Lavoro e professione

Ssn e salassi: salviamo un malato vittima dell’austerità

di Aldo Grasselli (presidente Federazione veterinari e medici)

Dal Medioevo ma ancora fino all'Ottocento, quando la medicina era ancora poco “evidence based” ed in mancanza di opportunità terapeutiche sensate si procedeva invariabilmente e ripetutamente al “salasso” come strumento di benefica depurazione dai miasmi corporali, per ogni tipo di patologia. La pratica era crudele e assassina ma, nonostante una totale assenza di casi risolti con soddisfazione dei pazienti, ci volle molto tempo e molta saggezza perché fosse abbandonata definitivamente.
La crisi economica ha imposto una forte contrazione della spesa sanitaria che si aggira su valori intorno al 70% dei bilanci delle Regioni. E le Regioni hanno dovuto accettare i ripetuti “prelievi” anche a causa di una opacità amministrativa ancora troppo diffusa.
La sfida per i governi è riuscire a mantenere una copertura sanitaria completa per i servizi prestabiliti (Lea), nonostante le restrizioni di budget imposti dalla crisi.
Quantunque tutti convengano che occorre azzerare gli sprechi e aumentare l'efficienza del sistema sanitario, è a tutti evidente che sotto un certo livello di finanziamento non si può scendere a meno di non voler accettare distorsioni profonde degli equilibri sociali del Paese, e un divario sempre maggiore nei confronti delle altre nazioni europee del G8.

Le spesa sanitaria in Europa
Secondo le stime più recenti, nell'Unione europea la spesa sanitaria media pro capite ammonta a 2193 euro: l'Olanda (3829 euro), l'Austria (3676 euro) e la Germania (3613 euro) sono i Paesi che spendono di più, Romania (753 euro) e Bulgaria (900 euro) sono al lato opposto della classifica. L'Italia si posiziona sopra la media europea con 2409 euro pro capite ma con costi enormemente inferiori a quelli di Olanda, Francia e Germania.
Fra i Paesi dell'Unione, quelli che hanno deciso di destinare una quota più alta di PIL al settore sanitario sono Olanda (11,8%), Francia (11,6%) e Germania (11,3%). L'Italia si attesta di poco sopra la media europea con un 9,2%.
La valutazione di Bloomberg tra i 51 paesi più sviluppati ci colloca al terzo posto dopo Singapore e Hong Kong per efficienza di sistema coniugando dati economici a speranza di vita.
In pratica abbiamo standard di buon livello generale alle nostre spalle.
Quello che dovrebbe inquietare riguarda il futuro. Il “futuro della salute” deve essere pensato con un certo anticipo e richiede basi solide per non riservare sorprese e crisi precipitose. Il futuro promette una combinazione di diversi fattori che se non considerati e gestiti complessivamente possono produrre scenari di difficile gestione.

L’invecchiamento della popolazione
Il primo fattore “pesante” riguarda l'invecchiamento della popolazione. Una maggior speranza di vita grazie alle nuove possibilità terapeutiche per la coorte più numerosa di italiani: i figli del baby boom, genera un notevole incremento della spesa sanitaria e dei costi del welfare.
Un secondo fattore, correlato al primo, riguarda infatti la cronicizzazione di un numero sempre maggiore di patologie che costringono a multi-terapie costose e di lunga durata per i numerosi nuovi anziani.
Il terzo fattore riguarda la disponibilità di farmaci innovativi, di grande beneficio specialmente in campo oncologico, che comporteranno un incremento rilevante della spesa farmaceutica.
Infine possiamo contare su una innovazione tecnologica inarrestabile che offre soluzioni diagnostico-terapeutiche sempre più accurate e in grado di affrontare tempestivamente le patologie ma anche generando nuove voci di spesa.
In un quadro come questo, se il solo modo di intervenire sul Ssn resterà il “salasso”, c'è da aspettarsi in primo luogo una scissione sociale tra chi potrà continuare a curarsi grazie alla disponibilità economica con cui ricorrere a forme assicurative e alla sanità privata da una parte, e chi se non è indigente lo diventerà per potersi curare con ciò che offre il mercato della salute e che il Ssn non potrà più garantire.
Viene da chiedersi quale tipo di “aziende” siano quelle sanitarie che
strutturano il Ssn, e se sia ancora il caso di ragionare in termini “manageriali” anziché da liquidazione fallimentare, se si lasciano sfuggire un mercato di prestazioni sanitarie consumate fuori dal Ssn dai cittadini italiani con una spesa out of pocket che è arrivata a 33,3 mld.

Eccellenza a macchia di leopardo
L'eccellenza è disponibile solo in alcune parti del paese, il diritto alla salute è razionato, alcune Regioni hanno esternalizzato tutto il possibile. Viene anche spontaneo domandarsi se le politiche regionali non abbiano sfruttato il polmone della spesa sanitaria per dirottare aree di mercato remunerativo verso il privato con la scusa del contenimento della spesa pubblica e della razionalizzazione dei servizi.
In tutto questo si inserisce una condizione di profondo disagio degli operatori della sanità, dirigenti medici in testa, che sono stati ridotti a meri fattori produttivi di prestazioni e non vedono altro ingaggio su cui essere misurati se non quello della economicità e dell'efficienza gestionale.
Inoltre si percepisce una stanchezza generalizzata e un logoramento della “mission” proprio perché manca un adeguato orientamento alla ricerca e all'innovazione.
I dati dei rating ci dicono che siamo seduti su una Ferrari che ha vinto molto e ha fatto storia, ma è come se a Maranello avessero chiuso i laboratori e cerassero di vincere solo i gran premi del minor consumo riducendo i flusso di benzina e contando sulla spinta inerziale residua.
Così non si va molto lontano e nei box c'è molto nervosismo, per motivi anche questi demografici molti pensano alla pensione.
L'altro problema di fondo riguarda, appunto, il turn-over (leva di risparmio anche questa) che però provoca la perdita delle energie e delle competenze delle nuove generazioni che sono in attesa di entrare in scena.

Il nodo delle assunzioni
Siamo un originale Paese dove nel Ssn si impiegano (assunti o ingaggiati con modalità sempre molto fantasiose) solo medici specialisti, ma ne laureiamo un numero che non potrà specializzarsi per anni, ergo: resteranno a spasso (ottimo investimento e lungimirante programmazione) o andranno a lavorare in quel privato che non chiede titoli e non bandisce concorsi o graduatorie (ottima opportunità per i competitors del Ssn).
Purtroppo se continuerà questo stillicidio nel rinnovo del personale della sanità pubblica i pochi che entreranno in servizio nel Ssn avranno un'età che prelude alla pensione o, in caso la pensione non sia un percorso praticabile, l'età avanzata dei sanitari prelude al fatto singolare che sempre più operatori di sanità attivi saranno, col tempo, inevitabilmente anche utenti passivi della sanità.
Anche il modello di formazione e i requisiti per il reclutamento delle nuove leve di medici e sanitari non sono estranei ad uno sviluppo efficiente del sistema. Il tema della dirigenza, quello dei requisiti e quello dei criteri di accesso necessita una riflessione adeguata ai tempi.
Non si può assistere passivamente, ad esempio, al blocco del turn-over della dirigenza ma contemporaneamente ad una progressiva sostituzione del personale dirigente andato in quiescenza mediante specialisti ambulatoriali incardinati a tempo indeterminato “a ore” sulla base di graduatorie senza alcuna prova di selezione.
Il modelli contrattuali e le carriere di medici e sanitari, le tipologie presenti nel Ssn, sono molto eterogenee e diverse, questo non favorisce uno scambio e una osmosi innovativa delle professionalità e genera diaframmi pericolosi anche nell'erogazione dei servizi e nella continuità della presa in carico dei pazienti e nei livelli retributivi rispetto alla responsabilità professionale.

La sfida dell’innovazione
Il sindacalismo medico e sanitario deve saper raccogliere la sfida dell'innovazione e del cambiamento razionale dei paradigmi che hanno retto sin ora per definirne e sottoscriverne dei nuovi. Un cambio di mentalità è necessario, anche a cominciare dalla opportuna aggregazione delle sigle sindacali in un punto di riferimento organico, per generare una rappresentanza stabile, solida e capace di sviluppare proposte e progetti di ampio respiro.
L'informatizzazione e una massiccia dose di formazione potrebbero essere terapia adeguata, ma non è detto che somministrarla a soggetti in procinto di andare in pensione sia un buon investimento.
I problemi sono molti, e nessun problema viene da solo, “tout se tient” e occorre intervenire con un progetto di rilancio, di innovazione e di investimenti su tutto il sistema.
L'interesse nazionale e la responsabilità dello Stato rispetto all'art. 32 della Costituzione che definisce quello alla tutela della salute quale unico “diritto fondamentale” non può essere ancora oggetto di confusione istituzionale, vittima di una mal interpretata autonomia federalista delle Regioni, e di una caratterizzazione solo negativa della voce sanità nel bilancio nazionale.
Oggi nel Ssn è oltremodo necessaria una stagione di investimenti di idee, di motivazione, di energie fresche e di riconversione di risorse – i soldi ci sono se anche il Ministro Lorenzin conviene che si possono recuperare 10 miliardi lavorando sull'efficienza; a cominciare dalle retribuzioni delle centinaia di migliaia di lavoratori che ne hanno assicurano la sopravvivenza caricandosi sulle spalle l'erogazione dei servizi e delle prestazioni sopportando turni sempre più massacranti mentre vedevano sfumare opportunità di carriera e di reddito.
Il presidente di Confindustria Squinzi, apre la discussione su un nuovo welfare e punta il dito sui tagli alla sanità privata che avrebbero “messo a repentaglio un asset fondamentale dell'economia”. Ciascuno ha la sua visione e fa il suo mestiere.
Difficile immaginare la riuscita di qualsiasi “piano quinquennale” di rilancio del welfare e della sanità pubblica senza un coinvolgimento ideale e programmatorio di chi rappresenta i lavoratori e in particolare di chi rappresenta i medici e i sanitari.


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