Lavoro e professione

Ginecologi all'attacco degli spot pro-denunce contro i medici: nessun vantaggio ai cittadini, ma solo agli speculatori

Stop alle campagne televisive e mediatiche pro-denunce contro medici e chirurghi accusati di presunti casi di malasanità. È questa la richiesta avanzata con forza dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), dall'Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri (AOGOI) e dall'Associazione Ginecologi Universitari (AGUI), su cui già ieri sono andati all'attacco i medici dello Snami (VEDI ) e i chirurghi dell'Acoi (VEDI )..

«Il 10% delle denunce contro i camici bianchi è a carico dei ginecologi - afferma il presidente SIGO Paolo Scollo -.. Chi sbaglia è giusto che paghi e ogni cittadino ha il diritto a rivolgersi alla magistratura se pensa di aver subito un'ingiustizia. Ma istigare la popolazione a sporgere denuncia tramite martellanti campagne mediatiche è un elemento molto pericoloso e controproducente sia per noi che per i pazienti. Il rischio è che molti medici di fronte a una severa emergenza, si rifiuteranno di assumersi potenziali e gravi responsabilità. Ma, se un chirurgo o un traumatologo possono, a volte, ritirarsi di fronte a casi complicati, questo non può avvenire per il ginecologo ostetrico, che opera in sala parto ed è costretto a prendere importanti decisioni in tempo reale per tutelare la salute di madre e neonato».

«Il rischio legato a queste campagne - prosegue il presidente AOGOI Vito Trojano - è alimentare il contenzioso che andrà così a pesare sul lavoro dei Tribunali e degli stessi medici, con forti ricadute sociali come la diminuzione della fiducia nei lavoratori del servizio sanitario nazionale. Aumenterà anche il ricorso alla medicina difensiva e i costi assicurativi per i camici bianchi. Anche perché vi è un ragionamento del tutto non condivisibile e irricevibile: il potenziale rimborso in questi casi non è a carico dello Stato ma dei suoi operatori, cioè medici, infermieri e ostetriche che purtroppo non possono intervenire in alcun modo nelle scelte aziendali strategiche riguardanti qualità e sicurezza in corsia e in sala operatoria. Questi spot non porteranno quindi nessun beneficio per la collettività ma solo ad alcuni consorzi di consulenti legali che possono speculare su questo tipo di contenzioso. Ricordiamo infatti che 9 cause legali su 10 contro i medici terminano con un'assoluzione da parte della magistratura».

«La malasanità non si combatte a colpi di spot ma migliorando la preparazione del personale sanitario» sottolinea il Presidente AGUI Nicola Colacurci.

«Noi ginecologi - concludono i tre presidenti - da anni siamo impegnati nella prevenzione di questi casi, assicurando il costante dialogo tra medici, pazienti ed istituzioni; elaborando linee guida condivise; organizzando corsi di aggiornamento; istaurando rapporti di collaborazione con le varie figure professionali che si occupano del benessere della donna. L'enorme crescita del contenzioso medico-legale è stato uno dei motivi dello sciopero del 12 febbraio 2013. Per la prima volta nella storia repubblicana noi ginecologi abbiamo incrociato le braccia per protestare contro la difficile situazione nella quale dobbiamo quotidianamente lavorare. Una possibile soluzione è stabilire un tetto massimo ai risarcimenti come già avviene negli Stati Uniti. Questo limite potrà garantire la copertura assicurativa a tutto il personale che lavora all'interno del sistema sanitario nazionale».