Lavoro e professione

Risk, quanto pesano le linee guida

di Giuseppe Mancia (per la Consultadelle società scientifiche www.consulta-cscv.it)

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24 Esclusivo per Sanità24

ll Parlamento ha concluso l’iter legislativo che modifica il concetto di “colpa” dei medici, che ora sarà esclusa se, nell’esercizio della professione, il medico avrà seguito le linee-guida diagnostico-terapeutiche. Queste verranno così ad assumere un carattere coercitivo per la pratica clinica, in quanto la loro inosservanza rappresenterà una anomalia, con rischi e conseguenze anche di carattere penale.

Il problema del significato delle linee-guida per la professione medica non è né recente né limitato all’Italia: controversie e discussioni sulla obbligatorietà o meno della loro applicazione hanno infatti coinvolto negli ultimi 10-15 anni molti altri Paesi, a volte anche con riscontri nelle aule giudiziarie.

Il mondo sanitario si è peraltro sempre e ovunque opposto a una loro interpretazione coercitiva per importanti ragioni di carattere pratico, e principalmente per la difficoltà di: 1) individuare, con criteri condivisi, quali organismi possano farsi carico delle responsabilità - a questo punto presumibilmente anche legali - della elaborazione delle linee-guida; 2) risolvere il problema delle frequenti differenze tra le diverse linee guida, in particolare tra le linee guida nazionali (se scelte come riferimento) e quelle internazionali; 3) equilibrare il bisogno di aggiornare tempestivamente le linee guida in occasione della pubblicazione di nuovi importanti risultati, con l’altrettanta fondamentale necessità di ponderare la loro affidabilità e discutere in ambito scientifico il loro significato, evitando così modifiche affrettate e improvvide.

L’opposizione del mondo medico si è riferita, in particolare, al fatto che interpretare in modo coercitivo le linee-guida dimostra scarsa conoscenza dei limiti e del significato dell’evidenza scientifica in medicina clinica, settore specifico di applicazione delle linee-guida. I limiti si riferiscono al fatto che per molte malattie i benefici di certi approcci diagnostici, nonché la scelta di alcune opzioni terapeutiche rispetto ad altre, non sono mai stati oggetto di ricerca scientifica oppure sono stati affrontati da studi che per vari motivi (imperfezione del disegno sperimentale, mancato controllo di variabili confondenti, ridotte dimensioni del campione ecc.) hanno fornito risultati aperti a diverse possibili interpretazioni.

Prendendo ad esempio l’ipertensione arteriosa (il settore di interesse precipuo dello scrivente), a fronte della dimostrazione inoppugnabile che la riduzione di una pressione elevata protegge i pazienti, vi è sostanziale incertezza su quando (a che pressione, in quale età e a quali livelli di rischio) iniziare il trattamento, a che valori pressori scendere con la terapia, e quanto a lungo trattare: tutti aspetti di fondamentale importanza per linee-guida che vogliano avere una utilità pratica. Lo stesso si può dire della terapia ipolipemizzante e antidiabetica. La realtà è che le raccomandazioni diagnostiche e terapeutiche contenute nelle linee-guida si basano in genere non su una incontrovertibile evidenza scientifica, ma soprattutto sull’opinione unanime o prevalente degli esperti coinvolti nella loro elaborazione, che, per esempio, nelle recenti linee-guida europee o americane sull’ipertensione ha rappresentato la base di ben tre quarti delle raccomandazioni fornite: pertanto solo il residuo 25% era sostenuto da una solida evidenza scientifica. Ciò non vuole misconoscere l’importanza di opinioni qualificate, che molto probabilmente riflettono la migliore interpretazione possibile dei risultati disponibili. È però evidente che, quando si parla di opinioni, non si può escludere il rischio di soggettività, imprecisioni o errori. Prova ne sono non soltanto le differenze, talvolta importanti, tra le diverse linee-guida, ma anche le loro modifiche nel tempo, a volte per effetto di nuovi dati della ricerca, ma in altre circostanze dovute semplicemente ad una rivisitazione interpretativa dei precedenti risultati.

In assenza di più valide alternative, mettere a disposizione del medico le raccomandazioni degli esperti è quanto di meglio si possa fare, e in tal senso non vi è dubbio che le linee-guida diagnostico-terapeutiche possano essere uno strumento interpretativo, formativo ed educativo assai valido. Anche se negli ultimi anni il loro eccessivo proliferare ha creato qualche problema. Può essere utile anche l’elaborazione, all’interno di singoli ospedali, di percorsi diagnostico-terapeutici che facilitino per i medici un utilizzo razionale di farmaci, tecnologie, strutture e personale disponibile.

È però quantomeno discutibile decidere di considerare le linee-guida addirittura un obbligo comportamentale per tutti i medici, conferendo così valore burocratico-legale a quelle che rappresentano le opinioni, sia pur qualificate, solo di alcuni. C’è, infine, una riflessione fondamentale di cui tener conto in questo contesto: l’interpretazione coercitiva delle linee-guida rivela una erronea percezione della natura dei dati che sono resi disponibili dalla ricerca clinica. Questi, anche quando solidi (perché prodotti da trial randomizzati e controllati), riflettono l’effetto medio di una certa scelta terapeutica o diagnostica, senza poter escludere effetti diversi in sottogruppi con caratteristiche particolari; per non parlare del singolo paziente, nei confronti del quale l’applicabilità o meno del dato medio rimane legata a valutazioni fisiopatologiche e cliniche che nessuna linea-guida può codificare, ma che fanno solo parte della competenza e responsabilità del medico, nonché della conoscenza che egli ha del paziente. È stato più volte giustamente sottolineato che voler applicare in modo uniforme raccomandazioni che riguardano le malattie in generale significa ignorare l’eterogeneità dei pazienti e la loro diversa risposta a qualunque opzione terapeutica venga scelta. E che insistere sulla loro applicazione indiscriminata, anziché avere effetti positivi, può favorire l’appiattirsi della pratica medica su un uso pedissequo (e magari difensivo) delle linee-guida, rinunciando al diritto-dovere di differenziarsene quando lo si ritenga in scienza e coscienza opportuno. Sono illuminanti al riguardo le considerazioni conclusive delle linee-guida europee sull’ipertensione arteriosa, che andrebbero forse fatte conoscere ai nostri legislatori: «Le linee-guida trattano le malattie in generale e quindi il loro ruolo deve essere educativo e non prescrittivo e coercitivo per la condizione clinica dei singoli pazienti. Pazienti che possono presentare sostanziali diversità per caratteristiche personali, mediche e culturali, abbisognando per tali ragioni di decisioni diverse da quelle medie raccomandate dalle linee-guida».


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