Lavoro e professione

Fundraising: il grande assente nella Riforma del Terzo settore

di Massimo Coen Cagli (direttore scientifico della Scuola di Roma Fund-raising .it)

S
24 Esclusivo per Sanità24

Per la prima volta il nostro Paese si dota di uno strumento legislativo che permette di tutelare, regolare e potenziare il Terzo settore. Al di là dei limiti e dei dubbi sulla sua efficacia, questa riforma costituisce un chiaro spartiacque tra un’idea di un terzo settore supplente dello stato e un terzo settore protagonista dello sviluppo del Welfare.
Tuttavia, la possibilità che questa svolta avvenga dipende dagli strumenti attuativi che il Governo adotterà a seguito del Ddl, dalla reale intenzione degli interlocutori coinvolti nel definire una strategia più chiara sulla missione sociale della riforma e soprattutto dalle risorse disponibili per attuarla. Al momento queste risorse sembrerebbero scarseggiare, segno evidente che siamo ancora lontani da una vera logica di investimento sul Terzo settore.
A mio avviso la forza della riforma risiede nella capacità, puntando su un soggetto forte come il Terzo settore, di dotare il Paese di uno strumento sociale per gestire al meglio le tante aree di servizi e attività che da sempre concorrono a garantire il benessere della comunità. Parlo di assistenza sanitaria, istruzione, accesso alla cultura, integrazione sociale e quanto altro oggi tendiamo a identificare con il bene comune. Di fronte alla crisi evidente dei modelli di welfare state fondati sulla finanza pubblica e sulla tradizionale rappresentanza delle parti sociali, esistono da anni modelli di governance sociale dei servizi con un approccio partecipativo, in grado di migliorare la progettazione e la realizzazione dei servizi stessi e con una migliore sostenibilità economica grazie a forme avanzate di fundraising.

Un esempio su tutti: la Fondazione Comunità Attiva della Val Cannobina costituita da medici di base, amministratori e dall’associazionismo organizzato e spontaneo della valle. La Fondazione da 10 anni ha istituito un servizio medico sanitario di primo livello, integrato con quello pubblico, in grado di rispondere in tempi brevi e in modo sostenibile a una crescente domanda di prestazioni medico sanitarie in una valle non facilmente collegata con l’ospedale di riferimento. Questo grazie al lavoro volontario dei medici e della comunità tutta e alla capacità di reperire fondi privati senza costi aggiuntivi per lo stato. Oggi, la Fondazione sta costruendo un centro medico in valle completamente autofinanziato ed è in grado di fornire risposte innovative anche in altri campi, come l’accesso a forme di microcredito per le persone meno abbienti, l’organizzazione dei trasporti e molto altro ancora. Non è un caso che questa esperienza sia oggetto di una riflessione a livello regionale sui nuovi modelli di welfare sanitario sui quali investire.

Alla base c’è un uso moderno e poco retorico del fundraising quale strumento per produrre valore aggiunto, direttamente verificabile dalla cittadinanza, che proprio in base all’efficacia del servizio rinnova il proprio sostegno e svolge un ruolo attivo nella sua gestione.
Da questo punto di vista riscontro, nel Ddl approvato dalla Camera dei deputati, l’assenza di una politica chiara del fundraising, ovvero la capacità di valorizzare il principale strumento di sostenibilità di questo nuovo welfare. Il fundraising viene a mala pena nominato e si è lontani dal prevedere strumenti che ne incentivino la pratica in modo intelligente e innovativo.
Manca una visione di una nuova economia sociale come risposta sistemica alla crisi del welfare, cosa presente invece in altri Paesi dove si fanno investimenti significativi per liberare tutto il potenziale ancora inespresso del fundraising.

In Italia la spesa sanitaria privata è di circa 34 miliardi di euro annui e l’80% di questa è destinata a prestazioni di base, proprio perché il Ssn non è in grado di rispondere adeguatamente alla domanda. Analogamente ciò accade per la spesa privata in servizi assistenziali. Pensare che una parte di questa economia privata “obbligata” possa trasformarsi in fundraising, gestito in un sistema non profit di tipo comunitario, adeguatamente incentivato, non sembra più essere una chimera ma una prospettiva molto concreta di innovazione del welfare e miglioramento dei servizi.


© RIPRODUZIONE RISERVATA