Lavoro e Professione

Ospedali psichiatrici giudiziari verso la proroga. Psichiatri all'attacco. ESCLUSIVA: così il ministro della Giustizia sollecitava le Regioni a fare presto

di Manuela Perrone

I riflettori sono puntati sul 26 febbraio, data della prossima riunione del tavolo tecnico sugli ospedali psichiatrici giudiziari. È in quella sede che dovrebbe essere decisa la proroga dell'esistenza in vita dei sei Opg, la cui chiusura è fissata al 31 marzo dalla legge 9/2012. Il tempo non è sufficiente: nonostante una lettera di sollecito inviata a fine gennaio dal ministro Paola Severino ai presidenti delle Regioni , la tabella di marcia non è stata rispettata. Lo hanno ricordato oggi a Roma anche gli psichiatri della Sip: «Nessuna Regione, alla data del 1° aprile 2013, avrà pronte le strutture sanitarie che nelle intenzioni della legge 9/2012 devono ospitare gli autori di reato malati di mente al posto degli attuali sei ospedali psichiatrici giudiziari. Serve una proroga». Non solo per avere il tempo di approntare le strutture, usufruendo delle risorse appena ripartite , ma anche per potenziare adeguatamente l'assistenza psichiatrica nelle carceri e sul territorio.

Il monito del ministero della Giustizia. L'allarme degli psichiatri, sostenuto da un'indagine condotta nelle sezioni regionali della Società , arriva dopo due sollecitazioni del ministero della Giustizia alle Regioni. L'ultima, il 28 gennaio, è arrivata con una lettera firmata dal ministro Paola Severino e indirizzata a ciascun governatore. «Desidero sottoporre alla Sua attenzione - si legge - la delicata situazione delle persone ospitate presso gli Opg, che - a partire dal prossimo 1° aprile - dovranno trovare ricovero in strutture sanitarie regionali». E ancora: «Voglia valutare l'opportunità di assumere ogni iniziativa utile affinché la Regione che presiede si adoperi per poter accogliere e prestare le cure necessarie ai cittadini della Regione oggi ospitati presso gli ospedali psichiatrici Giudiziari».

Pochi giorni prima, il 10 gennaio, da Largo Arenula era partita un'altra lettera: come siamo in grado di documentare , il capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino e il direttore della Direzione generale detenuti e trattamento, Calogero Piscitello, avevano scritto alla segreteria della Conferenza Stato-Regioni e al ministero della Salute per chiarire che «l'avvio presso le strutture residenziali sanitarie riguarda tutti quei soggetti che in virtù di un provvedimento emesso dalle autorità giudiziarie competenti siano destinatari di una misura di sicurezza detentiva, compresi quindi anche i soggetti in misura di sicurezza provvisoria». I funzionari del ministero della Giustizia precisano che in carico al dicastero e dunque «in apposite sezioni» presso le carceri rimarranno soltanto «i soggetti che rivestono lo stato giuridico di detenuto in base al titolo privativo della libertà personale emesso da un'autorità giudiziaria diverso da quello della misura di sicurezza detentiva».

Di qui la pressione sulle amministrazioni locali, considerato l'approssimarsi della scadenza fissata dalla legge: «Si reputa oltremodo necessario e non più procrastinabile che le Regioni si facciano parte diligente per individuare le nuove strutture sanitarie residenziali per l'esecuzione delle misure di sicurezza». E si chiede di sensibilizzare i presidenti delle Regioni per informare il ministero «circa lo stato di individuazione e realizzazione delle strutture».

Le scadenze mancate. Ma sarebbe ingiusto attribuire soltanto alle Regioni la responsabilità del mancato rispetto della tabella di marcia. Il decreto ministeriale sui requisiti dei centri è stato firmato soltanto a ottobre (leggi il testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale), con sette mesi di ritardo. Quello sul riparto dei 173,8 milioni disponibili per realizzare i nuovi centri addirittura il 7 febbraio, con l'obbligo per le amministrazioni locali di inviare i programmi di utilizzo delle risorse entro 60 giorni per l'approvazione e lo sblocco dei fondi da parte del ministero della Salute. Si andrebbe al 7 aprile soltanto per poter cominciare la realizzazione pratica delle strutture.

Il destino degli internati. Il problema è di tutto rilievo. Per la Società italiana di psichiatria, sono 800 gli internati attuali dai destini incerti. Una parte, con disturbi meno gravi, potrebbe effettivamente passare in carico ai Dipartimenti di salute mentale, come prevede la legge. Ma a una condizione: che nell'anno appena trascorso la Regione di residenza abbia effettivamente lavorato al piano terapeutico personalizzato prescritto anch'esso dalla legge. Cosa che - hanno ammesso gli psichiatri - non è avvenuta dappertutto. Un caso eclatante: la Sicilia soltanto la settimana scorsa ha ratificato il passaggio della medicina penitenziaria dalla Giustizia al Ssn, deciso nel 2009. E sta lavorando in tutta fretta a trovare una sistemazione agli internati nell'Opg di Barcellona Pozza di Gotto (Messina), chiuso dopo i rilievi della commissione d'inchiesta del Senato. Proprio durante una visita a Barcellona, il 19 gennaio scorso, il ministro della Giustizia aveva affermato che «le Regioni devono accelerare le procedure affinché queste persone vengano trasferite in strutture in cui siano prima curate e poi custodite».

Più grave ancora l'incognita che riguarda sia quel numero di internati (non più del 10% del totale) giudicati non dimissibili sia i nuovi destinatari di misura di sicurezza. Che fine faranno? «Potrebbero andare nelle carceri», hanno ipotizzato gli psichiatri, sottolineando che i Dsm non possono assolutamente farsi carico di persone che necessitano di un'adeguata custodia e vigilanza. Ma la lettera del capo del Dap sembra escludere anche questa possibilità.

Psichiatri in trincea. «La verità è che la legge e lo sviluppo di questo piano - ha spiegato il presidente della Sip, Claudio Mencacci che dirige anche il Dipartimento di Neuroscienze dell'azienda ospedaliera Fatebenefratelli di Milano - sono stati portati avanti senza sentire ragioni. Questo non è accettabile, così come non è accettabile che agli psichiatri venga richiesta una funzione di vigilanza e custodia di questi malati. Noi siamo medici, non ci compete altro che non sia la cura. Non ci stiamo».

«Non possiamo permetterci di dimettere in modo selvaggio», ha precisato Emilio Sacchetti, prossimo presidente Sip e ordinario di psichiatria a Brescia. «Altrimenti al primo che reitera il reato che succede? Annulliamo tutto? Serve una rete che sostenga il passaggio. Non si può immaginare che i Dsm, da soli, possano farcela».

Massimo Di Giannantonio, docente a Chieti, ha rincarato la dose: «Siamo davanti a un'aggressione drammatica alla nostra capacità di erogare prestazioni a livello minimale. Al tempo stesso ci vengono chieste prestazioni di altissimo livello specialistico senza risorse. Pretendiamo che la politica agisca».

Anche perché le situazioni degli internati e dei detenuti in generale sono delicatissime. «Occorre una formazione ad hoc», ha detto Enrico Zanalda, direttore del Dipartimento di salute mentale di Rivoli (Asl Torino 3). «E bisogna potenziare gli organici, perché nelle condizioni in cui siamo rischiamo di non riuscire ad assistere adeguatamente nemmeno i cittadini liberi».

La delusione di Ignazio Marino. Al momento, la strada della proroga prende sempre più corpo. È deluso Ignazio Marino, presidente della commissione d'inchiesta del Senato sul Ssn e grande fautore della legge, che parla di «ritardo vergognoso e disarmante».

«Già da molti mesi - dice Marino - la commissione d'inchiesta ha formulato una proposta per l'attuazione della riforma sugli Opg. Il 15 ottobre 2012 mi sono recato dal presidente del Consiglio Mario Monti per esprimere grande preoccupazione e suggerire al Governo una soluzione: si nomini una figura che abbia pieni poteri per applicare la legge votata dal Parlamento e che possa gestire il percorso di chiusura e le risorse economiche messe a disposizione. Ci è stato detto che non era possibile, ma questa rimane la nostra proposta anche per il prossimo Governo». Anche Marino richiama le Regioni a «un impegno vero» per consentire «ai folli autori di reato privati della libertà di poter avere accesso alle cure di cui hanno diritto e al rispetto della loro dignità umana».

«StopOpg» all'attacco. Il Comitato che si batte per la chiusura degli Opg ha convocato una riunione straordinaria il 5 marzo. «È evidente - dice Stefano Cecconi della Cgil - che si rischia di giocare oggi a un pericoloso "scaricabarile" tra Governo e Regioni». Che rinnova il rammarico perché «tutta l'attenzione è rivolta alle nuove strutture speciali (i mini Opg regionali destinati a sostituire gli attuali Opg), anziché alle persone e ai percorsi di dimissione».

Secondo StopOPG diverse Regioni hanno presentato (o stanno presentando) programmi per strutture pluri-modulari (es. accorpando due o tre moduli da 20 posti letto: 40/60 posti letto), una soluzione che permetterebbe anche di "salvare" l'Opg di Castiglione delle Stiviere, l'unico già interamente gestito da un'azienda ospedaliera senza agenti di custodia: «Altro che piccole strutture di transito verso le dimissioni. Così riaprono i manicomi! Mentre non sono avvenute le dimissioni "senza indugio" delle persone per le quali è cessata la pericolosità sociale, che erano previste solennemente dalla legge 9».