Lavoro e professione

Patto salute/ Formazione in corsia, Sigm: «Evitare la dequalificazione professionale»

di Andrea Silenzi (vicepresidente Sigm) e Andrea Ziglio (coordinatore Dipartimento Specializzandi Sigm)

Annus Horribilis della formazione medica. Così potrebbe essere ricordato l'anno accademico 2013/2014 che ha visto susseguirsi una serie continua di errori, decisioni affrettate e disservizi che stanno minando dalla base i professionisti che da sempre sono al centro della sanità italiana.

Dopo la breccia aperta sull'accesso programmato a medicina e i conseguenti disservizi causati al primo anno del corso di laurea in medicina e chirurgia, complice il caos bonus maturità, ma anche un certo eccesso di "invadenza" della Giustizia Amministrativa, sono arrivati in meno di 60 giorni altri due duri colpi alla tenuta del sistema, prima con i numerosi disservizi registratisi nelle selezioni regionali per l'accesso ai corsi regionali di formazione specifica di medicina generale e poi con il caos generato dall'inversione delle prove del concorso nazionale di accesso alle scuole di specializzazione.

A complicare il quadro, giungono le ulteriori notizie allarmanti in merito al futuro dei giovani medici Italiani, con riferimento sia alla formazione post lauream sia, a breve e medio termine, al mondo del lavoro. Il Ddl delega su "gestione e sviluppo delle risorse umane", redatto in prima versione il 5 novembre 2014 dal Tavolo politico previsto dall'art. 22 del Patto per la Salute, infatti, sembra prevedere degli stravolgimenti in tema di formazione post lauream dei medici.

I giovani medici abilitati potrebbero accedere al Ssn anche in assenza del diploma di specializzazione (si presume a seguito di un pubblico concorso), sotto un inquadramento strutturale non dirigenziale, con un trattamento contrattuale equiparabile a quello del comparto sanitario (si andrebbe verso una sorta di parificazione di medici e infermieri), con la possibilità per solo una parte dei medici abilitati coinvolti di entrare in soprannumero, al termine di un non meglio definito periodo di prova, in una scuola di specializzazione di area sanitaria.

A prima vista, la notizia potrebbe apparire allettante, visto il gap crescente tra il numero di laureati in medicina e gli sbocchi nel post lauream (scuole di specializzazione e corsi regionali di formazione specifica di medicina generale), se non fosse che, a fronte dell'istituzione e inserimento di tali nuove figure professionali (neanche lontanamente paragonabili agli attuali specializzandi, sia per status che per diritti e tutele), sarebbe prevista la contestuale soppressione dalle dotazioni degli organici dei differenti Servizi Sanitari Regionali di un numero di posti equivalenti sul piano finanziario.

Quindi, si restringerebbero ulteriormente le possibilità per i giovani medici di sbocchi nella dirigenza medica, insistendo peraltro due percorsi paralleli che creerebbero medici di serie A e di serie B, e creando i presupposti per una continuata conflittualità latente ai fini dell'accesso alla dirigenza medica, permarrebbe la loro esposizione alla responsabilità professionale, ma, soprattutto, si andrebbe incontro ad un pericoloso abbassamento degli standard di qualità della formazione.

Riformare con quale obiettivo? Garantire l'impiego di personale medico a basso costo e a rapido turn over in strutture periferiche di dubbia efficacia e probabile insicurezza per i cittadini che nessuno ha il coraggio di chiudere? Di tali restrizioni ne soffrirebbero in particolare gli attuali laureati abilitati e studenti in medicina, che si vedrebbero limitare rapidamente nel tempo le possibilità di assunzione.

È il redde rationem che porta dritto alla definitiva dequalificazione professionale, ad un piegarsi nei fatti della Medicina alle esigenze strutturali delle Regioni e dei rispettivi Servizi Sanitari Regionali che, diciamolo chiaramente, in questo caso non rappresentano le esigenze dei cittadini.

Inoltre, il voler inquadrare i medici "in categoria non dirigenziale nell'ambito dei rispettivi contratti di area III e IV, i cui livelli retributivi siano equivalenti a quelli previsti per la categoria DS del comparto" va in controtendenza rispetto ad una consolidata realtà europea fatta di assistenza e mobilità professionale transfrontaliera, che vedrà professionisti formati in altri Paesi quali potenziali competitori dei medici Italiani, tanto all'estero quanto nel territorio nazionale.

Con quali modalità si garantirebbe l'ammissione in sovrannumero alle scuole di specializzazione? Il rischio è che il tutto venga fatto in assenza di alcun criterio di programmazione e di una metodologia scientificamente fondata per definire i fabbisogni di medici (basti guardare all'attuale programmazione dei fabbisogni esitata dalle singole Regioni, che seguono la logica del trend dei pensionamenti, mentre è ormai prassi all'estero pianificare nel tempo secondo i trend epidemiologici ed il carico di malattia. Ovvero ciò che serve per rispondere alla semplice domanda: quanti medici sono necessari alla mia comunità e di quale specializzazione).

In aggiunta, tanto il sistema di selezione per l'assunzione nel SSR, quanto

le modalità di accesso alle scuole in sovrannumero, che verrebbe regolamentato da appositi Protocolli tra Università e SSR, potrebbe portare al rischio di un ritorno del sistema clientelare del passato. Come noto, infatti, la politica regionale si alimenta in gran parte dei "voti della sanità" e l'ampia discrezionalità di scelta da parte dei Direttori Generali dei responsabili di struttura semplice o complessa, ad esempio, è addirittura scritto nero su bianco nella normativa di riferimento.

Chi scrive, condividendo e rilanciando la storica posizione dell'Associazione Italiana Giovani Medici (SIGM), da sempre pronta a sostenere i diritti dei giovani medici e in particolare il diritto a una formazione di qualità, ritiene quanto mai urgente aprire un dibattito con l'opinione pubblica su quanto sta accadendo a garanzia del futuro di chi è chiamato a tutelare con la propria opera professionale la salute dei cittadini. In tal senso, la strada maestra utile e opportuna appare senza dubbio l'integrazione delle migliori esperienze ed eccellenze che possano esprimere i vari ambiti della sanità, creando una piena osmosi tra Università e SSN (nella sua duplice declinazione di Ospedale e Territorio).

Che una riforma della formazione medica e di area sanitaria vada fatta questo è ormai assodato e sono i giovani medici italiani i primi a chiederlo. Quello che è necessario evitare è un salto dalla padella alla brace, ovvero una discesa nell'abisso della dequalificazione professionale che sembra il risultato più immediato dell'impianto descritto dall'attuale bozza del Ddl in questione.

La stessa Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri dovrebbe comprenderlo e adoperarsi in tal senso in modo chiaro e palese, senza la retorica ad oggi adottata: oltre alla lettera recentemente indirizzata al Presidente del Consiglio, nella quale il Presidente FNOMCeO richiedeva di "reingegnerizzare un sistema che sia idoneo a garantire a tutti i giovani che si laureano in Medicina e chirurgia non un lavoro certo ma quanto meno la possibilità di competere per un lavoro agendo o sul braccio formativo o sulle regole di accesso al lavoro o molto meglio su entrambi", è tempo che il massimo organismo di rappresentanza della Professione si pronunci in merito al testo del Ddl 5 novembre 2014 che, così come formulato, mortifica l'essenza stessa della Professione Medica.

In definitiva, utile e opportuno aprire una discussione franca su una riforma dell'impianto della formazione medica pre e post lauream, ma occorre reperire in parallelo i fondi utili a garantire il diritto di formazione a chi, da medico abilitato, è già oggi un incredibile risorsa accantonata e non valorizzata, pronta a sbocciare quale valore aggiunto per la nostra sanità e per la tutela del diritto alla salute dei cittadini.

Occorre adottare degli indicatori di performance assistenziali, in modo da selezionare i contesti più idonei a garantire una adeguata e qualitativamente fondata formazione e professionalizzazione dei giovani medici. Il Ministero della Salute, AgeNas e altri Enti istituzionali hanno tutte gli strumenti per poterlo fare, manca solo la volontà politica di riconfigurare e "svoltare" un sistema, ad oggi, ingessato e completamente piegato su se stesso.

La formazione dei medici, e in particolare una formazione con adeguati standard di qualità, rappresenta per definizione un asset strategico per il SSN, nella misura in cui medici adeguatamente formati e addestrati, se posti in un contesto organizzativo virtuoso, possono garantire un ottimale soddisfacimento del bisogno di salute espresso dalla popolazione, in ciò permettendo di guadagnare salute e quindi risparmiare risorse preziose che possono e debbono essere reinvestite nelle giovani generazioni.