Lavoro e Professione

Distacchi e permessi sindacali: le Regioni chiedono tagli e adeguamento delle aree contrattuali

di Roberto Turno

Meno distacchi e permessi sindacali. Con più controlli e senza più riunioni durante l'orario di lavoro. Perché è tempo di rigore, e a pagare lo scotto dei risparmi possibili dovranno essere anche i sindacati che rappresentano i dipendenti della Sanità e delle Regioni. Che finora sono stati esclusi dalle regole taglia-permessi. Un esercito di oltre 776mila lavoratori pubblici: 682mila nel Servizio sanitario nazionale (il secondo di tutta la pubblica amministrazione, dopo la scuola) e altri 94mila nelle Regioni. Un taglio che potrà valere, e magari anche superare, il 15%, come ormai accade dappertutto nello Stato. Se, però, ci sarà una nuova legge.
A fare la voce grossa non è l'Economia, né tanto meno la Funzione pubblica che pure ha pieno titolo in materia. A chiedere di tirare la cinghia e di garantire piena par condicio nella concessione dei "benefit sindacali", questa volta, sono i governatori. Cioé: le Regioni. Anche loro a caccia di tutti i risparmi possibili, per questo decise più che mai a rastrellare tutto il rastrellabile.

La risposta all'Aran.
Lo strappo dei governatori, che non mancherà di sollevare un vespaio di polemiche e di aprire un inevitabile dossier di confronto-scontro con i sindacati, è stata espresso dal Comitato di settore regionale sulla sanità in una risposta fatta pervenire all'Aran la settimana scorsa. Oggetto della lettera la risposta alla richiesta di parere sull'atto di indirizzo preparato dall'Aran per la definizione del contratto quadro collettivo nazionale per il 2013-2015 di ripartizione dei distacchi e dei permessi alle organizzazioni sindacali rappresentative nei comparti di contrattazione e nelle aree della dirigenza.
Un passo dovuto, per l'Aran. Al quale però le Regioni hanno replicato a muso duro. Non per respingere al mittente il problema. Anzi, per mettere l'Aran alle strette: le regole vanno cambiate. Per la precisione: vanno rafforzate, rese stringenti e uguali per tutti. E se così non sarà «lo scrivente Comitato non potrà rilaciare il necessario parere favorevole». Prendere o lasciare.

Mano pesante. Dunque, scrivono le Regioni senza perdersi in troppi preamboli, va usata la mano pesante sui distacchi e permessi sindacali anche nella sanità pubblica e nel comparto dei dipendenti regionali. «Nel quadro di razionalizzazione della spesa pubblica che ha già coinvolto le prerogative sindacali di altre pubbliche amministrazioni – scrive il Comitato di settore – si ritiene non più ragionevole una differenza di trattamento per quanto attiene alle prerogative sindacali dei comparti Regioni-Sanità». Tradotto: niente favoritismi. È tempo di vacche magre, tutti paghino allo stesso modo anche nella riduzione di permessi e distacchi sindacali.
È infatti «opportuno», si aggiunge nella risposta all'Aran, «una disposizione normativa che operi, anche per il nostro settore, una riduzione di permessi e distacchi sindacali in misura almeno uguale a quanto già avvenuto per le altre amministrazioni dello Stato».

Ma servirà una legge. Un taglio «almeno» del 15%, appunto, conseguenza della legge del 2008 (la n. 133) che ha disciplinato ex novo la materia, salvo appunto escludere i comparti Sanità-Regioni. Questa la richiesta delle Regioni. Che però, taglienti, aggiungono altre due richieste. La prima è di carattere squisitamente "organizzativo" e tende a smontare altre forme in vigore della rappresentanza sindacale: va «scongiurato» in modo esplicito, scrivono le Regioni, che le riunioni per le trattative sindacali si svolgano durante l'orario di lavoro «in elusione della normativa che impone l'utilizzo del monte-ore dei permessi sindacali». Dunque: va superata una «prassi diffusa in molti enti» che «crea un'ingiusta posizione di favore per le organizzazioni meno rappresentative».
La seconda richiesta fa il paio con la volontà di mettere sotto scacco l'eccesso di "spostamenti" dei sindacalisti. La gestione di permessi e distacchi dovrà avvenire solo per via informatica, grazie alla piattaforma che già esiste alla Funzione pubblica (sistema operativo Gedap). In poche parole: numeri e fatti tutti sotto controllo e tracciabili.

Subito le nuove aree contrattuali. E tra le richieste "vincolanti" per il sì all'atto di indirizzo il Comitato di settore mette la necessità che ci si adegui alle previsioni della riforma Brunetta di accorpamento delle aree contrattuali (originariamente otto, da ridurre a quattro secondo il Dlgs 150/2009), che fino a oggi «registra la mancata applicazione» che in questo modo «crea una situazione di ambiguità che finisce per ripercuotersi negativamente nella definizione e ripartizione delle prerogative sindacali oggetto dell'atto di indirizzo in esame. Si chiede pertanto in modo ultimativo e urgente - scrive il Comitato nella premessa del parere inviato all'Aran - un chiarimento, se necessario legislativo, per dare effettività alle norme».