Meet the expert: BPCO

Le riacutizzazioni di bronchite cronica rappresentano la principale causa di visite mediche, ospedalizzazione e morte nei soggetti con broncopneumopatica cronica ostruttiva (BPCO). La maggior parte delle riacutizzazioni è dovuta a episodi di infezione bronchiale, che in ben il 50% dei casi è di origine batterica. Uno studio italiano presentato a Milano in occasione dell'XI Forum internazionale di Pneumologia "Parlando di polmone", dimostra che il farmaco *** rappresenta una valida opzione per il trattamento dei casi lievi-moderati di riacutizzazione di bronchite cronica (AECB) nei pazienti ambulatoriali e si associa ad una riduzione significativa dei mediatori dell'infiammazione polmonare e del danno epiteliale. Per conoscere il nome del farmaco si rimanda al link http://www.dovepress.com/cefditoren-versus-levofloxacin-in-patients-with-exacerbations-of-chron-peer-reviewed-article-TCRM della pagina di pubblicazione dello studio.


Milano, 4 marzo 2013 - Il recente inserimento della BPCO di stadio II e III (lieve-moderato) nei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) è la testimonianza dell'attenzione che le Istituzioni iniziano a dare a questa malattia diffusa e costosa, tanto in termini di vite quanto di esborso sanitario. Un aspetto che sta catturando l'interesse dei medici e dei ricercatori riguarda il problema delle riacutizzazioni di bronchite cronica (AECB, Acute Exacerbations of Chronic Bronchitis), una delle espressioni cliniche con cui si manifesta la BPCO.
«Le AECB rappresentano la principale causa di visite mediche, ospedalizzazione e morte nei soggetti con BPCO», spiega il professor Francesco Blasi, Ordinario di Malattie Respiratorie dell'Università di Milano. «In media una persona con bronchite cronica va incontro a due episodi all'anno di riacutizzazione della malattia. La frequenza con cui la bronchite cronica si riacutizza dipende dalla gravità della malattia polmonare sottostante, dall'età e dalla presenza di comorbilità. Le riacutizzazioni comportano costi sociali enormi: solo in Lombardia nel 2006 si sono registrati 15.857 ricoveri per episodi di AECB, con un costo medio di 7.000 euro a paziente/anno, di cui 71% per ospedalizzazione, 18% per farmaci e 11% per visite ambulatoriali e esami. La mortalità è stata del 5% durante il ricovero e ha superato il 20% in due anni».
E' stato calcolato che il costo di gestione della BPCO è da ricondurre per l'80% al costo delle riacutizzazioni e al costo del fallimento della terapia delle AECB. In un clima di spending review la gestione ottimale delle AECB diventa una necessità assoluta.


La maggior parte delle riacutizzazioni è prodotta da episodi di infezione bronchiale, che in ben il 50% dei casi è di origine batterica. I principali patogeni sono rappresentati da Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae e Moraxella catarrhalis. Identificare i pazienti a maggior rischio che necessitano di cure più intensive e prescrivere appropriatamente gli antibiotici rappresenta la strada maestra per migliorare efficacia ed efficienza dell'atto medico. «L'uso degli antibiotici deve essere razionale e non razionato; il buon uso degli stessi ha il duplice obiettivo di ottenere la guarigione del paziente e di limitare l'incremento delle resistenze batteriche», ricorda il professor Ercole Concia, Ordinario di Malattie Infettive, Università di Verona. «In particolare, senza un efficace trattamento antibiotico, le riacutizzazioni di bronchite cronica possono evolvere e determinare un peggioramento complessivo della malattia di base».


La scelta dell'antibiotico nella terapia delle AECB è per il medico di medicina generale sostanzialmente di tipo empirico, basata sulla sua conoscenza sia del panorama microbiologico prevalentemente responsabile del quadro infettivo sia del profilo aggiornato di antibiotico-resistenza dei patogeni coinvolti. Per il medico è altresì importante assicurarsi la collaborazione del paziente nel portare a termine la terapia, sempre al fine di non ingenerare resistenze batteriche.
«Per quanto riguarda Streptococcus pneumoniae si riscontrano, in alcuni paesi, elevati tassi di resistenza alla penicillina (40-50%) e ai macrolidi. In Italia la resistenza alla penicillina è di circa il 15-20% (era del 4% all'inizio degli anni '90), mentre sono più rilevanti le resistenze ai macrolidi (33%), al cotrimossazolo (25,9%) e alle tetracicline (37%)», sottolinea Concia.
Un ruolo di rilievo nell'armamentario terapeutico contro le infezioni respiratorie è rappresentato dalle cefalosporine orali di III generazione. «Tra le specialità di questa classe farmacologica», prosegue il prof. Concia, «il farmaco con principio attivo cefalosporina si contraddistingue per la particolare efficacia bilanciata sia sui germi Gram-positivi sia su quelli Gram-negativi. Questa ceflosporina risulta estremamente attiva sui ceppi penicillino sensibili ma anche su quelli penicillino resistenti di S. pneumoniae, e particolarmente efficace contro H. influenzae e M. catarrhalis, cioè il "trio infernale" prevalentemente chiamato in causa nelle riacutizzazioni di bronchite cronica».


La valutazione dell'efficacia della cefalosporina nelle AECB è stata al centro di uno studio clinico presentato a Milano in occasione dell'XI Forum internazionale di Pneumologia "Parlando di polmone". Lo studio è stato condotto dal prof. Blasi su un gruppo di 40 pazienti con bronchite cronica e con un valore di FEV1 (volume espiratorio forzato in 1 sec) sopra il 50-60%, tipico della maggior parte dei pazienti con questa malattia polmonare.
«Abbiamo confrontato il farmaco il cui principio attivo è la cefalosporina ) con levofloxacina, farmaco altamente efficiente nella AECB moderata-grave», illustra il prof. Blasi. «Nello studio abbiamo confrontato 5 giorni di cefalosporina 200 mg 2 volte al giorno, contro levofloxacina 500 mg al giorno per 7 giorni. I risultati di questo studio dimostrano che la cefalosporina orale funziona in maniera equivalente alla levofloxacina: 5 giorni di cefalosporina sono equivalenti a 7 giorni di levofloxacina in termini di efficienza e di efficacia clinica, di microbiologia e di eradicazione di batteri. Ma non solo. Abbiamo voluto verificare anche l'effetto dei due antibiotici in relazione alla attività antinfiammatoria». L'infiammazione è, infatti, probabilmente la causa fondamentale del decadimento funzionale del paziente con bronchite cronica. «Come parametri infiammatori abbiamo misurato le concentrazioni di 21 citochine, tra le quali le più significative sono la proteina Krebs von den Lungen-6 (KL-6), marker di danno epiteliale e l'interleuchina 6 (IL-6), la regina dell'infiammazione a livello bronchiale», continua Blasi. «Abbiamo riscontrato che sia cefalosporina sia levofloxacina sono in grado di ridurre rapidamente, entro la terza giornata, i livelli di IL-6 e KL-6, cioè di ridurre significativamente il processo infiammatorio sostenuto dall'infezione. L'antibiotico in tre giorni è in grado di dare una significativa riduzione del carico batterico, che di conseguenza induce una rapida riduzione del carico infiammatorio, responsabile delle lesioni tanto della parete bronchiale quanto del tessuto (o parenchima) polmonare». La cefalosporina si è inoltre dimostrata ottimamente tollerata. «Questa cefalosporina orale ha tutte le caratteristiche utili: è in grado di raggiungere il polmone, ed è in grado di eradicare i batteri e quindi di dare una adeguata copertura della riacutizzazione della bronchite cronica, con il vantaggio di indurre una rapida risoluzione dell'infiammazione a livello locale», afferma Blasi

Quando, allora, è necessario ricorrere all'antibioticoterapia nelle AECB? «Da un punto di vista pratico per il medico di medicina generale – suggerisce il prof. Blasi -, la purulenza dell'espettorato può essere considerata un fattore predittivo di eziologia batterica in corso di riacutizzazione di bronchite cronica. Le linee guida GOLD raccomandano di usare l'antibiotico se c'è febbre, se l'espettorato è aumentato di volume e se è purulento». La scelta non appropriata di un antibiotico, tuttavia, può essere responsabile di un fallimento terapeutico, di una maggior frequenza di ricadute e, soprattutto, può determinare un aumento delle resistenze batteriche. E', quindi, importante utilizzare la giusta molecola nelle diverse situazioni cliniche. «Le linee guida GOLD suggeriscono il ricorso ai fluorochinoloni solo nei casi di riacutizzazione moderata-grave. Nelle riacutizzazioni meno complicate trattate a domicilio questi farmaci non sono indicati, anche per il rischio di aumentare le resistenze batteriche», conclude Blasi.
Terapia delle infezioni delle vie respiratorie: ruolo della cefalosporina
Ercole Concia.
Malattie Infettive, Università degli Studi di Verona
Un filo rosso unisce diverse infezioni delle vie respiratorie: è il cosiddetto "trio infernale", rappresentato da Streptococcus pneumoniae, Haemophilus
influenzae e Moraxella catarrhalis, germi che rappresentano gli agenti eziologicj prevalenti nelle sinusiti, nelle otiti e in molte forme di esacerbazione di bronchiti croniche nonché in diversi casi di polmoniti acquisite in comunità.
Questi tre patogeni, oltre che per la loro virulenza, preoccupano per il crescente tasso di resistenza acquisita verso molti antibiotici. Per quanto riguarda Streptococcus pneumoniae si riscontrano, in alcuni paesi, elevati tassi di resistenza alla penicillina (40-50%) e ai macrolidi. In Italia la resistenza alla penicillina è di circa il 15-20% (era del 4% all'inizio degli anni '90), mentre sono più rilevanti sono le resistenze ai macrolidi (33%), al cotrimossazolo (25,9%) e alle tetracicline (37%) (tabella 1).
I ceppi di H. influenzae betalattamasi produttori hanno raggiunto in Italia il tasso del 20% e ancor più grave è la situazione per M. catarrhalis, dato che il 97% dei ceppi di questo batterio procuce enzimi inattivanti le betalattamine.


Nella terapia delle infezioni delle vie respiratorie, gli antibiotici betalattamici, in virtù dell'ampio spettro antibatterico, rappresentano una pietra angolare, a cui il medico ricorre di norma in maniera empirica, non avendo spesso la possibilità di condurre una determinazione specifica dell'agenze eziologico implicato, determinazione che tra l'altro risulta in alcune condizioni, come le riacutizzazioni di bronchite cronica, di difficile esecuzione.
Oltre alla penicillina, all'ampicillina, all'amoxicillina/acido clavulanico, alle cefalosporine parenterali, un ruolo di rilievo nell'armamentario terapeutico è rappresentato dalle cefalosporine orali.
Le cefalosporine orali vengono suddivise, in base al loro spettro d'azione, in tre generazioni. Le cefalosporine orali di III generazione hanno una maggiore potenza delle generazioni precedenti, ma esplicano in media un'attività che risulta prevalente sui microrganismi Gram-negativi e relativamente modesta sui batteri Gram-positivi.
AI contrario, il farmaco *** , ultima nata tra le ceflosporine di III generazione, ha una buona attività bilanciata tanto sui Gram-positivi quanto sui Gram-negativi.
L'effetto degli antibiotici betalattamici è tempo-dipendente: questi farmaci, cioé, devono mantenere, per un tempo relativamente lungo, livelli nella sede di infezione superiori alla Concentrazione Minima Inibente (MIC) del microrganismo responsabile (T>MIC). Le cefalosporine, nello specifico, devono mantenere concentrazioni superiori alle MIC per un periodo di tempo pari almeno al 40% dell'intervallo tra le dosi somministrate. Grazie alle sue caratteristiche farmacologiche, il farmaco *** ha un'attività, espressa in MIC, nettamente superiore a quella delle altre cefalosporine e anche all'attività di amoxicillina/acido clavulanico, farmaco considerato di prima scelta in tale contesto patologico.


Per quanto riguarda S. pneumoniae, il farmaco *** ha un'ottima attività sui ceppi penicillino-sensibili e discreta sui ceppi resistenti. L'attività sui ceppi penicillino intermedi, prevalenti in Italia, è buona. Questa cefalosporina di III generazione risulta particolarmente attiva contro H. influenzae e M. catarrhalis.
L'amoxicillina/acido clavulanico, pur essendo attiva contro i principali patogeni delle vie respiratorie, esclusi gli agenti atipici, presenta un limite legato alla scarsa tollerabilità gastrointestinale alle posologie corrette. Trattandosi di un antibiotico tempo-dipendente, dovrebbe essere utilizzato, in un adulto normopeso, alla dose di 1 g ogni 8 ore. Nell'uso comune, però, al fine di evitare i disturbi gastrointestinali, la dose più utilizzata è quella di 1 g ogni 12 ore. In molte infezioni tale posologia può essere sufficiente ma, in presenza di ceppi meno sensibili, quale ad esempio uno Streptococcus pneumoniae penicillino intermedio, vi è un reale rischio di fallimento terapeutico (tabella 2).
I macrolidi che hanno perso, in modo significativo, la loro attività su Streptococcus pneumoniae, non dovrebbero, a mio avviso, essere utilizzati in terapia empirica, in quanto è nozione da tutti accettata di non usare antibiotici i cui livelli di resistenza superino la soglia del 10-20%.
I fluorochinoloni di ultima generazione, come levofloxacina e moxifloxacina, possiedono un'ottima attività su tutti i ceppi studiati, anche se le MIC risultano superiori a quelli del farmaco *** , soprattutto nei riguardi di Streptococcus. Molti esperti esprimono, però, preoccupazioni per l'abuso di fluorochinoloni con il rischio di aumento delle resistenze che oggi già riscontriamo, a livelli preoccupanti, sui microrganismi Gram-negativi. Recentemente l'EMEA ha lanciato un allarme sulla moxifloxacina relativa a gravi forme di tossicità epatica.
Nella esacerbazione di bronchite cronica, le linee guida dell'ATS (American Thoracic Society) e dell'ERS (European Respiratory Society) raccomandano, nelle forme lievi e moderate, l'uso di farmaci per via orale fra cui l'amoxicillin/alacido clavulanico, i macrolidi di ultima generazione e le cefalosporine orali. In questo gruppo di pazienti il farmaco *** ha dimostrato un'efficacia clinica e microbiologica eccellente.
E' da sottolineare che queste stesse linee guida raccomandano di utilizzare i fluorochinoloni in tale contesto solo in seconda battuta, in caso di insuccesso terapeutico.


L'uso degli antibiotici deve essere, in conclusione, razionale e non razionato; il buon uso degli stessi ha il duplice obiettivo di ottenere la guarigione del paziente e di limitare l'incremento delle resistenze batteriche. In tal senso, il farmaco *** cefalosporina orale di III generazione con un ampio spettro di attività nei confronti dei patogeni respiratori, deve essere considerato un farmaco innovativo nella terapia delle infezioni delle vie respiratorie.