contrattuale. Si tratta di un provvedimento che rende impossibile il rinnovo dei contratti della dirigenza. Non si comprende poi l'esclusione del Servizio Sanitario nazionale dalla possibilità di “risorse aggiuntive” previste per altre categorie di dipendenti del sistema delle autonomie».

In conclusione le organizzazioni annunciano che non esiteranno ad adire tutte le forme di contrasto in sede legale del provvedimento. «Politicamente siamo di fronte ad un provvedimento irragionevole e rappresenta un atto di gravissima ostilità del governo nei confronti dei dirigenti medici, veterinari e sanitari del Ssn».

«Il primo comma è contestabile - ha spiegato Cassi - perché induce un appiattimento dei fondi accessori e il secondo perché li riduce, continuando una politica in tale senso iniziata nel 2010 e continuata da tutti i Governi che si sono succeduti. Queste risorse invece sono indispensabili per poter remunerare il merito e le competenze acquisite, nonché l'impegno di lavoro legato alla necessità di garantire H24 il servizio ai cittadini. Tanto più in presenza di un finanziamento del rinnovo contrattuale decisamente modesto».

Serve un’area contrattuale specifica per la dirigenza medica e sanitaria
Un altro argomento trattato è stato la necessità del riconoscimento di un'area contrattuale specifica per la dirigenza medica e sanitaria del Ssn (che rappresenta l’81% della dirigenza pubblica), abolita dalla legge Brunetta, area considerata «necessaria perché il lavoro del medico presenta peculiarità che richiedono di essere regolamentate in maniera consona alle prerogative di questa professione e diversa rispetto alla dirigenza amministrativa del pubblico impiego».

Ultimo punto illustrato, la questione del superamento del precariato, che nella bozza del testo di riforma del Pubblico Impiego riservato solo al personale non dirigente, escludendo di fatto medici e dirigenti sanitari.

E sulla partita dei fabbisogni, le sigle sindacali criticano la previsione di un piano triennale senza scadenze e previa intesa Stato-Regioni. «La legge del 90/2014 - sottolineano i camici bianchi - prevedeva un turnover al 100% a partire dal 2018. La legge di bilancio del 2016 lo ha ridotto al 25%. Adesso ripartiamo con i piani triennali senza scadenza».


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