Lavoro e professione

Laboratori accreditati: in 3mila rischiano la chiusura. Occupazione a rischio per quasi 30mila addetti

Nei circa 3mila laboratori accreditati italiani ci sono poco meno di 30mila dipendenti che aspettano il verdetto finale: se le linee guida datate 2011 e che solo ora si stanno recependo nelle Regioni (soprattutto quelle in piano di rientro) saranno applicate alla lettera, come una "norma", dovranno dire addio al loro lavoro. Ma le linee guida sono state scritte in base a quanto previsto dalla Finanziaria 2006, quando la crisi non c'era. E di questo personale, inoltre, almeno tremila persone stanno seguendo il percorso formativo del triennio per la laurea breve di tecnico di laboratorio e per le altre lauree attinenti a laboratori e ambulatori, senza a questo punto sbocchi lavorativi, visto che il privato ha un destino breve e nel pubblico c'è il blocco del turn over.

A illustrare la situazione è l'Anisap, l'associazione dei laboratori privati accreditati. «Non chiediamo leggi, ma solo di rivedere le linee guida - spiega Valter Rufini, direttore generale Anisap - tenendo presenti le esigenze attuali dei servizi sul territorio e soprattutto il fatto che in questo modo, riducendo i laboratori a soli punti prelievo, si tagliano definitivamente le gambe all'imprenditoria privata che finora ha garantito, come testimoniano i controlli, la qualità nelle prestazioni erogate».

Le linee guida, infatti, trasposte nelle delibere delle Regioni, sono state interpretate nel senso che nel primo anno della loro applicazione un laboratorio per essere accreditato per l'attività analitica "deve" eseguire almeno centomila prestazioni che diventano duecentomila negli anni successivi. Tradotto, spiega Rufini, solo una decina di laboratori accreditati in tutta Italia potranno mantenere questo status.

«Le incongruenze di queste scelte sono tante - dice Guido Cimatti, che dell'Anisap è responsabile per il Lazio, una delle Regioni più colpite dai "tagli" -. I nostri laboratori eseguono singolarmente anche oltre 50mila prestazioni l'anno con una caratteristica fondamentale: la prossimità al paziente. Una necessità di cui si sono rese conto quelle Regioni che finora hanno realizzato maxi-strutture centralizzate, ma che hanno dovuto anche creare laboratori intermedi negli ospedali per le urgenze, che davvero non svolgono 100mila prestazioni il primo anno e 200mila negli anni successivi. Alla fine, dato che le prestazioni a noi sono pagate a tariffa fissa, la nostra organizzazione è simile. E le nostre strutture nel solo Lazio eseguono circa 20 milioni di prestazioni l'anno, quanto il miglior laboratorio centralizzato a livello regionale. Inoltre - prosegue Cimatti - nelle Regioni dal Lazio (escluso) in su, non è stato imposto ai laboratori accreditati di cessare l'attività, ma sono stati inaspriti semmai i tetti di prestazioni che possono erogare per il servizio pubblico e rivisto, ma salvaguardato, il rapporto pubblico-privato lasciando alla concorrenza il resto della loro attività».

In più, spiega ancora Cimatti, il tetto delle 100mila prestazioni diventa una meta irraggiungibile se si pensa che del tariffario delle prestazioni di laboratorio erogabili per il Ssn, gli accreditati possono eseguire solo una minima parte. A esempio il colesterolo totale è convenzionato, l'Hdl colesterolo e Ldl colesterolo come anche le apolipoproteine, tutte analisi che servono per fare diagnosi di dislipidemia sono a pagamento anche per chi è esente. E ancora, l'emoglobina glicata, esame che serve per fare diagnosi di diabete e per monitorarne l'andamento il cittadino la paga anche se esente per diabete o gli esami per la gravidanza come la ricerca di anticorpi per rosolia, toxoplasmosi, herpes virus, citomegalovirus, Hiv sono a pagamento così come a pagamento è la determinazione del gruppo sanguigno o gli esami per la diagnosi e il monitoraggio dell'osteoporosi.

«Riorganizzare è tenere conto delle esigenze del territorio e sono le Regioni nella loro autonomia a dover valutare chi, come e che cosa. Ma attualmente solo un dato è certo: la volontà di "eliminare" il privato e di bloccare la sua imprenditorialità. Gli imprenditori sono aperti a tutte le soluzioni che, ovviamente, non siano la chiusura dell'attività, avviata con un accreditamento che ha rispettato tutti i parametri di legge prescritti per lavorare con il Ssn».

«Se tutte le Regioni - aggiunge Rufini - hanno applicato al privato il meccanismo di tetti di prestazioni, come si potrebbero raggiungere gli indici previsti dalle linee guida? Non vogliamo lasciare tutto immutato - chiarisce - ma chiediamo un confronto per rileggere le linee guida, riorganizzare davvero il settore e non "abolire" il privato tout court in oltre metà del Paese».

Un altro paradosso descritto da Rufini è quello che accade proprio nel Lazio, dove la Regione ha accreditato provvisoriamente le strutture prima convenzionate che negli anni si sono "allargate" realizzando veri e propri poliambulatori dai quali però ora dovrebbe scomparire la patologia clinica, lasciando il resto in attività: «Che senso ha?», chiede Rufini.

«Siamo disponibili anche a un rapporto diretto pubblico-privato» aggiunge Cimatti. Che spiega: «In un ospedale romano c'è un centro di eccellenza di biologia molecolare per la compatibilità tissutale (celiachia ecc.) e potremmo accettare i prelievi e inviarli a questo centro con un rapporto commerciale, lasciando però sul territorio tutta la pre-analitica».

«Siamo pronti a un confronto - conclude Rufini - e abbiamo mandato lettere a tutto il Parlamento e al Governo per chiedere di calibrare meglio gli interventi sulla situazione del Paese, soprattutto da Roma in giù, per garantire un servizio efficiente, ma anche un equilibrio sociale. Quanto già previsto nel Dlgs 502/1992 che poneva il privato sullo stesso piano del pubblico è un principio, a quanto pare, ormai dimenticato. E senza alcuna programmazione in molte Regioni dell'offerta sul territorio».