Lavoro e professione

Nicole, appello Sip: «Stop alle differenze Nord-Sud. Razionalizzare l'assistenza neonatale»

di Società italiana di pediatria

La tragica morte della piccola Nicole farà parlare ancora per qualche giorno dell'emergenza che il Comitato per la bioetica e il Direttivo della Società Italiana di Pediatria hanno denunciato da tempo. Il documento che metteva a fuoco differenze inaccettabili fra le regioni italiane nel campo dell'assistenza neonatale e pediatrica, reso pubblico nel mese di ottobre, voleva essere al tempo stesso denuncia di una situazione inaccettabile e appello alla politica per un intervento rapido ed efficace.

La denuncia è stata sostanzialmente ignorata e l'appello ad approfittare del dibattito in corso sulla riforma del Titolo V della Costituzione per dare un segnale forte e chiaro di cambiamento è caduto nel vuoto.
Per questo riteniamo un dovere civile e morale ribadire la denuncia e rilanciare l'appello.

Ribadiamo la nostra denuncia, con le parole che avevamo usato qualche mese fa. Molte amministrazioni regionali, in particolare nel Mezzogiorno, si sono dimostrate incapaci, sotto la spinta di interessi campanilistici ed elettorali, di fare quel che avrebbero dovuto: razionalizzare l'assistenza neonatale; chiudere piccole strutture distanti tra loro solo pochi chilometri e che, spesso sprovviste di attrezzature e personale specializzato, non sono in grado di affrontare situazioni di emergenza; evitare quei trasferimenti da un centro all'altro che comportano inevitabilmente un peggioramento della prognosi e talvolta il rischio di morte. Nel caso di Nicole, come in altri, la magistratura stabilirà se ci sono responsabilità personali da perseguire. Noi riteniamo che ci sia una responsabilità "di sistema", che la confusione di ruoli fra Stato e Regioni sia un danno certo per i cittadini e che sia arrivato il momento di tornare alla semplice chiarezza dell'art. 32 della Costituzione: è alla Repubblica, non alle Regioni, che è affidato il compito di tutelare la salute «come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività».

Alcuni sostengono la tesi che la colpa non può essere attribuita alla "regionalizzazione" della sanità, perché queste differenze vengono da lontano e si sono anzi ridotte negli ultimi anni. Proprio la serie storica del tasso di mortalità neonatale (quella cioè nel primo mese di vita, che è responsabile del 70% della mortalità infantile totale), disponibile sul sito dell'ISTAT, evidenzia in modo inequivocabile come questa riduzione corrisponda a un trend iniziato molto prima e come essa abbia subito un deciso rallentamento proprio negli ultimi dieci anni, che hanno visto le regioni del Centro raggiungere quelle del Nord, mentre il Mezzogiorno non riesce a fare altrettanto.

La conclusione dell'ISTAT, nelle pagine dedicate a questo tema nell'edizione 2014 di NoiItalia, è anche la nostra: «Sebbene il tasso di mortalità infantile italiano si attesti sui livelli dei paesi più avanzati del mondo, non deve essere sottovalutata la forte variabilità territoriale, con un indubbio svantaggio del Mezzogiorno». Fino a che ci sarà questo svantaggio, fino a quando i bambini che nascono in alcune regioni italiane avranno una probabilità doppia di morire nel primo mese della loro vita rispetto a chi nasce in altre, noi non ci rassegneremo. Continueremo a dire a voce alta che la Costituzione impone di fare di più. E che non farlo significa tradirla.

Rilanciamo il nostro appello, perché quella che si pone è una ineludibile questione di equità, che riguarda in particolare i soggetti più vulnerabili.

Deve essere compito dello Stato:
1) definire le regole e i criteri di appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali su tutto il territorio nazionale;
2) monitorarne ed assicurarne il rispetto (come già previsto nell'articolo 120 del testo vigente della Costituzione).
Per questo riteniamo che il nuovo testo dell'art. 117 della Costituzione che sta uscendo dalla Camera dei Deputati non risolva questo problema.

La lettera m) riporta sotto la «legislazione esclusiva dello Stato» le «disposizioni generali e comuni per la tutela della salute». Si tratta purtroppo di una espressione ambigua e destinata a mantenere la confusione, anche perché rimane collegata alla determinazione dei «livelli essenziali delle prestazioni», che può essere interpretata da molti – e continuerà prevedibilmente ad esserlo – in senso minimalista.

Per esempio da quei deputati che hanno presentato un emendamento con il quale si chiedeva di esplicitare che quei livelli sono da intendersi appunto come i livelli minimi e che, conseguentemente, lo Stato detta non disposizioni ma semplicemente principi generali. Il ministro della Salute, rispondendo nel question time alla Camera sul tragico episodio di Catania, ha detto che, dalle prime verifiche, il problema sembra essere non di posti nelle unità di terapia intensiva neonatale, che sarebbero in Sicilia superiori a quelli fissati a livello nazionale, ma di «appropriatezza».

Nel nostro documento, noi proponevamo di riscrivere la lettera m) dell'art. 117 riconoscendo allo Stato la legislazione esclusiva rispetto alla «determinazione dei livelli appropriati e inderogabili di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, al fine di garantire una adeguata parità di trattamento su tutto il territorio nazionale». Nessun parlamentare ha ritenuto di prendere in considerazione questa proposta. Né lo ha fatto il Governo, che si sta assumendo direttamente la responsabilità di riscrivere la Costituzione. Ci sarebbe ancora tempo per rimediare e per questo rinnoviamo l'appello. E ci rivolgiamo anche al Presidente della Repubblica, che nel suo discorso di insediamento ha ricordato per ben due volte i malati e i loro diritti, che non possono essere tanto diversi a seconda che il telefono del pronto soccorso squilli in Sicilia anziché in Lombardia. Il dramma della "malasanità" non si risolve con una task force che arriva sempre dopo che qualcuno, che poteva forse essere salvato, è morto.