Lavoro e professione

L’identikit del nuovo manager

di Angelo Rosa (docente di Human Resource Management Lum School of Management -Università Lum Jean Monnet)

Negli ultimi anni la pubblica amministrazione ha vissuto un periodo di forte spinta al cambiamento, all’innovazione e alla modernizzazione che si è tradotto in un sempre maggiore orientamento alla misurazione e alla comunicazione dei risultati.

La causa primaria di questo fenomeno sono state le crescenti esigenze da parte dei cittadini di servizi e politiche in termini di qualità, che la sanità e le pubbliche amministrazioni hanno dovuto e dovranno soddisfare con risorse sempre più scarse, da qui la necessita di utilizzare uno strumento quale il Performance management, che analizzi i risultati e la loro misurazione in maniera sistematica, formalizzata e strutturata in modo da fornire i dati utili non solo per l’osservazione della realtà, ma anche per supportare le decisioni strategiche successive e per poterli comunicare ai diversi stakeholder.

Il Perfomance management si è sviluppato con il decreto 150/2009, noto come “decreto Brunetta”, che mira a introdurre nella pubblica amministrazione il concetto di performance simile a quello utilizzato in contesti privati, ma tenendo in considerazione la peculiarità dei servizi offerti e conseguentemente i metodi e le difficoltà riscontrabili per misurare, gestire e valutare i risultati di un’amministrazione pubblica, il tutto anche quasi a garanzia di una richiesta di maggiore trasperenza richiesta da parte degli stessi cittadini nella gestione delle risorse finanziarie pubbliche, nelle attività svolte e nei risultati conseguiti dalla Pubblica amministrazione «sia in ottica di accountability che nella ricerca di percorsi condivisi di miglioramento del benessere collettivo» (Rennie, Di Filippo 2006, p. 9).

Risulta estremamente complesso per un’amministrazione valutare l’efficacia di una politica, la qualità di un servizio o la propria capacità organizzativa sul tema della gestione delle performance sottolineando l’importanza della pianificazione, monitoraggio e valutazione dei risultati raggiunti rispetto a quanto pianificato.

Lo finalità e lo scopo del Performance management è ovviamente molto ampio ed è per questo che deve essere visto a livello generale come un processo di gestione della strategia organizzativa.

I contributi più importanti del Performance management all’interno dell’organizzazione sono, in primis, quello di supportare la Pa al raggiungimento e mantenimento di comportamenti e strategie organizzative vincenti attraverso il continuo aggiustamento e l’effettiva esecuzione delle strategie; non solo, ma che quello di ausiliare i manager pubblici nell’accorgersi, e rispondere più velocemente, ai cambiamenti repentini.

Ed è proprio il cambiamento l’aspetto cruciale e di collegamento tra il Pm e la Pa, in quanto le forze esterne che stanno producendo incertezza e volatilità, e la celerità, delle variazioni rendono difficile continuare a pianificare in un’ottica di lungo periodo, facendo sorgere l’esigenza di formulare strategie non statiche, ma in continuo adeguamento alle dinamiche esterne e alle nuove opportunità. Finora, la pubblica amministrazione ha sempre programmato le decisioni senza tenere in considerazione l’incessante e sempre più rapido mutamento delle condizioni di gestione delle proprie risorse.

Il Pm non è un’unica tecnica, né il mero controllo di gestione dei processi, né la semplice misurazione dei risultati, bensì è un insieme di metodologie, misure, processi, strumenti informatici e sistemi che gestiscono la performance organizzativa nel suo complesso (Cokins, 2009)

Un ulteriore supporto legislativo si è avuto con la Legge 124/2015, meglio conosciuta come “Legge Madia” di Riforma della Pa, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 187 del 13 agosto 2015, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», al fine di rendere la pubblica amministrazione maggiormente competitiva.

Si può affermare quindi che le riforme delle Pa sviluppano il proprio ciclo di vita in un ambiente culturale che non possiede riferimenti forti, perché si sono indeboliti quelli del passato, mentre nuove prospettive competono disordinatamente per affermarsi. Il confronto tra le diverse visioni - e tra le sotto-culture che ne animano l’evoluzione - si realizza attraverso fasi discontinue che vedono proporre, sperimentare e applicare metodologie e strumenti delle più varie specie che quando trovano qualche accettazione possono innescare riforme parziali non sempre coerenti tra loro, come sta avvenendo, per i sistemi contabili, per la digitalizzazione di sfere di servizi/interventi, per la trasparenza, per i codici etici e per gli standard di costo. In un contesto così frammentato e confuso, il buon esito delle riforme non può essere conseguenza diretta e semplice di un “disegno intelligente”, o di una progettazione dall’alto sostenuta da leggi e decreti. Il loro successo è, invece, fondamentalmente legato al sensemaking che emerge nel vissuto degli attori.

La costruzione di senso, come spiega la ricerca più aggiornata in campo organizzativo, è il frutto di processi che il più delle volte si riescono a ricostruire solo a posteriori e che sono innescati da momenti critici, nei quali i soggetti sociali si trovano di fronte a situazioni inattese, vedono violate le proprie aspettative e avvertono segnali che li chiamano ad agire; è in questo modo che emergono significati intersoggettivi nell’intento di attivare un ambiente più ordinato; ulteriori e rinnovati cicli di interpretazione e di azione si sovrappongono (Maitlis and Christianson, 2014).

Come si innesca il sensemaking
I processi di riorganizzazione, che le aziende sanitarie sempre più, dovranno affrontare, costituiscono tipici eventi destinati a innescare il sensemaking; il naturale carico di ambiguità e di incertezza proprio delle riorganizzazioni si trova accentuato nell’attuale congiuntura dall’intreccio con provvedimenti paralleli, come sono le diverse edizioni della “revisione della spesa”, i “blocchi” contrattuali, salariali e del turnover che si riproducono nel tempo, le continuamenti cangianti disposizioni sulla trasparenza, l’anti-corruzione, la semplificazione, gli standard di riferimento per i servizi e per la spesa.

Vi è un rischio elevato di non poter disporre a sufficienza di quella combinazione tra energia della leadership e concorso attivo dei principali stakeholder che sembra necessaria per produrre un nuovo ordine compreso e condiviso; si corre, quindi, il rischio di incompletezza, frammentazione, conflittualità o minimalità dei processi di sensemaking (Maitlis and Christianson, 2014).

Di grande rilievo sarà il ruolo di agenti collocati ai livelli intermedi, nei ruoli di middle management, ad esempio: se l’attenzione di questi attori è orientata da stimoli di azione troppo ristretti, si corre il rischio non solo di disperdere l’energia di cambiamento ma anche quello di dare luogo a interpretazioni conflittuali, di diffondere cinismo o indifferenza, di ampliare gli spazi per comportamenti opportunistici.

Orientare il Performance management verso ampie visioni, legate agli outcome di politiche pubbliche nei diversi settori quali la sanità può offrire un orientamento semplice e condiviso, generando una narrativa facilmente comunicabile agli operatori a tutti i livelli e anche di interesse per i diversi stakeholder. Ciascuno sarebbe facilitato nel leggere come il proprio ruolo specifico si può inserire in una strategia di sistema, molto meglio di quanto avviene con complessi alberi degli obiettivi, e i connessi tecnicismi del “cascading” e delle “catene” di piani e obiettivi operativi che discendono dai dipartimenti, alle direzioni generali, agli uffici, fino al personale operativo.

In modo complementare si dovrebbe propendere per forme soprattutto di “uso esplorativo” delle metriche adottate, almeno nelle fasi iniziali, evitando di insistere troppo nella parte “premiale”, legata agli incentivi economici individuali, ricorrendo eventualmente a pratiche dotate di maggiore carica comunicativa e simbolica come premi e riconoscimenti di situazioni evidenti di merito e di capacità di innovazione.

L’uso delle metriche di risultato in chiave esplorativa si presta bene a innervare il sensemaking, nella connessione con i processi di cambiamento, di apprendimento e di innovazione/creatività.

La sfida ormai è quella di sviluppare nuovi modi non solo di organizzare ma di concepire e comprendere le proprie attività in una prospettiva di integrazione rispetto a più ampie dinamiche evolutive (v. anche: Rebora and Minelli, 2012).

In questo modo ci si potrà fare una ragione anche di revisioni di spesa, di tagli agli organici, di blocchi contrattuali e stipendiali; ma soprattutto, si potranno aprire spazi per agenti di cambiamento, figure che occorre sviluppare non solo in verticale, lungo le linee gerarchiche, ma anche in orizzontale e nel presidio delle relazioni “di confine”, sia tra le diverse amministrazioni, sia rispetto agli stakeholder che al contesto esterno.

Angelo Rosa

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