Lavoro e Professione

I pazienti promuovono la capacità dei chirurghi ma bocciano la loro insensibilità

Poco disponibili ad ascoltare i pazienti che non confortano e supportano durante il ricovero: la pensa così il 10% dei pazienti sugli aspetti relazionali e comunicativi dei chirurghi. Promossa invece dal 64% la conoscenza della malattia da parte degli specialisti e valutato, dal 62,9%, con il massimo dei voti il trattamento medico ricevuto.

I dati sulla qualità del lavoro dei chirurghi italiani e l'assistenza dei reparti in cui lavorano sono quelli della ricerca «La settimana dell'ascolto», curata dalla Fondazione chirurgo e cittadino (Fcc), patrocinata dall'Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) e da Cittadinanzattiva, presentata oggi a Firenze al congresso dell'Acoi.

Un'indagine su oltre 2.400 utenti che hanno usufruito delle cure chirurgiche, grazie ad un questionario inviato ad oltre 240 reparti corrispondenti a 200 aziende ospedaliere.

«Leggermente inferiori - si legge - sono i giudizi positivi accordati ad aspetti di carattere tecnico-organizzativo come la frequenza delle visite giornaliere, valutata con il massimo dei voti solo dal 46%, e la durata della singola visita, dal 42,7% dei pazienti, che nel 13% la valuta come 'non adeguatà». Per il 74,9% degli intervistati l'esperienza in reparto era legata ad un ricovero o un intervento, nel 22,3% per un piccolo intervento. Mentre il 50% ha avuto un solo ricovero nell'ultimo anno, il 55,4% di tipo ordinario o preventivato e programmato. Il 92,7% degli intervistati ha optato per il pubblico e oltre uno su cinque è stato in una struttura della Regione Lombardia.

Dalla ricerca emerge come, nella stragrande maggioranza dei casi (88,4%), i pazienti dichiarano che la durata della degenza è stata in linea con quanto preannunciato dai medici in sede di pre-ricovero. Solo il 6,9% invece afferma di aver avuto una degenza troppo breve. Infine il 4,7% ritiene di essere stato troppo a lungo in ospedale, nel 3,6% per complicazioni post-chirurgiche. «Questo dato sembrerebbe rappresentare la percentuale di complicazioni chirurgiche attese in un campione eterogeneo, ma numericamente significativo», spiega la ricerca. Il 13,9% dei partecipanti all'indagine ha meno di 30 anni, 19,8% più di 70 anni, il 66,3% un età compresa tra i 31 e i 70 anni.

Per valutare alcuni aspetti professionali dei chirurghi, in larga parte giudicati positivi, è stato chiesto agli intervistati di usare una scala da uno a dieci (con quattro possibilità: cattivo 1-4, insufficiente 5-6, sufficiente 7-8, buono 9-10). L'aspetto che ha ricevuto i giudizi maggiormente positivi è la conoscenza della patologia dimostrata dal chirurgo che il 64% giudica buona. Ma un 10% ha dato una votazione sotto la sufficienza per quanto riguarda: la disponibilità ad ascoltare del professionista, il conforto fornito e le informazioni sull'intervento o la terapia.

Una parte di intervistati ha subito un ricovero d'urgenza (23,2%) e poco meno del 20% è stato trattato in day-surgery. Nel dettaglio degli interventi in maggioranza i pazienti hanno avuto un operazione all'apparato digerente (35,4%), segue la chirurgia di parete (14% ). Gli altri tipi di intervento raggiungono invece percentuali limitate, tutte al di sotto del 10% del totale.

Lo studio evidenzia inoltre una correlazione tra il sesso e la tipologia di intervento. «Coerentemente con le statistiche cliniche - precisa l'analisi - alcune patologie interessano in maggior misura le donne: l'apparato digerente nel 38,1% dei casi, contro il 32,2% degli uomini. Al contrario la chirurgia di parete interessa più gli uomini (22,2%) delle donne (6,1%). L'età del paziente invece evidenzia una relazione con le patologie cutanee: gli under 30 hanno subito questo tipo d'intervento con maggiore frequenza dei soggetti più adulti (24,2% contro l'8% del totale)».

Ulteriore giudizio sulla propria esperienza è dato dalla durata del ricovero. Nella maggioranza dei casi (88,4%) i pazienti affermano «che la durata della degenza è stata in linea con quanto preannunciato dai medici in sede di pre-ricovero». Solo il 6,9% afferma di «aver avuto una degenza troppo breve». Eil 4,7% ritiene di «essere stato troppo a lungo in ospedale», nel 3,6% per complicazioni post-chirurgiche.
«Quest'ultimo dato sembrerebbe rappresentare la percentuale di complicazioni chirurgiche attese in un campione eterogeneo, ma numericamente significativo», precisa lo studio.

Per migliorare gli aspetti più critici del ricovero in reparto gli intervistati hanno fornito una serie di consigli. In cima alla lista per il 45,4% c'è «una migliore comunicazione tra chirurgo e medico di famiglia». Segue per il 40,4% «la comunicazione chirurgo-paziente».
«L'esigenza di un'interazione più stretta tra personale chirurgico e cerchia personale del paziente - spiega l'indagine - rimanda a un bisogno di condivisione nel quale il soggetto sottoposto a intervento non è in grado di comprendere appieno le implicazioni del trattamento al quale sta per essere sottoposto, per cui si richiede l'intercessione di familiari e medici di base per tradurre un quadro clinico che per il malato può non essere immediatamente chiaro».
«Tale ipotesi - sottolinea lo studio - sembra essere compatibile con la richiesta di avere un solo chirurgo di riferimento, indicata dal 34,7% delle risposte al questionario. La necessità di informazioni univoche sulle implicazioni cliniche della chirurgia sembra riemergere anche tra quegli intervistati, il 26,5% - conclude - che richiede infatti opuscoli informativi».