Lavoro e professione

ESCLUSIVA/ Amedeo Bianco (Fnomceo): «Ecco perché lascio, la mia eredità e cosa c'è da fare per i medici»

di Barbara Gobbi

Il voto del 22 marzo prossimo scriverà la parola fine su una presidenza di lungo corso. Nove anni e tre mandati hanno convinto Amedeo Bianco a non ricandidarsi al vertice della Fmoceo. «Perché – spiega - come ho ricordato in una lettera a tutti i presidenti dei 106 Ordini provinciali, credo nell'innovazione. Nel senso che sono convinto che ognuno di noi rappresenti un'opportunità in più di portare nuove culture e nuove intelligenze, nuove passioni e nuovi interessi. Serve una Federazione che voglia mantenere vivida la sua immagine e le sue funzioni e il mio è un gesto di fiducia verso il prossimo presidente».

Quanto hanno pesato sulla scelta di non ricandidarsi le polemiche sulla doppia giacchetta di senatore e presidente di Ordine?

Non ho mai sottovalutato le ambiguità sulle linee di confine. Ciò che posso dire oggi è che il Parlamento e la cosiddetta politica hanno sempre profondamente rispettato questo mio ruolo. Quella di non ricandidarmi è una decisione che ho assunto da tempo, anche al di là di alcune polemiche. Non che non fossero degne di considerazione: non ho mai sottovalutato il disagio e l'imbarazzo, anche la contrarietà espressa da alcuni verso questo mio doppio incarico. Ma ho sempre cercato di privilegiare l'opportunità che esso poteva fornire, offrendo al mondo politico che volesse cercarlo un interlocutore che nasceva all'interno del mondo professionale. Ho sempre privilegiato l'autonomia e sono sempre stato rispettato. Certo, chi voleva attaccare e non condivideva la mia leadership o la mia appartenenza a un gruppo parlamentare, ha usato la questione del doppio incarico nelle sue argomentazioni contro la linea professionale del presidente. Questi elementi, insieme alla considerazione che ogni lunga esperienza deve avere una sua fine naturale, hanno completato il quadro che mi ha portato a non ricandidarmi.

Che Fnomceo lascia il Bianco presidente?

In questi anni la Federazione ha assunto una sua importante identità, pure in una fase molto difficile per il Paese e per la sanità italiana. In più lascio un organismo sano, con i conti in ordine, in linea con le nuove normative sulla trasparenza amministrativa e in grado di assolvere a importanti funzioni di "welfare verticale": attività di produzione culturale, di incontri, di formazione costante e di confronto portato avanti dalla federazione insieme agli ordini. Certo, resta la consapevolezza di non essere riusciti a portare a compimento tutto quello che si sarebbe voluto fare…

Sarà un presidente-ombra?

Capisco che chiunque verrà dopo dovrà confrontarsi con un pezzo di storia e uno stile di governo della Federazione che è il mio. Sono molto legato alle idee e alle rappresentazioni all'esterno del nostro mondo, che in questi anni ho contribuito a costruire. Ma se a presidente-ombra si dà un significato un po' oscuro, da boiardi, certamente questa non è la mia intenzione.

Proviamo a tracciare un bilancio tra target centrati e carne messa al fuoco. Penso ad esempio al nuovo Codice deontologico e al Ddl sulla responsabilità professionale, ancora in giacciaia.

Il primo obiettivo centrato, a mio avviso, è la faticosa ricostruzione di un sistema, che ha accolto pienamente gli Ordini con funzione di indirizzo e guida; poi c'è stata la ricostruzione amministrativo-gestionale della Federazione. Quanto al Codice approvato pochi mesi fa, malgrado la fronda di una manciata di ordini, voglio ricordare che è stato approvato da oltre 100 presidenti. E che forse non se ne discute ancora abbastanza: contiene spunti di grande attualità che presuppongono un dibattito culturale all'avanguardia, come la distinzione tra "persona" e "paziente" - che non è una mera disputa linguistica ma pone il problema del ruolo del medico e dei cittadini rispetto alla salute – e come la scottante questione delle organizzazioni sanitarie, arrivata improvvidamente a un punto di crisi e di rottura con il comma 566 della legge di Stabilità. Altri grandi temi sono la riforma degli Ordini e la responsabilità professionale, oggetto della mia produzione legislativa da senatore. In questi provvedimenti ho tradotto i punti di caduta e di analisi che abbiamo prodotto all'interno del nostro contesto professionale, dopo averli discussi, elaborati e confezionati in seno ai convegni ufficiali della Federazione.

Purtroppo questi due provvedimenti sono ancora nel limbo… che previsioni si possono fare?

La riforma degli Ordini verrà presto ripresa in commissione al Senato, la presidente della XII è ben decisa a portare avanti il provvedimento. Come noto in questi ultimi mesi il Parlamento è stato impegnato nelle grandi riforme costituzionale ed elettorale, nel varo della legge di Stabilità e nell'elezione del presidente della Repubblica. Ora l'auspicio è che l'attività legislativa ordinaria possa riprendere.

Altro discorso va fatto in merito al Ddl sulla responsabilità professionale, drammaticamente fermo in commissione Affari sociali alla Camera. Anche se alcuni asset di questa riforma sono stati trattati in altre norme: penso ad esempio all'obbligo per le aziende e gli enti pubblici e privati che erogano prestazioni sanitarie di garantire la responsabilità civile verso terzi. Ma restano in pregiudicato altre questioni di indubbio rilievo, come i profili civili e penali della responsabilità professionale in ambito sanitario - e lì alcuni interventi di Codice andrebbero fatti - e la questione delle tutele assicurative per categorie molto esposte. Mentre, ancora, il Dpr che istituisce il Fondo assicurativo non ha sufficiente forza per rispondere alla complessità di questo tema. Stiamo cercando come Federazione di lavorare con l'Enpam per affrontare le questioni più spinose, e spero che chi verrà dopo di me continuerà su questa strada che punta ad assicurare ai liberi professionisti una maggiore forza sul mercato della domanda. Manca, infine, l'applicazione delle tabelle che riguardano le invalidità, quantificate con un punteggio da 10 a 100: un passaggio cruciale che attendiamo da anni, perché definire l'entità del risarcimento è un elemento di chiarezza sul mercato assicurativo, in grado di decongestionare la virulenza del fenomeno.

Sono questi i grandi temi su cui lavorare: l'importante è che si ponga una soluzione, anche se è certo che una norma organica servirebbe tantissimo. La proposta che noi abbiamo portato al Senato e che il gruppo del Pd ha fatto sua mira ad affrontare in modo organico tutte queste questioni. E forse proprio questa sua ricerca di completezza, avvertita come una minaccia da alcune delle parti interessate in campo, ha contribuito a bloccarne l'iter.

Ha già citato il comma 566 della legge di Stabilità sulle cosiddette "competenze". Fnomceo ha assunto nei giorni scorsi una posizione molto dura, ma ormai a cose fatte…

Il comma 566 è stata una forzatura imprevista e imprevedibile, che non stava nemmeno ragionevolmente nel solco dell'articolo 22 del Patto per la salute. Ha colto tutti alla sprovvista, tra l'altro inserito com'era nel percorso blindato della legge di Stabilità. Io nell'articolo 22 del Patto, nel quale peraltro non siamo stati mai coinvolti, non riesco proprio a leggere la matrice del comma 566. E' stata introdotta una chiave interpretativa della co-evoluzione delle professioni, che è destabilizzante per tutti e che aprirà conflitti e incertezze. Oggi, rispetto alla ripartizione delle competenze tra medici e infermieri, ma domani in prospettiva nell'ambito delle competenze tra tutte le professioni sanitarie. Chi disegna i confini? Chi dice cosa è "complesso" e "specialistico"? Tra l'altro, ci si rifà a una cultura dell'organizzazione che è abbastanza datata perché ancora guarda al vecchio mansionario. Il punto è che la logica che ha scritto quell'incipit sbagliato del comma 566 è basata sulla decapitalizzazione del lavoro professionale: quest'ultimo non è considerato un valore da cui partire per organizzare l'assistenza, ma il dato da segmentare e frazionare per consentire facili e miopi risparmi su poche unità di personale. E intanto la stessa Unione europea ci sta sanzionando per il sovra-utilizzo dei nostri professionisti.

Però la Fnomceo non ha fatto le barricate davanti a una deriva così grave, se di questo si tratta…

Non sono d'accordo. Il comma 566 è arrivato come un fulmine a ciel sereno a interrompere e deviare un discorso avviato su basi ben diverse. Da ormai 15 anni la Federazione punta a mettere al centro i processi di diagnosi e cura, non negando le autonomie e le responsabilità, ma mirando a preservare le organizzazioni, i professionisti e i pazienti dallo spezzettamento che invece il comma 566 comporta. Prima della blindatura arrivata con la legge di Stabilità, ragionavamo sui possibili scenari dell'articolo 22 del Patto, che prevedeva come strumento un decreto attuativo, da riempire di contenuti ben diversi. Non ci stiamo ad adeguarci a questo disegno calato dall'alto e dannoso per tutto il sistema: abbiamo appena comunicato a governo e Regioni che non parteciperemo alla Cabina di regia sull'attuazione di questo articolo 22 snaturato.

Passiamo al tema della formazione dei medici, che con tutto ciò ha molto a che fare. Intanto, qual è il suo giudizio sul decreto Giannini, che dovrebbe liberare risorse per 700 contratti di specializzazione?

Il decreto Giannini ripara in parte l'errore compiuto anni fa con il prolungamento delle scuole di specializzazione: errore, perché allora non si valutò che ciò avrebbe reso insufficienti i finanziamenti per i contratti di formazione. Ma se questo decreto garantisce l'accesso ai circuiti formativi di altre 700 persone, ciò che si continua a non cogliere è un altro grande problema emergente e cioè che il nostro sistema formativo ha già "in pancia" una popolazione che è il doppio dell'offerta formativa specialistica. Nei prossimi 6-7 anni, infatti, si creeranno le condizioni materiali per cui i 20-25mila giovani che usciranno dal percorso formativo universitario di base resteranno a spasso. Se prima il problema era nel gap tra professionisti formati e mercato del lavoro, oggi a questa difficoltà, che pure permane, va a sommarsi quella di un'offerta formativa specialistica che a brevissimo coprirà appena la metà del fabbisogno.

Quindi la soluzione quale può essere? Limitare ulteriormente le ammissioni ai corsi di Medicina?

Intanto, ridurre i posti per i corsi di Medicina a 6.500, come da richiesta Fnomceo. Ma non basta: anche se facessimo questa operazione da domani, siamo già oggi gravidi di una popolazione studentesca più che doppia rispetto all'imbuto delle specializzazioni disponibili, e questo al netto o quasi delle ammissioni in sovrannumero in ragione delle sentenze e dei possibili arrivi dall'Europa. E qui si torna all'articolo 22 del Patto della salute, che pone il tema della formazione. Non è pensabile di aumentare a dismisura – con quali risorse? – i contratti di specializzazione. Né ci convince la proposta delle Regioni, che di nuovo fa rientrare dalla finestra la logica della decapitalizzazione del lavoro professionale, della flessibilità basata sul demansionamento, sulla precarizzazione, su status giuridici e profili di responsabilità poco chiari. Mentre è perfettamente chiara l'idea di far diventare i giovani per le aziende un serbatoio di manodopera… Ma c'è una terza opzione, che noi peroriamo: dare piena attuazione al Dlgs 517. Queste le tappe: identificare la rete formativa regionale con standard di accreditamento delle strutture idonee alla formazione che garantiscano l'acquisizione e lo sviluppo di competenze specialistiche; fare in modo che nell'ultimo anno (o negli ultimi due anni) gli specializzandi anche sotto il profilo giuridico acquistino una maggiore autonomia e possano svolgere in questo nuovo status alcune funzioni di servizio, pubbliche, di cui il Ssn e le strutture formative ricevano beneficio, ottenendo in cambio una remunerazione diversa (se non è possibile un contratto diverso) e andando a formare una "base mobile" della piramide professionale, fatta di giovani, dove si produce assistenza, cura e formazione.

E le università?

Non si pone un problema di conflitto tra strutture universitarie e regionali come luoghi di cura, nel senso che l'università resta il dominus della formazione specialistica e solo l'ultimo anno (o gli ultimi due) viene svolto nella rete formativa regionale, e sono le Regioni, in questa fase, a pagare. Così potremo utilmente assorbire tutti i giovani medici che hanno la necessità di specializzarsi che abbiamo "in pancia", nell'arco di un decennio. Ovviamente, in questa proposta non va trascurato il problema del mercato del lavoro, che è altra cosa ancora. Il presupposto per cui tutto si tenga è che venga affrontato il problema del precariato e che questi giovani medici alla base della piramide professionale non vengano usati per assorbire i vuoti di pianta organica. Del resto, di spazi di impiego ce ne sono moltissimi: abbiamo o non abbiamo un problema di liste d'attesa e di servizi da attivare?

Non si rischia l'effetto "libro dei sogni"?

Serve uno scatto di qualità, non si può usare e abusare dello straordinario dei professionisti. Questa che rilancio oggi al Sole-24Ore Sanità è una nostra proposta, che avanzammo già in precedenza e che oggi si fa quanto mai attuale, davanti alla nuova emergenza della formazione specialistica che non riesce più ad assorbire quanti escono dalla formazione medica di base. Bisogna volare alto, valorizzando la formazione specialistica dei giovani medici, che tanta linfa anche in termini di utilità sociale possono portare alle organizzazioni sanitarie.