Lavoro e professione

Cassi: «Con patto Cimo-Fesmed alla ricerca di un sindacato più forte»

di Rosanna Magnano

Avere più peso nei confronti delle istituzioni, dare maggiore forza alla componente medica della dipendenza, superando l’attuale frammentazione delle organizzazioni sindacali e prendendo atto di una convergenza di fatto sulle linee programmatiche». Sono queste per il presidente di Cimo, Riccardo Cassi, le spinte che hanno indotto Cimo e Fesmed a siglare un patto federativo che porta fianco a fianco le due organizzazioni a raggiungere una rappresentatività del 18% dell’ex Area IV.

Presidente Cassi come è nata l’idea di questa nuova alleanza?

Non sempre alla frammentarietà tra le sigle corrisponde una reale diversità di obiettivi e politiche sindacali. Perché è ovvio che se c’è una differenza legata a visioni diverse del medico allora la distinzione va mantenuta, ma con Fesmed da tempo abbiamo verificato una sostanziale identità di vedute e già in altre occasioni abbiamo lavorato insieme. Da qui è venuta l’idea di unirsi per poi fare un sindacato più forte.

Perché solo un patto federativo e non un’unione vera e propria?

Il patto intanto è quello di coordinare a livello regionale e aziendale tutte le iniziative e poi di andare ad attivare le azioni necessarie per diventare un grande sindacato unico. Anche perché non è così semplice... ci sono storie diverse, tra l’altro noi siamo un sindacato generalista loro sono legati a società scientifiche, ci sono dei problemi tecnici da risolvere. Noi abbiamo dato un segnale importante anche agli altri sindacati. Un altro dei motivi per cui ci concediamo un anno di transizione è anche per raccogliere l’eventuale interesse anche da parte di altre sigle sindacali, per fare un’unione più grande. In questo momento fra noi e loro siamo il 18 per cento, con 14mila medici (di cui 5mila Fesmed). Il nostro obiettivo è avere una rappresentatività più larga in modo da arrivare a una situazione simile a quella della medicina convenzionata, dove c’è un sindacato che da solo supera la maggioranza.

In ogni caso la soglia del 5% per la rappresentatività sindacale era già superata da entrambe le sigle, per Cimo ampiamente?

Questo è un dato importante. Cimo supera la soglia di oltre il doppio, dal momento che ha una rappresentatività del 12% e la supera anche Fesmed, che si attesta sul 6 per cento. Finora le unioni tra sindacati sono avvenute tra sigle che erano sotto il 5% per poter dare una rappresentatività. Per noi non è così. Anche perché l’Aran ci ha già mandato gli ultimi dati la settimana scorsa. Devono essere ancora certificati ufficialmente, ma è così. In ogni caso l’Aran ha già fatto le rilevazioni sulle nostre sigle in forma separata quindi anche se avessimo siglato un’unione subito in sede di trattativa continueremmo a essere considerati distinti.

I punti di convergenza quindi quali sono?

Intanto sono due sindacati esclusivamente medici. Noi riteniamo che il lavoro del medico sia peculiare e quindi abbiamo scelto di non aggregarci con sigle non mediche. Poi abbiamo fatto battaglie comuni sulla colpa, sulla difesa della professione, sulla valorizzazione di merito e competenza, abbiamo anche sostenuto insieme l’iniziativa Apm.

Quali saranno i prossimi step?

Abbiamo fatto una prima riunione tra referenti regionali ed è andata molto bene. E questo non era così scontato... a livello di vertice è più facile, quando vai più nel territorio possono sorgere problemi. Faremo iniziative in tutte le Regioni, organizzeremo convegni insieme, cercheremo anche di presentare una piattaforma comune quando inizieranno le trattative contrattuali, formando gruppi di lavoro ad hoc per arrivare a un documento unitario. Vorremmo anche organizzare insieme un evento che riguarda la professione, incominciare quindi a far sentire una voce unica, come Cimo-Fesmed.

Rispetto alla ripresa delle trattative, una volta risolto il nodo comparti e rappresentatività, con dirigenza medica e dirigenza sanitaria insieme, quali saranno le priorità sul contratto?

Per noi e Fesmed sarebbe stato meglio mantenere la vecchia area solo medica ma con questa riduzione delle aree è ovvio che qualcosa si perderà, comunque noi ci batteremo perché la parte centrale del contratto riguardi le peculiarità mediche. Poi più in generale noi e Fesmed siamo praticamente all’unisono su tutti i punti che riguardano gli orari e l’organizzazione di lavoro o la carriera del medico e i meccanismi di valutazione.

Le tre priorità?

La componente economica è comune a tutti: fare un contratto senza risorse non è accettabile. Seconda priorità, che si punti sulla valorizzazione del merito e delle competenze del medico. Diminuendo le strutture complesse per legge, bisogna valorizzare veramente la carriera professionale. Poi sull’organizzazione del lavoro e dei turni, nel rispetto delle norme sui riposi, bisognerà trovare soluzioni che tengano conto della specificità del lavoro del medico, che non è un lavoro turnista.

Quindi sta parlando di nuove deroghe?

Io non parlerei di deroghe, anche perché sarebbe suicida. La norma va applicata in modo che sia di vantaggio sia per il lavoro del medico che per i cittadini. Quindi assunzioni e risorse - e qui 3mila sono insufficienti - e riorganizzazione delle reti ospedaliere. Anche perché nel 2016 il blocco della Fornero è finito e con i pensionamenti la situazione peggiorerà. Già negli ultimi mesi tra i nostri associati c’è stato un incremento dei pensionamenti. Poi va riaperto il confronto con le Regioni sull’articolo 22 del Patto per la salute. Su formazione, accesso alla professione a carriera professionale. Questioni che per noi sono fondamentali per avere un contratto accettabile. E poi la libera professione, finora osteggiata seguendo un approccio ideologico. Bisogna adottare un punto di vista più aziendalistico, per fare in modo che le aziende ne ottengano ricavi, intercettando anche le possibilità offerte dalle nuove evoluzioni del welfare, anche nei contratti privati. La libera professione va considerata una risorsa per il Ssn e non un problema.


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