Lavoro e professione

Fondazione Gimbe: tutti gli sprechi della ricerca

di Nino Cartabellotta (presidente Fondazione Gimbe)

A 23 anni dalla sua nascita, l'Evidence-based medicine (Ebm) è stata recentemente dichiarata "ufficialmente in crisi" da Greenhalg et coll. (Bmj 2014; 348: g3725) in quanto, concentrandosi eccessivamente su aspetti statistici e metodologici, ha perso di vista il suo vero obiettivo: migliorare la salute delle persone e ottimizzare l'utilizzo delle risorse grazie a un'adeguata integrazione delle migliori evidenze in tutte le decisioni professionali, manageriali e di politica sanitaria. Gli autori, tuttavia, non vanno alla radice del problema: infatti, i veri limiti dell'Ebm discendono dall'articolato processo con cui la ricerca viene finanziata, prodotta e pubblicata generando le evidenze su cui basare la medicina e l'assistenza sanitaria. Oggi, infatti, la ricerca biomedica è afflitta da un fenomeno imbarazzante e sempre più diffuso: numerose scoperte inizialmente promettenti non determinano alcun miglioramento nell'assistenza sanitaria perché solo raramente la ricerca concretizza evidenze robuste e affidabili.
La prestigiosa rivista The Lancet, con la serie "Research: increasing value, reducing waste", ha recentemente analizzato questo allarmante fenomeno concludendo che la maggior parte delle risorse investite nella ricerca non migliora l'assistenza sanitaria né la salute delle popolazioni, perché il sistema attuale genera ingenti sprechi a 5 livelli: la definizione delle priorità della ricerca, le metodologie di pianificazione, conduzione e analisi statistica dei trial clinici, il processo di gestione e regolamentazione della ricerca, l'accessibilità a tutti i dati raccolti dai trial e la reale utilizzabilità dei risultati.
La serie di The Lancet richiama iniziative e strumenti che hanno recentemente trovato una favorevole convergenza per migliorare metodologia, etica, integrità, rilevanza e valore sociale della ricerca: la Dichiarazione di Helsinki, i reporting statement (Consort per i trial clinici e Spirit per i protocolli di trial), l'iniziativa All-Trials che richiede di registrare tutti i trial clinici e riportarne tutti i risultati, gli statement dell'International Committee of Medical Journal Editors (proprietà dei dati, conflitti di interesse, registrazione dei trial, authorship), il Committee for Publication Ethics che supporta gli editori delle riviste nell'identificare episodi di cattiva condotta e frodi scientifiche. Molti di questi strumenti, grazie all'impegno della Fondazione Gimbe , sono oggi disponibili in lingua italiana.
Oggi l'intero processo di regolamentazione della ricerca si dibatte in un paradosso inaccettabile: se da un lato risulta sproporzionato rispetto ai rischi reali per i pazienti, scoraggiando ricercatori e sponsor e riducendo il numero di trial approvati in Italia, dall'altro compromette gli interessi dei pazienti, sia perché dà il via libera a protocolli irrilevanti o dal disegno inadeguato, sia perché non è in grado di mettere in atto azioni concrete per garantire la pubblicazione dei risultati. Di conseguenza, i comitati etici italiani, indiscussi protagonisti del processo di regolamentazione, oltre a governare i "tradizionali" aspetti etici della ricerca (consenso informato, privacy, convenzione economica, fattibilità locale ecc.), devono introdurre in maniera sistematica nel processo di valutazione dei protocolli dei trial clinici gli standard internazionali validati.
Considerato che uno degli obiettivi istituzionali della Fondazione Gimbe è quello di migliorare qualità metodologica, etica, integrità, rilevanza clinica e valore sociale della ricerca sanitaria, in occasione della Convention sono state avanzate ai comitati etici alcune proposte concrete per una maggiore tutela dei partecipanti alle sperimentazioni cliniche:

- utilizzare lo Spirit statement, per valutare la completezza delle informazioni contenute nei protocolli delle sperimentazioni cliniche, in particolare quelle relative ad aspetti metodologici generalmente trascurati, la cui carenza influenza negativamente la qualità della ricerca sperimentale;
- approvare definitivamente le sperimentazioni cliniche solo dopo la registrazione in uno dei registri primari dell'International clinical trials registry platform, iniziativa dell'Organizzazione mondiale della Sanità, secondo la quale «la registrazione di tutte le sperimentazioni cliniche è una responsabilità scientifica, etica e morale»;
- identificare precocemente e valutare con estrema cautela i protocolli di sperimentazioni cliniche potenzialmente irrilevanti per il progresso delle conoscenze, ma che rischiano di danneggiare i pazienti e alimentare gli sprechi della ricerca. A tal proposito, la Fondazione Gimbe ha stilato un elenco di segnali di allarme, contrassegnati da red flags: il mancato riferimento a revisioni sistematiche delle conoscenze disponibili per giustificare la necessità del nuovo studio; l'esclusiva valutazione di outcome surrogati di rilevanza clinica non provata; lo sponsor che mantiene la proprietà dei dati e/o non consente l'accesso ai dati; il confronto verso placebo in presenza di trattamenti efficaci; i trial con disegno di non inferiorità; i trial di disseminazione.

Dal palco della Convention il messaggio conclusivo è stato lanciato alla politica: se oltre il 25% degli sprechi in sanità consegue alla prescrizione/erogazione di interventi sanitari inefficaci e inappropriati, perché il Ssn preferisce introdurre continuamente sul mercato trattamenti di efficacia non ancora provata piuttosto che investire in ricerca comparativa indipendente, in grado di generare conoscenze utili a ridurre gli sprechi? La Fondazione Gimbe propone di destinare alla ricerca sull'efficacia comparativa degli interventi sanitari l'1% del fondo sanitario nazionale, perché senza ricerca in grado di produrre conoscenze rilevanti e immediatamente applicabili non può esserci sostenibilità per il Servizio sanitario nazionale.

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