Lavoro e professione

Allarme ricoveri-bis: sono il 4% secondo i chirurghi Sic. Ma la sindrome da porta girevole arriva fino al 15%

L'allarme deriva da uno studio Uso ma, garantiscono i chirurghi italiani, la "sindrome della porta girevole" è ben presente anche in Italia. Tra il 9 e il 15% dei pazienti rientra in ospedale dopo un ricovero, il 4% della chirurgia. Circa 16mila casi l'anno, le cui cause sono correlate all'intervento come emorragie, infezioni locali o sistemiche, interventi massivi o a cielo aperto, tempi di degenza troppo contratti, dovuti alla necessità di ottimizzare le spese.

Eppure, correre ai ripari si può. Se ne parla in questi giorni al congresso Sic, in corso a Roma fino al 15 ottobre: a spiegare il fenomeno è Francesco Corcione, presidente eletto della Società di Chirurgia: «Un recente studio effettuato su 2milioni e 400mila pazienti americani da Keith Kocher dell'University of Michigan School of Medicine e pubblicato su Lancet ha riscontrato come quasi un paziente anziano su 5 torni al Pronto soccorso dopo un intervento chirurgico: il 17,3% una volta e il 4,4% più volte nei 30 giorni successivi. L'analisi è stata effettuata su pazienti con più di 65 anni sottoposti ai sei interventi chirurgici più comuni negli Usa: angioplastica, bypass coronarico, aneurisma addominale, frattura di anca, neurochirurgia per la schiena e resezioni del colon per cause oncologiche operati nell'ambito del servizio Medicare che assiste gli over65».

«Diminuire questi numeri è possibile - prosegue però Corcione -. Si è visto che il tasso di complicanze dopo un intervento alla colecisti eseguito in laparoscopia e quindi con tecniche mini-invasive è sceso dal 2,28% del 2010 al 1,52% nel 2012 (dati Programma nazionale Esiti dell'Agenas 2013 che ha valutato gli indici di outcome di 1400 ospedali pubblici e privati). La chirurgia in questo senso conferma la sua eccellenza e l'alto livello di assistenza».

Studi internazionali come quelli di Vashi (JAMA. 2013 Jan 23;309(4):364-71) e Jencks (N Engl J Med 2009; 360:1418-1428) hanno stimato un tasso medio di riammissioni tra il 12 e 18% (1 paziente su 6) con un costo di 7.500 dollari a paziente che potrebbe essere evitato in una percentuale di casi che varia tra il 20 e il 40%. Come? Migliorando - ricordano dalla Sic - la qualità delle cure e soprattutto con una più efficace gestione della dimissione del paziente, con istruzioni più chiare e un dialogo con la medicina di territorio. La gestione della dimissione dal setting ospedaliero deve quindi essere ottimizzata per facilitare la presa in carico del malato da parte dell'assistenza territoriale, che a questo punto sostituirebbe l'ospedale nell'assumere il ruolo di riferimento principale per il paziente e i suoi eventuali (ulteriori) bisogni di cura.

Un paziente chirurgico è comunque più fragile, ha modificato le proprie abitudini, è stato allettato, ha ricevuto farmaci e altri medicamenti che possono alterare le condizioni fisiche e cognitive che aprono la strada ad una nuova patologia o a un malessere che non si esaurisce con la convalescenza e che necessita di ulteriori cure. Sono stati identificati diversi fattori su cui intervenire: check list scrupolose, tecniche chirurgiche impeccabili e standardizzate, uso di strumenti avanzati in sala operatorie per il controllo delle complicanze, selezione dei pazienti da trattenere in Terapia intensiva, tutto questo rende la chirurgia più sicura.

Un importante studio pubblicato su Lancet (9847, 22 settembre 2012) sulla mortalità post-chirurgica per tutti gli interventi non cardiaci eseguito su un campione di 498 ospedali in 28 paesi europei, ha sottolineato come 1 o 2 giorni di degenza in Terapia intensiva possano evitare ben il 43% dei decessi, ma l'utilizzo di questa struttura è talora condizionato dai livelli di spesa sanitaria delle singole realtà locali.

Sempre meno invece le infezioni del sito chirurgico (Isc) tenute sotto controllo grazie alla accurata profilassi preoperatoria. A questo proposito durante il Congresso si terrà una relazione proprio sulla Negative pressure Wound Therapy, un sistema per trattare le infezioni in siti potenzialmente contaminati o in pazienti particolare come quelli obesi.