Lavoro e professione

Superfarmaci epatite C: abbattere i prezzi per guadagnarci tutti?

di Massimiliano Abbruzzese

Archiviata con un nulla di fatto (almeno per il momento) la gara della Regione Toscana per l'acquisizione dei 18.353 trattamenti per l'eradicazione dell'epatite C, è toccato al Wef (Workshop di Economia e Farmaci ), 5° incontro sull’epatologia, che si è tenuto ieri a Milano, scrivere una nuova pagina riguardo l'utilizzo dei nuovi superfarmaci.
I dati messi a disposizione da Pierluigi Russo, coordinatore area strategia politica del farmaco per l'Aifa, e di Americo Cicchetti, membro del Comitato prezzo e rimborsi nonché presidente della società italiana Hta, riportano che i trattamenti fino ad ora effettuati sono pari a circa 10mila (aggiornati a maggio).

Appare evidente che, giunti ormai alla metà dell’anno, la prospettiva di somministrare in tempi brevi il trattamento a 50mila pazienti, quelli considerati più gravi, rimane un obiettivo difficilmente raggiungibile.
Ma la giornata di ieri ha permesso anche il confronto tra alcuni dei clinici che autorizzano le somministrazioni di questo tipo di terapie. Il questo caso la discussione si è soffermata in merito al modello con il quale stabilire il percorso logico ottimale per la definizione della cura personalizzata per singolo paziente.

Modelli a confronto
I dati dell'Aifa segnalano che l'attribuzione della terapia riguarda in gran parte (70% dei casi) i soggetti compresi nel criterio n.1 previsto dai registri di monitoraggio. Si tratta di pazienti con cirrosi in classe di Child A o B e/o con HCC con risposta completa a terapie restrittive chirurgiche o loco-regionali non candidabili a trapianto epatico nei quali la malattia epatica sia determinante per la prognosi. Dal confronto rimane l'incognita se il modello da utilizzare per l'implementazione dei trattamenti debba essere maggiormente incentrato sull'utilità, ossia ottenere il miglior risultato in termini di sopravvivenza date le risorse economiche a disposizione, o sul beneficio, cioè la differenza in termini di maggior vita considerando quale unica discriminante l'effettuazione del trattamento.

Il rebus sostenibilità
Il dibattito si è poi focalizzato su di un altro aspetto dai contenuti incerti e cioè il numero delle persone effettivamente contagiate dal virus dell'epatite C in Italia. Al momento gli studi a disposizione indicano 350mila soggetti certi ai quali vanno aggiunti i cosiddetti “inconsapevoli” dei quali attualmente si ignora il numero. Secondo alcune stime il totale delle persone infette si potrebbe aggirare intorno al milione. Ed è proprio rapportando questi numeri così importanti agli attuali prezzi dei farmaci per l'eradicazione dell'epatite C che il direttore di dipartimento di medicina interna dell'Humanitas University, Savino Bruno, si è spinto a ipotizzare quale “giusto prezzo” per i trattamenti quello in genere attribuito ai vaccini, ossia 200/300 euro. Potrebbe essere questo il modo per garantire in tempi brevi il trattamento non solo per tutti i casi più gravi, ma anche per quelli con diagnosi più lievi per i quali la somministrazione della terapia in tempi rapidi garantirebbe al sistema i massimi benefici.
Si tratta ovviamente di una provocazione, ma senza dubbio mette in evidenza come con l'attuale livello dei prezzi il sistema sanitario corre dei seri rischi di sostenibilità. A confermare tutto ciò Thomas Schael, esperto di servizi socio-sanitari e HTA di Ires Piemonte, che ha confrontato il costo dello sblocco del turnover del personale sanitario in Piemonte (poco meno di 30 milioni di euro), con l'acquisto dei farmaci per eradicazione dell'epatite C nei pazienti più gravi (53,5 milioni di euro) che, come si è compreso, non scongiura in futuro la spesa per altri tipi di trattamenti.

Confronto acceso anche sul ruolo dell’Aifa
Schael ha ribadito che le Regioni non sono in grado di far fronte alla spesa fuori dal tetto della farmaceutica territoriale, versando in due anni quasi un miliardo nel fondo per l'innovazione, pena la riduzione di servizi in altri ambiti, precisando che, se la spesa dei nuovi farmaci rientrasse nel tetto del fondo sanitario nazionale, anche Farmindustria avrebbe interesse affinchè si abbassino i prezzi pena l'applicazione per tutte le case farmaceutiche del payback sul fatturato di pochi “concorrenti”. In risposta a questa tesi è giunta la riflessione di Saverio Mennini, presidente Ispor dell'Università Tor Vergata di Roma, il quale, nel considerare le difficoltà delle regioni, ha ipotizzato la (ri)centralizzazione dell'intera spesa farmaceutica. Vedremo nelle prossime settimane quali saranno gli sviluppi.


© RIPRODUZIONE RISERVATA