In parlamento

Dirindin: «Per il Def la salute non è una priorità»

di Nerina Dirindin (commissione Igiene e Sanità - Senato)

Ancora una volta non possiamo non rilevare una preoccupante disattenzione nel Documento di economia e finanza 2017, oggi in approvazione in Parlamento, alla tutela della salute e alle politiche sanitarie.
Come se la salute non fosse una importante priorità per gli italiani. Come se il sistema sanitario fosse solo un costo, una spesa da contenere, dimenticando che esso, oltre a contribuire a migliorare le condizioni di vita e salute della popolazione, è invece un settore chiave dell'economia, in grado di contribuire allo sviluppo del Paese in termini economici e occupazionali, uno dei settori più dinamici e innovativi della nostra economia.
Il nostro sistema sanitario è da anni riconosciuto in Europa come uno dei meno costosi (complessivamente spendiamo due punti di Pil in meno di Francia e Germania) e più efficaci (l'ultimo rapporto Ocse afferma “Uno dei fattori che ha contribuito alla crescita dell'aspettativa di vita in Italia è la buona qualità dell'assistenza sanitaria per condizioni potenzialmente letali”). Ciò nonostante questi connotati positivi stanno venendo meno anche a causa delle restrizioni imposte alla sanità pubblica e della mancanza di una seria politica, a livello nazionale e regionali. Sono infatti sempre più frequenti le raccomandazioni degli organismi internazionali rispetto a importanti debolezze che si stanno diffondendo. L'Ocse sostiene che “La percentuale di popolazione che riporta esigenze di cure mediche e dentali non soddisfatte è in crescita, in particolare per i gruppi a basso reddito”, e che dovremmo, ad esempio, incrementare gli sforzi per “aumentare l'utilizzo di generici e dei biosimilari e per ridurre le prescrizioni di antibiotici”, direzioni verso le quali ci stiamo muovendo in modo scomposto e insufficiente.
Preoccupante è la apparente contraddizione fra il “disimpegno” nei confronti della sanità pubblica e l'impegno nei confronti del welfare aziendale (dei fondi sanitari). Al di là delle enunciazioni, sempre condivisibili, sulla protezione della salute, c'è un implicito “assalto all'universalismo” come sostiene Martin McKee della London School di Igiene, un assalto di cui anche noi parlamentari siamo responsabili, in parte perché disattenti e in parte perché complici di questa china scivolosa. È noto che, rispetto al sistema universale finanziato con la fiscalità generale, il welfare aziendale non è preferibile né sotto il profilo dell'equità (perché destinato a rivolgersi solo a specifiche categorie di cittadini, non certamente i più deboli) né sotto il profilo dell'efficienza (perché più costoso, in ragione degli elevati costi amministrativi e per la necessità di importanti fondi di riserva). Eppure il nostro Paese si sta sempre più caratterizzando per l'aumento spropositato dei fondi sanitari, di carattere aziendale e spesso di piccole dimensioni, agevolati fiscalmente (a carico della generalità dei contribuenti), sul quale dovremmo aprire un dibattito serio, mentre sono trascurate le forme di reale integrazione del sistema pubblico, fondi non aziendali ma nazionali o regionali, in grado di dare risposte a esigenze (come la non autosufficienza) ancora non adeguatamente affrontate.
Più in generale, la previsione per gli anni 2018-2020 di un aumento della spesa sanitaria pubblica al tasso dell'1,3% medio annuo, a fronte di un aumento del Pil nominale del 2,9% ha come conseguenza
-una ulteriore riduzione del rapporto spesa /Pil, che raggiunge nel 2019 il 6,4%, livello non accettabile in un paese evoluto,
-una restrizione in termini reali ancora più consistente posto che l'indice dei prezzi del settore sanitario è sempre superiore all'indice generale dei prezzi.
Due ulteriori brevi considerazioni.
È necessario intervenire sul sistema di compartecipazione al costo delle prestazioni prevedendo subito l'esenzione a favore degli inoccupati (ora tutelati solo in alcune regioni e a carico dei bilanci regionali) e il graduale superamento delle forme che rendono paradossalmente meno costoso il ricorso al mercato rispetto all'accesso al Ssn (quale il superticket).
Infine, è necessario monitorare l'attuazione del provvedimento (tanto atteso e segno della vitalità del nostro sistema) di aggiornamento dei Lea, affinché sia attuato senza ritardi e in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, evitando ricadute economiche e procedurali (di appesantimento amministrativo) a carico dei cittadini che accedono ai servizi.


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