Lavoro e Professione

Un infermiere su due subisce un'aggressione. Il 12 maggio parte la campagna di sensibilizzazione del Nursind

di Rosanna Magnano

Più di un infermiere su due ha subito un'aggressione durante lo svolgimento della sua professione e uno su tre è stato testimone di almeno un episodio di violenza o ne ha sentito parlare da colleghi. Calci, pugni, schiaffi, ma anche insulti e aggressioni verbali. E il fenomeno, complice la crisi economica e i tagli della spendng review, è in aumento. A puntare il dito sul problema è il Nursind, sinadacato delle professioni infermieristiche, che in collaborazione con lo spagnolo Satse ha deciso di intraprendere una campagna di sensibilizzazione nei confronti dei cittadini per far comprendere che "l'aggressione non è la soluzione" dei problemi sistemici della sanità, problemi accentuati in questo periodo di crisi per i continui tagli alle strutture e il sottofinanziamento del Ssn.


L'iniziativa nazionale del sindacato infermieristico NurSind sarà avviata in occasione del 12 maggio, festa internazionale dell'infermiere. Da quel giorno saranno affissi negli spazi pubblici e all'interno delle strutture
sanitarie manifesti dal titolo "l'aggressione non è la soluzione" e saranno diffusi i contenuti di un documento ad hoc. "La crisi economica, lo stato di frustrazione sociale, la recente campagna di discredito dei dipendenti pubblici, la mancata conoscenza del ruolo degli infermieri da parte dei cittadini – afferma Andrea Bottega Segretario Nazionale Nursind - sono le concause evidenziate da un'indagine promossa da Nursind e svolta nel mese di aprile sul fenomeno delle aggressioni al personale sanitario."

"Aggredire un infermiere - – spiegano Tiziana Traini e Salvatore Vaccaro della direzione nazionale Nursind e autori del documento - significa mettere in difficoltà tutto il sistema e la garanzia della qualità dell'assistenza: gli organici già ridotti all'osso difficilmente possono reggere ulteriori assenze el'impatto sulla motivazione lavorativa incide negativamente sulla relazione tra infermiere ed assistito."

L'ugenza dell'iniziativa è dimostrata dai dati di un'indagine effettuata dal Nursind tramite un questionario inviato agli iscritti: il 79,7% ritiene che il fenomeno delle aggressioni al personale sanitario sia in aumento o forte aumento mentre solo il 2,6% ritiene che il fenomeno sia in regressione o esaurimento. Più della metà (54,8%) del campione ha subito nella sua carriera professionale un'aggressione, mentre il 33 % è stato testimone di almeno un episodio di aggressione o ne ha sentito parlare da colleghi (22,4%). Solo il 14,2 % non è mai stato minacciato o aggredito. Gli episodi si sono verificati in diversi anni. Nei primi 4 mesi del 2013 già 335 intervistati (21,4%) affermano di aver ricevuto un'aggressione. Le aggressioni sono state solo fisiche nel 7,1% dei casi
(112), verbali nel 41,2% (645), sia fisiche che verbali nella maggioranza dei casi per il 42,0% (658). In 406 casi (25,9%) sono intervenute le forze dell'ordine anche se solo in 229 casi il campione dichiara che la polizia è giunta in tempo per evitare il peggio. È vero anche che nel 54,8% dei casi (859) i danni fisici non hanno avuto bisogno di prognosi mentre nel 7,7% (118) l'aggressione ha prodotto conseguenze di astensione dal lavoro superiore ai 3 giorni. È interessante notare che, secondo gli intervistati, il
51,3% (804) dichiara che non esiste in azienda una modalità di segnalazione dell'evento presente solo nel 31,0% (486) dei casi. Ad aggredire gli operatori sanitari sono quasi in egual misura sia i pazienti (33,2%) che i parenti (29,8%) o entrambi (15,9%), principalmente di nazionalità italiana (62,3%) con alterazioni di carattere psichico o alcolico.
L'ultima parte del questionario ha interrogato gli operatori in merito alle iniziative per la sicurezza nei luoghi di lavoro. La maggioranza di chi ha risposto (83,2%) ha indicato che non sono stati presi provvedimenti per garantire la sicurezza degli operatori (66,4% pari a 1.041 risposte) e nel caso siano stati presi provvedenti a tutela del personale per evitare il ripetersi di aggressioni, nel 48,2% dei casi non sono stati ritenuti sufficienti come deterrente (756 risposte). Infatti, nel 32,9% dei casi (516)
nonostante i provvedimenti presi si sono verificati altri episodi di agressione. Tra le proposte per fronteggiare il problema: rafforzare la vigilanza, di polizia o servizi di sicurezza, anche attraverso la videosorveglianza, ma anche maggiore formazione per imparare a gestire
relazioni particolari (per esempio con gli etilisti o i tossicodipendenti) e a entrare in empatia con il paziente.


I risultati sono in linea con quelli emersi da una ricerca spagnola pubblicata sull'International Journal of Occupational and Environmental Health. Secondo lo studio, le aree a tasso di rischio più elevato sono i servizi di emergenza-urgenza, strutture psichiatriche ospedaliere e territoriali, luoghi di attesa, servizi di geriatria, servizi di continuità assistenziale. In questi settori, ma in modo particolare nei servizi di emergenza-urgenza e nelle strutture psichiatriche, le aggressioni fisiche hanno raggiunto rispettivamente il 48% e il 27% degli operatori; gli insulti sono risultati invece praticamente ubiquitari, avendo coinvolto rispettivamente l'82 e il 64% degli operatori, e percentuali più o meno simili si trovano per le minacce.
L'85% delle aggressioni è perpetrato dagli stessi pazienti: un quarto di essi, circa, risulta essere affetto da disturbi psichici e circa il 6% è sotto l'influsso di droghe. Il rischio più elevato lo corrono gli operatori degli ospedali di maggiori dimensioni, mentre il fenomeno della violenza sembra essere meno marcato nei servizi di dimensioni più limitate e di collocazione rurale, probabilmente in conseguenza del diverso tipo di rapporto che s'instaura tra gli operatori e gli utenti dei servizi.


Tra le cause principali dell'incremento degli atti di violenza: l'aumento di pazienti con disturbi psichiatrici acuti e cronici dimessi dalle strutture ospedaliere e residenziali; la diffusione dell'abuso di alcol e droga; la gestione e/o distribuzione di farmaci che hanno notevole valore economico nel mercato illegale dei farmaci (metadone, stupefacenti, ecc.); l'accesso senza restrizione di visitatori presso ospedali e strutture ambulatoriali; le lunghe attese nelle zone di emergenza o nelle aree cliniche, con possibilità di favorire nei pazienti o accompagnatori uno stato di frustrazione per l'impossibilità di ottenere subito le prestazioni richieste; il ridotto numero di personale durante alcuni momenti di maggiore attività
(trasporto pazienti, visite, esami diagnostici).