Lavoro e professione

Art 22, Giovani medici Sigm: «Più ombre che luci»

di Andrea Silenzi (presidente nazionale Associazione italiana giovani medici-Sigm) e Ambra Masi (coordinatrice Dipartimento specializzandi Sigm)

Si riaccende la discussione sulla legge delega in materia di sviluppo e gestione delle risorse umane in sanità (ex art. 22 del Patto della Salute) su un campo da gioco che appare tuttavia ancora dai bordi un po' troppo stretti per soddisfare appieno le esigenze di tutte le parti, primi fra tutti giovani medici che dovrebbero essere i principali destinatari dell'ennesima riforma in tema di formazione.

Resta centrale una sistematica programmazione e pianificazione del fabbisogno dei professionisti di area sanitaria, zoccolo duro su cui la nostra Associazione ha costruito gran parte delle sue battaglie, per di più alla luce di standard quali-quantitativi che individuino una classe sanitaria competente e funzionale al bisogno e alla domanda di salute. Ed è positivo finalmente rilevare la presenza di questo caposaldo anche in una proposta avanza da chi finora aveva modulato proposte programmatorie basandosi quasi esclusivamente sul dato storico.

La volontà di una pianificazione basata sui reali fabbisogni nazionali allineerebbe l'Italia a politiche già sposate da tempo da altri Paesi europei ma su questo punto continuiamo a guardare con speranza ai lavori della “Joint Action on Health Workforce Planning & Forecasting” di cui il nostro Paese grazie al lavoro del ministero della Salute è responsabile del work package riferito alla comparazione delle best practice.

Il collo di bottiglia formativo e lavorativo imposto dalla sproporzione fra neolaureati e disponibilità di posti in specializzazione e corso di formazione in medicina generale prima, nonché dal blocco del turnover delle assunzioni dopo, è la spada di Damocle che a tutt'oggi costringe i colleghi all'emigrazione o all'agonia della flessibilità imposta o del precariato.

In quest'ottica è necessario accorciare i tempi morti e ricordiamo come dal 2010 la nostra Associazione si sia fatta promotrice della proposta della laurea abilitante su cui ha nel tempo continuato a operare attraverso un lavoro di advocacy con altre realtà associative rappresentative del mondo dei giovani medici e studenti di medicina come Federspecializzandi e Sism. Nulla di nuovo dalle discussioni del tavolo da questo punto di vista, quello che serve non sono proposte già presentate ma una reale volontà di miglioramento.

E in questo l'individuazione di specifiche misure per la stabilizzazione del precariato, attraverso procedure concorsuali che possano contare su risorse aggiuntive, stanziate magari a livello centrale più che regionale, rappresentano pertanto una priorità altrettanto importante.

I nodi da sciogliere restano sul tema della formazione
È ragionevole che la valorizzazione delle risorse umane passi da una definizione del profilo professionale in un'ottica più ampia, che quindi orienti la classe medica fin dai primi passi della formazione nella direzione delle esigenze del sistema sanitario e del territorio ma è altresì imprescindibile conservarne le peculiarità formative che finora ne hanno garantito lo spessore professionale.

Se il concetto della “rete formativa” non è nuovo, come già il nostro regolamento prevede dal 1999, si riapre invece la ferita sul tema della dignità del percorso formativo stesso. Bene usare le risorse delle Regioni per garantire il diritto alla formazione, cosa che sta peraltro già avvenendo da parte di alcune regioni che hanno, con un ritardo purtroppo di qualche anno, iniziato a utilizzare i fondi sociali europei per garantire contratti di specializzazione, eppure il prezzo da pagare appare ancora troppo alto. La proposta dell'inserimento dei giovani medici specializzandi, attraverso la contrattualizzazione a tempo determinato nel Sistema sanitario nazionale sembra un tentativo di immolare il percorso didattico professionalizzante sull'altare dei piani di rientro regionali: forza lavoro a basso costo per tamponare le falle del sistema sanitario.

Le incognite sulla qualità del percorso
La tutela della qualità della formazione resta uno dei nodi spinosi su cui la nostra associazione continua a far leva: i medici specializzandi dell'ultimo biennio sarebbero inseriti nelle strutture con una «graduale assunzione di responsabilità assistenziale» ma qualcuno si è concentrato sulla necessità di realizzare quanto già previsto? Un accreditamento da realizzare attraverso indicatori di performance delle UU.OO afferenti alla rete (univerisità, ospedale e territorio) è già previsto dal DI 68/2015, quello del nuovo riordino. Una richiesta fortemente voluta dalla nostra associazione che la propose la prima volta all'interno dei lavori del tavolo tecnico di esperti voluto dall'allora ministro Profumo e che di lì in poi è stato supportato continuamente dal Sigm e da Federspecializzandi in ogni occasione utile.

Senza questo passaggio, la proposta finirebbe per realizzarsi nell'impiego degli specializzandi in ospedali periferici, priverebbe il medico di casistica, strutture e figure di riferimento (tutor), imprescindibili per una formazione a 360 gradi.
Sembrerebbe l'ennesimo tentativo di dequalificare la professione medica come manovalanza a basso costo, in un'ottica di riscatto contro le inappropriatezze e gli sprechi in sanità. Sulla pelle della nuova generazione di professionisti sanitari. E ciò ovviamente non tiene conto neppure del diritto del paziente a essere curato da un medico adeguatamente formato.

Una contraddizione pertanto a quello stesso principio di rilancio della figura professionale del medico che questo decreto vorrebbe proporre. Viene pertanto da chiedersi dove penda davvero l'ago della bilancia, nel precario equilibrio tra formazione della classe medica e volontà di semplice risparmio economico. Non solo ma si negherebbe la possibilità di assunzione a coloro che tale percorso lo hanno completato, innescando il circolo vizioso di risorse umane non adeguatamente impiegate.

Troppo silenzio sulla Maedicina generale
C'è poi da considerare ancora la nota dolente della formazione in medicina generale, su cui grava un silenzio che alimenta un divario ingiustificato in termini di dignità professionale con le altre scuole di specializzazione, peculiarità tristemente solo italiana.

E ancora la differenziazione della progressione di carriera all'interno del Ssn a doppio binario (professionale pura e manageriale): più che una maggiore flessibilità nei processi di gestione delle risorse umane appare una proposta anacronistica. É possibile forse oggi pensare alla figura di un medico, che, posto quotidianamente a confronto con problemi di risorse e sistemi sanitari complessi, sia poi in conflitto con la scelta di un percorso manageriale?

Una bozza pertanto che ha più ombre che luci e che non sembra proporre chissà quali grandi venti di riforme, in realtà si muove ancora su margini di uno status quo ben consolidato e difficile da smuovere, di un campo da gioco dove i soliti noti pretendono ancora di voler giocare con regole vecchie che si traducono in confini troppo stretti e asfittici per le sfide che i giovani medici e la sanità tutta devono affrontare.


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