Lavoro e professione

Anaao: formazione medica, non vinca il gattopardo

di Carlo Palermo (vice segretario naz. vicario Anaao-Assomed) e Domenico Montemurro (responsabile naz. Anaao Giovani)

Le notizie di stampa di ieri relative al ddl delega ex art. 22 del Patto della Salute disegnavano, in merito alla formazione post laurea, la scomparsa del "doppio canale" di ingresso al mondo del lavoro, durato solo lo spazio sufficiente per alimentare inutili disquisizioni, e un nuovo sistema con la nascita, o per meglio dire, la rinascita, delle reti regionali formative ospedale/università, l'erogazione di una borsa di studio per i primi anni legati al cosiddetto "tronco comune" e la creazione di un nuovo contratto di formazione-lavoro nell'ultimo biennio di specializzazione, con oneri aggiuntivi previdenziali a carico delle Regioni. Introducendo così un'innovativa figura di medico specializzando e in formazione dirigenziale anche per anticipare il suo ingresso nel mondo del lavoro e la formazione di una posizione previdenziale. Il superamento dell'esame finale di specializzazione resterebbe prerogativa dell'università e l'accesso al Ssn attraverso il superamento del concorso pubblico.
Questa nuova proposta arriva dopo anni di critiche al sistema della formazione, giudicato dagli stessi specializzandi qualitativamente insufficiente, soprattutto per scarso rispetto, e assenza di controlli, della normativa europea che prevede il trattamento di adeguate casistiche cliniche. Del resto, circoscrivendo la presenza degli specializzandi all'interno dei soli reparti universitari, ciò non meraviglia considerando il loro numero complessivo , a livello nazionale, di circa 25mila unità, pari a circa il 20% del numero dei medici dipendenti italiani, in gran parte racchiuso nei soli centri universitari.
Quest'ultima ipotesi portata al tavolo Regioni-Ministero appare, di massima, condivisibile visto che la riorganizzazione del sistema formativo non può essere prerogativa della sola Università. Pretendere che i futuri specialisti da inserire nel Ssn siano all'altezza del ruolo professionale che li aspetta è compito delle Regioni, responsabili della qualità delle cure, e quindi del funzionamento del sistema sanitario, il cui futuro è determinato dal numero e dalla qualità professionale dei nuovi medici, aspetti attualmente monopolizzati dall'Università. Una collaborazione stretta fra l'Università e gli Ospedali del Ssn, provvisti di determinati requisiti, è necessaria per consentire agli specializzandi di svolgere quelle attività professionalizzanti previste dalla normativa europea che, per ovvi motivi di dotazione di posti letto e di numerosità della casistica, non possono essere garantite dalle sole Cliniche Universitarie. Se ogni specializzando deve acquisire conoscenze e abilità manuali di progressiva complessità, solo mettendo in rete una serie di strutture , universitarie ed ospedaliere, all'interno di un bacino d'utenza definito, è possibile garantirgli un percorso formativo adeguato, organizzando la sua presenza a rotazione sia in strutture con casistica meno complessa, sia in ospedali di più elevato livello operativo.
Da queste considerazioni si può capire quanto sia importante recuperare un ruolo formativo del sistema sanitario pubblico. Esigenza che non nasce da rivendicazioni categoriali, per quanto legittime, ma dalla consapevolezza del contributo fondamentale che il Ssn può dare alla formazione medica orientando i nuovi professionisti verso il "saper fare" e verso quei valori di qualità, efficacia, appropriatezza, corretto uso delle risorse e attenzione al sociale che possono rendere equo e sostenibile il servizio sanitario pubblico in un'epoca di risorse economiche limitate.
Non possiamo fare a meno, però, di notare ancora timidezza nell'affrontare a tutto tondo una riforma dell'intera formazione medica. Nei prossimi 10 anni avremo una consistente uscita dal sistema di medici specialisti per raggiunti limiti di quiescenza. Incrementare gli accessi alle Scuole di Medicina non risolverà il problema a causa del lungo percorso sfasato rispetto alle esigenze contingenti e l'imbuto formativo che si è venuto a creare, senza contare il rischio di ritrovarsi di fronte ad una nuova pletora medica. Occorre, piuttosto, ridurre, per alcuni anni, gli accessi a Medicina portandoli a circa 5-6000 per anno, anche per riassorbire l'aumento degli iscritti avuto negli ultimi anni in applicazione delle sentenze dei Tar, e incrementare i contratti di specialità a circa 8mila per anno, come abbiamo dimostrato nei nostri studi di programmazione sulla formazione post laurea di recente pubblicazione.
I costi economici possono essere coperti con modalità plurime: soppressione di alcune scuole di specialità non previste in Europa, riduzione della loro durata agli standard richiesti dalle direttive europee, rimodulazione delle retribuzioni per il primo biennio, compensato con l'eliminazione delle incompatibilità lavorative previste attualmente. Risorse aggiuntive potrebbero derivare da finanziamenti europei, strategici per un ulteriore bilanciamento del numero di contratti specialistici rispetto alle esigenze che si prospettano. Ed il ruolo delle Regioni non limitato alla copertura dei costi per un numero marginale di contratti di formazione, ma focalizzato sulla programmazione del numero e della tipologia di specialisti da formare, formulato annualmente in base alle necessità di sviluppo delle attività sanitarie ed ai loro modelli organizzative.
Un passo avanti quindi, se l'ipotesi emersa ieri venisse realizzata, superando le obiezioni che già affiorano a proposito di una presunta inapplicabilità della tipologia del contratto di formazione lavoro alla alta formazione medica. In tal caso, rimane, però, valida la richiesta di una contrattualizzazione a tempo determinato dei medici in formazione, che assicuri il completamento del loro iter formativo anticipando anche l'ingresso nel mondo del lavoro in posizione predirigenziale.
Il rischio è che tutto finisca, nella classica logica gattopardesca, per ridursi a rimasticare la normativa esistente, ridurre di una manciata di anni la durata di alcune scuole, continuando a tenere in parcheggio figure professionali essenziali e carenti da oggi per il sistema sanitario, ed aumentare qualche grado di libertà per Regioni che continueranno ad estraniarsi dalle necessità del sistema formativo per continuare ad appaltarlo a una istituzione altra. Che lo continuerà ad usare come ha fatto finora, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, con costi incrementali a carico dei soliti noti. E magari ci racconteranno che è stato cambiato verso e chiameranno questo fallimento rivoluzione.