Lavoro e professione

Responsabilità medica e malpractice: in bilico tra esigenze di riforma e pregiudizio

di Bruno Sgromo, avvocato

Sono tante le segnalazioni di malasanità che balzano con cadenza quasi quotidiana agli onori della cronaca. A tale fenomeno, emerso in parte anche per il rilievo dato agli eventi dalla letteratura scientifica e dai mezzi di informazione, è conseguito il ricorso sempre più esasperato, da parte degli operatori sanitari, alla c.d. “medicina difensiva”, ossia la tendenza dei medici a modificare il loro comportamento professionale al fine di scongiurare procedimenti giudiziari per malpractice. Non vi è dubbio alcuno che la medicina difensiva mina la qualità dell'assistenza sanitaria. Non solo perché ricerche diagnostiche non necessarie rappresentano un costo evitabile per il sistema, ma soprattutto perché il pedissequo attenersi del professionista apprensivo alle linee guida definite impedisce in molti casi di esperire serenamente il trattamento adeguato secondo l'arte medica, optando per un sistema teso alla sola sicurezza giudiziaria, con potenziali gravi danni per la salute del paziente, in primis.

Abuso di denunce
Pochi giorni fa il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha denunciato pubblicamente un fenomeno che ha definito di “abuso” di denunce per casi di malasanità in Italia e questo a fronte di un numero esiguo di condanne rispetto invece al numero di denunce stesse. Il ministro ha poi concluso il suo intervento puntando il dito sulla categoria forense, “responsabile” a suo dire, di comportamenti a dir poco inverosimili, oltre che deontologicamente scorretti, come quello di andare a cercare i pazienti nelle corsie degli ospedali anche dopo dieci anni dal fatto. Prevedibili sia il tam tam mediatico che ne è scaturito sia le reazioni da parte dei principali organismi rappresentativi della categoria forense. Tema molto caldo, quindi, quella della proposta di modificare, all'interno della Legge di Stabilità, la disciplina in materia di errori sanitari. La prima proposta avrebbe a oggetto l'inversione dell'onere della prova: sarà il paziente a dover dimostrare l'errore del medico e non più il medico a dimostrare di aver agito correttamente. È da precisare che molti studi legali, soprattutto quelli specializzati nel settore, prima di avviare un giudizio per responsabilità medica, fanno sì che venga predisposta una perizia medico legale tesa alla individuazione del nesso eziologico. Pertanto l'onere della prova è, di fatto, già oggi invertito.
Altro punto toccato dalla riforma riguarderebbe la riduzione della prescrizione dagli attuali 10 anni a 5 anni. Anche questo punto richiede una precisazione. La riduzione proposta è infatti relativa solo ed esclusivamente al rapporto esistente tra medico e paziente, ma non si estenderebbe, invece, al rapporto tra il paziente e la struttura ospedaliera per la quale il medico lavora. Già oggi gli studi specializzati, tra cui quello dello scrivente, non sono quasi mai soliti citare il medico direttamente, bensì sono soliti rivalersi sulla struttura ospedaliera, per cui la tutela del paziente resterebbe comunque sempre a dieci anni.
Posto che il nostro rimane un sistema sanitario ottimo, così come la categoria dei medici che lo rappresenta e che appare davvero poco credibile e più riconducibile ad un romanzo di Grisham che non alla realtà, la figura dell'avvocato pronto ad accaparrarsi una pratica tra le corsie ospedaliere, ritengo doveroso sottolineare che il numero di denunce per malasanità in Italia è in linea con quello del resto dei paesi del Mediterraneo: siamo superati, addirittura, come numero di denunce, dalla Germania mentre, solo i paesi del Nord Europa, che hanno un sistema di welfare particolarmente costoso, ne hanno un numero inferiore.
Pertanto, venendo al merito della questione e alle dichiarazioni del ministro Lorenzin, desidero precisare che è mia opinione professionale che non sussista, oggi, un problema, né tanto meno un abuso di denunce in ambito civile, bensì ritengo ne esista uno, ben più serio, in ambito penale, dove infatti l'80% dei casi si conclude in una nulla di fatto perché archiviato dal Pm a cui è affidato il compito di condurre le indagini e disporre eventualmente il rinvio a giudizio dell'indagato, e non anche alle azioni in sede civile che, se ben strutturate, portano al risarcimento nella maggior parte dei casi.
Venendo ora agli aspetti più squisitamente tecnici della questione, intraprendere un giudizio per responsabilità medica pone al cittadino una serie di scelte piuttosto delicate e il percorso è tutt'altro che semplice.

Responsabilità medica: a chi rivolgersi?
In primo luogo: a chi rivolgersi. Occupandomi esclusivamente di responsabilità medica e malasanità posso affermare, senza timore di smentita, che, trattandosi di una materia particolarmente tecnica, è sempre opportuno rivolgersi a professionisti specializzati nel settore.
In secondo luogo: quale percorso intraprendere. Il cittadino ha davanti a sé due alternative: 1) la via penalistica, tesa ad ottenere la condanna del soggetto responsabile per le ipotesi di reato ad esso ascrivibili e, in caso di costituzione di parte civile, il risarcimento del danno subito;
2) la via civilistica, tesa ad ottenere esclusivamente il risarcimento dei danni subiti in via diretta dal soggetto leso o dai suoi eredi, nell'ipotesi di decesso.

Mette conto rilevare, come già sopra menzionato, che ai procedimenti penali per malpractice segue un numero bassissimo di condanne ed un altresì cospicuo numero di archiviazioni, posto che seppur il privato ha facoltà di denunciare il fatto di reato, è compito del Pm condurre le indagini e disporre eventualmente il rinvio a giudizio dell'indagato o l'archiviazione.
Il gran numero di archiviazioni consegue spesso ad una consulenza tecnica favorevole all'indagato. Se pure, infatti, è possibile dimostrare che si è verificato un errore, non altrettanto lo è provare che la malpractice sia stata la causa di un decesso per dolo o colpa grave dell'indagato.
Anche da questo deriva il maggior numero di condanne in sede civile piuttosto che in sede penale, poiché in sede civile il grado di colpa richiesto al responsabile è la colpa lieve. Inoltre in sede civile il danneggiato dovrà dimostrare, sulla base del criterio del “più probabile che non” che l'azione o l'omissione del medico abbiano cagionato l'evento in termini di probabilità, mentre, in sede penale, per aversi la condanna del medico sarà necessario dimostrare “oltre ogni ragionevole dubbio” che il danno al paziente sia stato la conseguenza dell'azione o dell'omissione del medico imputato.
Ciò detto, indipendentemente dal percorso che il privato decide di intraprendere, al fine di provare la correlazione causale tra la condotta omissiva o commissiva del sanitario e il danno subito dal paziente, è necessario il preventivo parere di un medico legale o di uno specialista. In difetto di tale qualificato parere si correrebbe il rischio di intraprendere azioni temerarie, con conseguenze negative per il cittadino, che non vedrebbe riconosciuti i propri diritti, e per il sistema giudiziario, che subirebbe un inutile carico oltre quello già esistente.
A differenza di quanto sostenuto dal ministro Lorenzin, il lavoro degli avvocati specializzati nel campo della responsabilità medica è orientato a operare una rigorosa selezione dei procedimenti per malpractice, proprio attraverso il filtro della preventiva valutazione del caso da parte di medici specializzati.
A mero titolo esemplificativo, il mio studio riceve in media 15 nuove richieste di assistenza al giorno, ma la percentuale di pratiche effettivamente prese in carico, a seguito del parere reso dai medici della cui consulenza mi avvalgo, è inferiore al 10%.
A ciò si aggiunga che, essendo ormai molto diffuso il sistema del “pay per result”, ossia del pagamento delle competenze legali solo in caso di esito positivo della vertenza(nel rispetto delle norme deontologiche forensi), gli avvocati non trarrebbero alcun giovamento dal promuovere giudizi infondati ab origine.


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