Lavoro e professione

«Me ne vado dall' Italia». E diventa il più giovane cardiochirurgo pediatrico della Gran Bretagna

di Eleonora Chioda (da www.ilsole24ore.com)

È italiano il più giovane cardiochirurgo pediatrico in Uk. Si chiama Simone Speggiorin, ha 37 anni e un curriculum straordinario. Ma in Italia per lui non c'era posto. Così, nel 2010, ha preso baracca e burattini ed è andato a cercar fortuna all'estero. Oggi lavora al Glenfield Hospital di Leicester, a 140 chilometri da Londra, è un chirurgo "strutturato" (ossia ha una sua sala operatoria, i suoi pazienti, un'equipe che lo supporta) ed è stimato a livello internazionale. Opera bambini a cuore aperto o con malformazioni alla trachea.

C'è di più. Fa parte di "Healing Little Hearts", un'organizzazione di beneficenza con la quale opera in diversi ospedali in India. Quattro volte l'anno, prende qualche giorno di ferie e va a curare i bambini più bisognosi. La sua storia ha affascinato la Bbc, il British Medical Journal e molte testate internazionali. «E' quasi un anno che non rilascio interviste. Non sono un eroe. Sono uno dei tanti che se n'è andato dall'Italia perché in Italia non c'era spazio» racconta al Sole24Ore.

Sono le 3 del pomeriggio, Simone è appena uscito dalla sala operatoria. Inizia ogni mattina alle 7. In 4 anni di carriera ha già operato circa 500 bambini, un traguardo impossibile per un giovane chirurgo in Italia. Figlio di un ex calciatore, di Olmo di Martellago (Ve), Speggiorin si laurea in Medicina a Padova. Fa tutto in sei anni. Discute la tesi in cardiochirurgia pediatrica e subito dopo entra all'ospedale di Padova per la specializzazione.

«Dentro di me, però, c'è sempre stata una voce che mi ripeteva: cosa faccio dopo? Cosa faccio dopo? Il mio primo mentore, il professor Giovanni Stellin, sapeva che finita la specialità non avrebbe potuto offrirmi un lavoro in Italia e mi invitava a partire per completare il training. I cardiochirurghi pediatrici sono passati tutti da un'esperienza all'estero. Uscire ti apre la mente, capisci come si fa e poi ti metti alla prova».

Così Speggiorin inizia a studiare medicina sui testi inglesi e perfeziona la lingua. A 28 anni ha un dottorato di ricerca in anatomia cardiaca. E' già stato a Londra e a Boston. Poi, torna a Padova dove finisce la specialità. E si mette a cercare lavoro in Italia. Nulla.

La sua prima occasione arriva con il professor Martin Elliott, direttore del Great Ormond Street Hospital di Londra (uno dei 5 migliori ospedali pediatrici al mondo) che, a Padova per un lavoro, conosce Speggiorin e lo invita a seguirlo.

«Sono partito lasciando a casa tutto. Gli affetti e le sicurezze del "sistema Italia". Arrivato a Londra già specialista in cardiochirurgia mi hanno detto: ok, ora ricominci da zero. Si dice junior, in pratica ti rimbocchi le maniche e ritorni a fare lo specializzando. Devi imparare come stare in una sala operatoria, che è un posto dove vige una disciplina quasi militare. Devi capire tutto quello che gira intorno a quel tavolo e non è detto che tu sia bravo. E poi pensavo di saper l'inglese, mi sbagliavo. Ho passato le sere dei primi tre mesi in terra straniera con il mal di testa».

Intanto partecipa a un concorso per un posto all'ospedale di Ancona. Gli rispondono 3 anni dopo. «Avrei dovuto mettere la mia vita in modalità pausa per tre anni e aspettare la loro risposta? Non era nei miei piani».
In un anno a Londra il medico brucia le tappe, diventa senior.

«Se vuoi fare il chirurgo, devi fare chirurgia». Il professor Elliott gli parla di un ospedale a Bangalore in India, il Narayana Hrudayalaya Hospital, dove cercano chirurghi perché sono tantissimi i bambini che nascono con le malformazioni al cuore. In quell'ospedale si fanno 2.500 interventi l'anno. Speggiorin cerca un posto e lo trova. Ha 33 anni e in tasca un biglietto di sola andata. Arrivato in India vive un'esperienza durissima.

«Non ho trovato l'America, ma un Paese povero. Lavoravo 18 ore al giorno, 6 operazioni ogni giorno per 6 giorni la settimana. Guadagnavo 300 euro al mese. In 10 mesi, ho operato 350 bambini».

Poi quella voce comincia a rifarsi sentire: "cosa faccio dopo?" Decide di programmare di nuovo il suo futuro. Manda 30 curricula a tutte le unità di cardiochirurgia pediatrica del mondo. Scrive in Europa, a Singapore, a Santiago, a Cape Town, in Australia. Lo chiamano Sidney e Leicester, in Uk. Sceglie di avvicinarsi a casa, ma l'India gli resta nel cuore ed entra a far parte di una charity.

«In Italia? Non torno, non ora. Me ne sono andato perché il nostro non è un Paese per giovani. I miei compagni di università sono quasi tutti all'estero. Eravamo un gruppo di persone consapevoli che, se volevamo qualcosa, dovevamo andare a prendercelo. Del gruppo, io non sono il più bravo. Tra i miei amici c'è Paolo De Coppi, lo scienziato di 41 anni che ha scoperto le cellule staminali nel liquido amniotico. Lavora a Londra. Ho un amico in Silicon Valley che crea una startup dopo l'altra. Un altro mio coetaneo di Padova è professore di economia in Australia».

«Io rappresento soltanto il campanello d'allarme di un malessere che c'è in Italia. Qui ho raggiunto un livello che sarebbe impossibile nel nostro Paese. Il sistema sanitario italiano è gerarchico. Il sistema inglese mette tutti allo stesso livello. Certo ti pagano bene, ma devi essere pronto. Entri in ospedale con molte più responsabilità, nessuno ti protegge, inizi a non dormire la notte, ci metti la faccia, c'è un alto livello di stress. A 60 anni ti considerano "temporaneo", a 65 ti mandano in pensione. C'è un'attenzione maniacale ai protocolli, ai dettagli, alla soluzione dei problemi. Tutti possono esprimersi. Anche chi pulisce i pavimenti può segnalare un medico che non si lava le mani, prima di toccare un paziente, come impone il protocollo».