Lavoro e professione

Nuovo triage/ Ricciardelli (Fimeuc): «Non basta il super infermiere o il super medico, servono investimenti a 360 gradi»

di Barbara Gobbi

«Il documento che rivede i criteri di triage è pieno di buoni intenti, tutti validi, ma è auspicabile che diventi operativo solo se ci sarà un investimento reale, in termini di risorse economiche e di personale. Se c’è l’idea di realizzare il nuovo modello a costo zero, meglio non pubblicarlo: il ruolo potenziato inchioderebbe a una serie di responsabilità clinici e professionisti sanitari, che però in assenza di modifiche di contesto non sarebbero messi nelle condizioni di svolgere al meglio quanto viene loro richiesto». Adelina Ricciardelli, presidente Fimeuc (Federazione italiana di Medicina di emergenza-urgenza e delle catastrofi), promuove la revisione delle linee guida sul triage messa a punto da ministero della Salute e società scientifiche, ma tiene a ribadire che è tutto un sistema a dover impegnarsi a 360 gradi per migliorare l’assistenza. «Non è più pensabile fare le proverbiali “nozze con i fichi secchi” - avverte, precisando di parlare a titolo personale - servono soldi anche soltanto per abbattere un muro e creare spazi ampi e più facilmente gestibili. Non sono sufficienti il “super infermiere” o il “super medico”. Non possiamo caricarli di responsabilità e poi lasciar tutto com’era. In molto casi, affidato a concezioni vecchie della gestione dell’emergenza, anche in strutture di recente costruzione».
Poi, Ricciardelli indossa la giacchetta ufficiale di presidente Fimeuc ed entra nel dettaglio: «Il documento prevede che fino a 25mil a prestazioni l’anno l’infermiere sia solo e quindi debba sia provvedere al triage sia osservare i pazieti nelle sale d’attesa. Qui si pone un problema non indifferente di logistica...

In che senso?
Siamo sicuri che tutti i Pronto soccorso siano attrezzati in modo tale da rendere possibile questo tipo di presenza e di osservazione? Di realtà innovative ce ne sono: penso a Pavia, ad Arezzo e a Reggio Emilia, ad esempio, ma delle 688 strutture di emergenza di cui dà conto l’ultimo monitoraggio del ministero, la stragrande maggioranza si presenta con tante stanzette in cui ogni medico aspetta di visitare un paziente e l’infermiere corre da una postazione e l’altra. Ma un infermiere da solo non ce la fa a far fronte a locali separati. Ovvio che quanto scritto nel documento del ministero, di per sé pienamente condivisibile, è un obiettivo ottimale a cui tendere e come società scientifiche ci impegnamo a perseguirlo. Però la realtà oggi è ben diversa e va cambiata già a partire da una diversa logistica: la nostra proposta l’abbiamo presentata in Parlamento nel documento sugli standard strutturali: vanno creati grandi open space dove prevedere tanti box in cui sia possibile gestire e osservare altrettanti pazienti. Ci aspettiamo che su questo fronte le aziende si impegnino e che le Regioni si spendano senza applicare logiche di risparmio: altrimenti si valorizza solo l’aspetto della maggiore responsabilità e si by-passano altre modifiche necessarie. I cambiamenti devono andare di pari passo: non basta avere infermieri formati, il personale deve essere messo nelle condizioni di trattare al meglio il paziente.

A proposito di formazione, a suo avviso è sufficiente quella prevista dal documento?
Dobbiamo tenere conto che si tratta comunque di personale già esperto in emergenza e che il triage è una materia per così dire innata in chi lavora in Pronto soccorso e deve possedere un “occhio clinico”, capace di inquadrare a vista il paziente, oltre che di valutarne i parametri vitali. Quanto alla parte teorica, le flow chart in uso in tutte le strutture sono un ottimo strumento. Poi, ricordo che è previsto un affiancamento con un tutor esperto, per facilitare una più rapida consapevolezza professionale. Al termine del percorso si prevede comunque una valutazione di idoneità dell’infermiere, che dovrà dimostrare di essere autonomo della gestione del triage. Ciò detto, le strutture sono in una situazione decisamente critica per l’alto turnover di personale, spesso numericamente non adeguato alle reali esigenze assistenziali. Servono risorse umane e vanno formate in tempi rapidi, anche per evitare che pur di organizzare il lavoro si ricorra a personale generico.

Torniamo alla tempistica: i tempi indicati nel documento sono realistici?
Le 8 ore complessive per la presa in carico sono “giuste”. Inizialmente si era ipotizzato un percorso esauribile in 6 ore, poi si èdeciso di ampliare l’inter globale a 8, tenendo conto dei pazienti anche molto complessi che necessitano di tempi più lunghi per completare il percorso assistenziale. Poi bisogna sempre tener presente lo “stazionamento” del malato nei Ps che non possano in tempi rapidi collocarlo in reparto. Si pensi a tutti i pazienti che aspettano il posto letto...

E qui entra in scena il nodo sovraffollamento
In Fimeuc abbiamo un’opinione sostanzialmente unitaria: il vero problema non sono tanto i codici verdi o i bianchi, cui le strutture sono in grado di dare risposte anche attivando percorsi come il fast track. Nè tantomeno i codici rossi, su cui tutti siamo attrezzati.
Il problema sono i pazienti complessi che vanno ricoverati, ma non si sa dove metterli. Nel Lazio, ma anche in Emilia Romagna, gli utenti possono sostare anche uno o due giorni in Pronto soccorso, prima di trovare il posto letto.Il vero problema per la mia Federazione è tutto sommato questo.

E le urgenze intermedie?
Vanno studiati e ottimizzati percorsi ad hoc. A Ferrara, ad esempio, si sta pensando di informatizzare il sistema di prenotazione: tutti i medici di Ps che ritengano necessario “rivedere” il paziente non particolarmente urgente ma che è opportuno sia preso in carico da uno specialista, potranno accedere all’agenda del Cup, fissare l’appuntamento e gestire l’intero percorso in ospedale. Senza bisogno di rinviare la persona al Mmg, che poi in ogni caso dovrebbe limitarsi a trascrivere la prescrivere per prestazione specialistica richiesta dai medici dell’emergenza.

Strumenti utili, che prò non risolvono il problema del sovraffollamento e non delegano al territorio, che invece è ampliamente citato nelle nuove linee guida sul triage
Vero. È chiaro che il percorso di presa in carico, a regime, va condiviso con i medici di medicina generale. I quali però oggi, anche quando si siano associati, non sono ancora entrati in rete con gli specialisti. La rete è tutta da fare. Sono ancora poco diffuse esperienze organizzate come le case della salute. È chiaro che quando una buona fetta di pazienti andrà dal medico di famiglia, ne risulteranno smaltiti molti degli accessi in pronto soccorso.

E per il caso delle dimissioni protette, quanto può essere di supporto il territorio, oggi?
Le cosiddette cure intermedie sono l’altro buco nero dell’organizzazione sanitaria. penso alle strutture residenziali e alle case protette, a forte presenza infermieristica, e che ancora sono poche rispetto alle esigenze di una popolazione che invecchia e in cui gli anziani sono sempre più soli. Un dramma che il Paese deve affrontare.


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