Lavoro e professione

Cure palliative, metà dei malati oncologici «tace» il dolore

Quasi metà dei malati oncologici tace il dolore. E' quanto emerge da una ricerca condotta dall'istituto di ricerche Doxapharma in collaborazione con la Società Italiana di Cure Palliative (Sicp) e con il supporto incondizionato di Teva, leader mondiale nel campo dei farmaci equivalenti.

Il dolore è ancor più dolore se tace, scriveva oltre un secolo fa Giovanni Pascoli. Eppure, nonostante dal 2010 una legge italiana autorizzi l'uso di farmaci per il trattamento del dolore e obblighi gli operatori sanitari ad alleviarlo in tutte le sue forme, una parte consistente di malati rifiuta le cure.

La ricerca è stata presentata nell'ambito del XXI congresso nazionale della Sicp svoltosi da giovedì 9 a domenica 12 ottobre ad Arezzo, cui hanno partecipato oltre 1.000 specialisti di tutta Italia.

Il campione Doxapharma riguarda la quasi totalità degli hospice sul nostro territorio: tramite un questionario via web, sono stati interpellati circa 300 tra medici palliativisti e infermieri da Nord a Sud. Tema dell'indagine era il breakthrough cancer pain (Btcp), in italiano dolore episodico intenso o Dei: un fenomeno, spesso improvviso e imprevedibile, che colpisce soprattutto malati oncologici in fase terminale già trattati con oppioidi.

Una patologia considerata molto rilevante dalla maggioranza degli intervistati (58% di palliativisti e 78% di infermieri) ma, stando al campione della ricerca, ancora sottostimata (70% dei palliativisti e 79% degli infermieri). Il problema - hanno rilevato con la medesima identità di vedute palliativisti e infermieri -, è che il Btcp non è facile da diagnosticare; inoltre manca una definizione universalmente condivisa.

Per i non addetti ai lavori come i care giver, ovvero i familiari dei malati, il breakthrough cancer pain è invece un fenomeno quasi sconosciuto. Eppure sui malati ha effetti devastanti. E' qualcosa di "atroce" e "lacerante", secondo le testimonianze raccolte dai ricercatori; "una coltellata improvvisa" che "impedisce di ragionare e rimanere lucidi".

Una tipologia di dolore che compromette pesantemente la qualità della vita dei pazienti in tutti i suoi aspetti: dall'alimentazione al sonno, dalla mobilità alle relazioni sociali. Dai dodici colloqui individuali condotti dai ricercatori Doxapharma con specialisti, infermieri e care giver (che si sommano alle 300 risposte via web), emerge che i malati colpiti da Btcp tendono a evitare di alzarsi dal letto per timore che il dolore ritorni; a riposare male; a rifiutare il cibo e infine ad auto-isolarsi. Non solo: il Btcp innesca sentimenti di sconforto, genera ansia e suscita paura. La cosiddetta memoria del dolore, secondo la definizione dei palliativisti: una volta provata una sofferenza così lancinante, il malato vive nel timore che gli succeda di nuovo. Così, anche quando avverte un dolore sopportabile, torna con la memoria all'episodio precedente e gli sembra di non poter resistere.

Per controllare il Btcp vengono oggi utilizzati oppioidi a rilascio rapido, molti dei quali per via orale o in formulazioni sublinguali, stick e spray, che si sono rivelati efficaci nel ridurne l'effetto negativo, con conseguenze benefiche sulla qualità di vita dei malati.

Eppure, dalla ricerca Doxapharma emerge che una grande parte dei pazienti colpiti da Btcp (il 46% secondo i palliativisti e il 33% secondo gli infermieri) chiede di non essere trattato. Un dato sorprendente.

Piero Morino, direttore del coordinamento cure palliative dell'Azienda Sanitaria di Firenze e membro del direttivo Sicp, parla di "sindrome dell'eroe". «Il paziente pensa che l'efficacia delle cure dipenda da quanto lui è bravo o sopporta il dolore. Perciò minimizza o tace. Oppure dice resisto. Una follia, perché la resistenza nel paziente oncologico non è un concetto terapeutico».

Inoltre in Italia permane una forte resistenza nei confronti degli oppioidi. Tant'è: nonostante l'Italia sia inserita dall'Oms tra i Paesi che hanno un sistema avanzato di cure palliative, nell'impiego di oppioidi risulta ancora ultima in Europa. «La morfina viene associata a un farmaco-pre morte», aggiunge Morino. «Invece, se usata in modo appropriato, così come tanti altri oppiodi utilizzati da noi palliativisti, è un analgesico efficace e con pochi effetti collaterali».

Non ultimo vi è un problema di comunicazione. E' proprio il malato, secondo l'indagine realizzata da Doxapharma e Sicp, a segnalare per primo il Btcp. Però non trova le parole per descriverlo correttamente e non possiede gli strumenti per riconoscerlo. Bisognerebbe, convengono medici e infermieri palliativisti, informare preventivamente il paziente sull'esistenza di questa forma di dolore e rassicurarlo sul fatto che si può controllare con farmaci "di scorta".

«Compito del palliativista è proprio prendere in carico il malato nella sua totalità: dal punto di vista clinico, psicologico, umano», conclude il direttore della Fondazione Roma Sanità Italo Penco, anch'egli nel direttivo nazionale Sicp. «Solo cercando di capire perché un malato ha dolore e quali sono le sue paure più profonde, lo si può aiutare a combatterle e migliorare la sua qualità di vita».