Lavoro e Professione

Quando l'infermiera diventa mamma, la ricerca Nursind/Cergas-Bocconi

Quasi la metà delle infermiere (44%) attribuisce al lavoro l'assenza di figli o la decisione di non averne altri. E molte (45%) dicono di aver vissuto con difficoltà il rientro al lavoro in termini di conciliazione di orari, stress da adattamento, ma anche assenza di supporto da parte dei colleghi. E' uno degli aspetti del rapporto tra professione infermieristica e maternità. Il punto è stato fatto da un'indagine del sindacato delle professioni infermieristiche Nursind, elaborata dal Cergas Bocconi, pubblicata in anteprima su Il Sole-24 Ore Sanità n. 45/2013.


La maternità, sottolinea l'analisi del Cergas, è spesso vista come un "problema" per il datore di lavoro, che deve sostituire la dipendente durante la sua assenza, riorganizzare il lavoro e gestire il rientro, nonché sopportare il rischio di una riduzione dell'impegno e della flessibilità da parte della dipendente. Al contempo la maternità può avere effetti negativi anche per le mamme, ostacolandone la carriera e le opportunità professionali e a volte facendone il bersaglio di critiche da parte dei colleghi.
Tale situazione può innescare circoli viziosi se le aziende, sottolineando gli aspetti negativi della maternità, la guardano con sospetto e non provano a gestirla adeguatamente. Ciò infatti rinforza nelle donne un sentimento d'incomprensione e scarsa valorizzazione. Come conseguenza, le donne sfrutteranno al massimo gli istituti legislativi e contrattuali a tutela della maternità, riducendo impegno lavorativo e fedeltà organizzativa. Il che a sua volta confermerà i sospetti dell'azienda, in una spirale negativa connotata da reciproco sospetto e da atteggiamenti opportunistici o difensivi.
Tali problematiche, ben conosciute nella pratica e nella letteratura manageriale, sono rilevanti nella professione infermieristica, caratterizzata da forte componente femminile e alta diffusione del lavoro su turni.


Congedo parentale. L'astensione facoltativa di sei mesi entro il primo anno di vita del figlio e retribuita al 30% è stata fruita da quasi due rispondenti su tre (62%), senza differenze tra datori di lavoro pubblici e privati. Tra chi non ne ha usufruito, la motivazione più frequente è la riduzione stipendiale (60%), mentre solo il 7% cita il supporto ricevuto dalla famiglia e il 5% le pressioni organizzative per accelerare il ritorno al lavoro, implicite o esplicite (il restante 29% dà altre motivazioni, molto eterogenee tra loro).


RIiposi giornalieri per allattamento. A fruire dei permessi di due ore giornaliere per l'allattamento sono state tre rispondenti su quattro (75%), con differenze non significative tra aziende pubbliche e private.
Tra la minoranza di rispondenti che non ne hanno usufruito, la motivazione più frequente è quella di non averne avuto bisogno o comunque di non avere avuto problemi (75%). Il 12% non conosceva tale opportunità, il 6% ha ricevuto supporto dalla famiglia e un altro 6% dichiara di aver rinunciato per tutelare la funzionalità aziendale (considerato che si tratta del 6% del 25% che ha dichiarato di non aver fruito dei permessi, la percentuale complessiva risulta comunque limitata).

Congedi per malattia del figlio. Il 55% delle rispondenti ha fruito dei permessi retribuiti (al massimo per trenta giorni all'anno) per malattia del figlio fino al compimento del terzo anno di età. Si consideri però che i contratti di lavoro del settore privato non prevedono retribuzione per tali permessi. Anche per questo, solo il 22% delle infermiere dipendenti di aziende private ne hanno fruito, contro il 60% nelle aziende pubbliche.
In generale, i motivi più frequenti addotti per la mancata fruizione sono l'assenza del problema (54%), la non conoscenza di tale opportunità (14%), la tutela della funzionalità aziendale (12%, con risposte quali "non gravare sui colleghi", "non lasciare il turno scoperto" o "non creare problemi in reparto"), il supporto della famiglia (10%).

Il rientro al lavoro. Al rientro a lavoro, il 63% delle rispondenti sono tornate nello stesso reparto o servizio in cui erano impiegate prima della gravidanza. Quando c'è stato uno spostamento, le preferenze delle infermiere interessate sono state tenute pienamente in considerazione nel 13% dei casi. Nel 63% dei casi l'azienda ne ha tenuto conto "in parte", mentre nel restante 23% le infermiere affermano che non sono state considerate affatto. In alcuni casi il trasferimento è stato vissuto in maniera molto critica, in particolare quando ciò ha comportato il dover accettare mansioni professionalmente meno qualificate.


Nel caso di cambiamento dei reparto servizio, le risposte alla domanda "Ricominciando in un nuovo reparto, hai ricevuto solidarietà dalle nuove colleghe di lavoro?" ha ottenuto il 31% di risposte positive, il 25% negative, il 44% "in parte". Alcune rispondenti hanno affermato di essere state oggetto di mobbing, e tra i commenti figuravano i seguenti "ero vista male per aver chiesto l'orario ridotto per l'allattamento e sono stata utilizzata per affiancare operatori sanitari; non ho fatto più nulla di infermieristico per cinque anni" o "ho ricevuto commenti verbali da parte di altre caposala per aver usato l'orario ridotto per l'allattamento mentre altre mie colleghe non lo avevano fatto".


In generale, in più della metà dei casi (55%) il rientro a lavoro non ha dato problemi. Problemi parziali sono dichiarati nel 23% dei casi, mentre il 22% delle infermiere dice di avere avuto problemi. Tra questi, i più frequenti riguardano gli orari della famiglia da organizzare, l'ostilità e le discriminazioni da parte dei colleghi, lo stress da adattamento alla nuova situazione lavorativa e – eventualmente – al nuovo reparto o servizio, il poco supporto da parte dell'azienda ad esempio incapace di riconoscere un part time.


I risultati dell'indagine, presentati estesamente sul Rapporto di ricerca di prossima pubblicazione di www.nursind.it , offrono numerosi spunti di riflessione per policy maker, direzioni aziendali, responsabili delle professioni sanitarie. «Anzitutto emerge come il tema della conciliazione tra maternità e lavoro - conlude il Cergas - sia percepito come problematico da una percentuale importante del personale infermieristico.
Al contempo si osserva un ricorso ampio agli strumenti di tutela della maternità che la normativa mette a disposizione: non solo il congedo di maternità ma anche il congedo parentale, i periodi di riposo per l'allattamento e i congedi per malattia del figlio. L'utilizzo di questi istituti rappresenta una garanzia di estrema rilevanza per le infermiere. Un ulteriore punto rilevante riguarda il part time. L'indagine infatti ha mostrato come la maggior parte delle dipendenti che ne godono non hanno figli piccoli. Tra le infermiere con figli di età inferiore ai cinque anni infatti solo il 10% lavora a tempo parziale. Ciò segnala che, almeno negli ultimi anni, le aziende sanitarie non abbiano sfruttato tale meccanismo di flessibilità lavorativa per agevolare il lavoro delle mamme con bambini piccoli e il pieno rientro delle infermiere dalla maternità, anche perché spesso avevano già esaurito i contratti part time disponibili ex l. 183/2010.».

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