Lavoro e professione

Piani di rientro in corsia/ Troise (Anaao): «Ricetta fallimentare, serve un patto con gli operatori»

di Barbara Gobbi e Rosanna Magnano

Esclusiva. «Questa idea di mettere gli ospedali in piano di rientro fa parte di una strategia che è partita con le regioni canaglia, è passata dal blocco degli stipendi e ora arriva agli enti intermedi, ospedali e aziende. È una strategia di commissariamento della spesa e di definanziamento coatto del Ssn che mira a ridurre i costi di un'azienda sanitaria che evidentemente il governo considera un lusso che non possiamo più permetterci». È questo il commento del segretario nazionale dell’Anaao Assomed Costantino Troise, sulla bozza di decreto del ministero della Salute che in attuazione della legge di stabilità (comma 524) detta le prime linee guida sui piani di rientro in caso di sforamento di parametri economici o di qualità dell'assistenza. Quest'anno si parte con ospedali-azienda, aziende ospedaliere universitarie, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Dal 2017 il giro di vite si estenderà anche agli ospedali delle Asl.

Una delle leve del provvedimento è la riorganizzazione dei reparti. La chiusura delle unità operative più piccole si tradurrà in trasferimenti di medici e infermieri, blocco del turnover o nella messa in mobilità degli esuberi. Il costo del lavoro è quindi ancora una variabile aggredibile?

L'unica leva utilizzata da governo e regioni da anni è il controllo e la riduzione del costo del lavoro professionale. Ridurre 70mila posti letto negli ultimi 10 anni puntava a rideterminare al ribasso la dotazione organica e tutte le polemiche nelle relazioni tra professioni mirano allo stesso scopo: avere meno medici nel Ssn del prossimo futuro. Una coazione a ripetere con uno strabismo degno di miglior causa che vuole vedere soltanto questo costo da ridurre. E quindi rottamazione del personale, esuberi e blocco del turnover, che al sud hanno messo in ginocchio interi sistemi sanitari e provocato un abbassamento dei Lea.

Il risanamento è nelle mani dei direttori generali...

Questo è un vulnus del decreto: chi gestirà il piano di rientro. I responsabili sono i Dg? Non lo so, non è detto. È curioso che chi è responsabile del buco sia responsabile anche del risanamento. Non ci sono meccanismi di tutela: può succedere anche che un dg che negli ultimi tre anni è stato in carica ora è chiamato in causa. Del resto il commissario nelle regioni canaglia per anni è stato il governatore. A parte i dg, queste linee guida per i piani di rientro triennali prevedono solo una sola formula: lacrime e sangue per cittadini e operatori ma questo significa e cure negate. Perché il modo migliore per risparmiare è negare la cura.

E sul secondo fronte del provvedimento, quello che mette sotto la lente volumi, qualità ed esiti delle cure?

Non sono strumenti che fanno risparmiare in tre anni. Tagliare il personale significa meno servizi e più limitazioni nell'accesso alle cure. I progetti di qualità, di appropriatezza, le centrali di acquisto, il risanamento delle strutture complesse e semplici danno risparmi in tempi non immediati. Se bisogna rientrare di 30-40 milioni l'anno per risanarsi in tre anni, si prepara un altro rientro che finirà con più tagli, più ticket e più tasse. Ed è ancora da capire se questo piano si applicherà in modo equo a tutte le componenti della sanità pubblica: c'è il sospetto che la sanità universitaria venga esonerata dall'obiettivo di risanamento e si comporti da variabile indipendente. Finora la sanità universitaria non ha pagato né in termini di tagli di strutture complesse né semplici. Quando si tagliava in Campania, si facevano convenzioni con l'università in cui la regione pagava l'università se riusciva, bontà sua, a ridurre un 4-5-6% strutture complesse che avevano volumi di attività minimali. Sono poi state escluse anche dai tagli retributivi e dal blocco del turnover in questi anni.

Quindi i margini per recuperare efficienza negli ospedali non ci sono?

Nessun sistema è perfetto ma la ricetta non è quella dei piani di rientro. Un sistema complesso come quello sanitario può migliorare anche in qualità e contenimento dei costi solo attraverso un patto con gli operatori. Tutte le altre strade sono scorciatoie che portano davanti a un muro di ticket e tagli. Campania e Lazio hanno migliorato i conti, ma a che prezzo? In Campania non si fanno concorsi per assumere da quasi 10 anni, con una cecità incomprensibile. I colleghi lavorano 70-80 ore a settimana…Governo e regioni si ostinano da 10 anni ad applicare ricette fallite: prima al sud, basta guardare come è ridotto, poi alle retribuzioni che perdono potere d'acquisto da 7 anni, oggi agli sopedali e domani alle asl. Lo scopo è meritorio ma il metodo è completamente sbagliato.

Ma allora dove funziona come si è fatto ad ottenere miglioramenti?

Questa è una bella domanda: perché nel decreto compare la Toscana e non l'Emilia Romagna? Perché il Sant'Orsola Malpighi è in avanzo di bilancio e il San Martino di Genova o il Careggi o Molinette di Torino sono in disavanzo spinto?

I conti non parlano da soli?

Io non sono un esperto ma so che anche i numeri vanno letti. Varrebbe la pena fare un'indagine.


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