Lavoro e professione

Voglia di famiglia “qualunque essa sia”. Ecco l’adolescenza vista dall’osservatorio Paidòss

di L.Va.

Se c’è un’immagine che fotografa bene il nostro tempo è quella dei ragazzi con in mano lo smartphone, completamente alienati rispetto a quello che succede intorno. E a ben vedere in quest’immagine di isolamento “dei sensi” ci si può riconoscere anche chiunque di noi, a qualunque età, ormai costantemente connessi in qualunque posto, in qualunque situazione. Ma in quest’alienazione forse c’è spazio per qualcosa che non ci si aspetta dai giovanissimi, il ritorno al bisogno di famiglia, di certezze, di valori con cui confrontarsi. Forse è dal vuoto che occorre partire per cambiare rotta, rispetto alla realtà fatta di figli “sdraiati” sui divani, senza ideali, un po’ bulli, un po’ vittime. Ed è quello che emerge dall’indagine realizzata da Datanalysis per la società scientifica Paidòss, su 1.000 ragazzi dai 9 ai 16 anni, una fascia più estesa dell’adolescenza tradizionalmente intesa.

Smontare gli stereotipi sui ragazzi
«Volevamo una fotografia reale di una bella fetta dei nostri piccoli pazienti», dice Giuseppe Mele, pediatra di lunghissimo corso, ex leader Fimp e oggi presidente Paidòss. «Ci aspettavamo la solita immagine, un po’ abusata e che, secondo noi, non rendeva giustizia ai ragazzi. La nostra ricerca ci ha dato, infatti, una realtà completamente diversa». In pratica viene fuori un adolescente ben più positivo degli stereotipi, che al mondo virtuale di internet e ai social network antepone i valori umani concreti. «La famiglia al primo posto, come sede naturale degli affetti, come porto sicuro, non per forza convenzionale nella sua formazione. Nella quale magari ha problemi di comunicazione, ma in cui crede molto. È non è tutto - puntualizza Mele - È un adolescente molto meno rassegnato di quanto si dice, aperto al mondo pur rimanendo realista». Oggi l’adolescenza finisce tardi, si sa, ma comincia anche presto, intorno ai 9-10 anni.

Pediatri punti di riferimento
Per Mele questi dati vanno interpretati dai medici pediatri e devono spingere a riflettere sul bisogno di salute, ma anche di punti di riferimento per i ragazzi. «Per questo chiediamo da anni che il pediatra possa accompagnare il giovanissimo nel suo percorso di adolescenza, oggi terra di nessuno. Il ritratto degli adolescenti italiani 2016 è complesso. Il valore che danno agli affetti, agli ideali, alla famiglia emerge chiaramente dalle risposte. E la mancanza di figure di riferimento che segnalano ci riporta anche alla figura del pediatra, che può intercettare disagi e bisogni prima della famiglia stessa». Se i teen ager al primo posto tra i bisogni per il nostro paese mettono “La sicurezza di una famiglia sempre presente” e all’ultimo posto “Una politica che sappia fare bene”, qualche interrogativo bisogna porselo. «Non mi meraviglia che i ragazzi escludano totalmente dalla loro vita la politica. È una risposta ovvia perché la politica si è completamente dimenticata dell’adolescenza», incalza Mele. Nella famiglia vorrebbero forse più comunicazione: «Certo, i genitori di oggi non gestiscono l’ansia e la riversano sui figli, ma anche nel rapporto con il medico» dice Mele.

Anche la multiculturalità, che fa ancora paura agli adulti viene giudicata “importante come altre situazioni quali lavoro, pace ecc.” dal 35,4% (con maggiore rilevanza nel Centro e Sud Isole e tra gli intervistati di 13-16 anni) e un “arricchimento” dal 34,1%. Solo dal 20,3% (con più forza nelle aree settentrionali del Paese e tra coloro che hanno 15-16 anni) è invece vissuta come “una limitazione”. Mentre la presenza di altre religioni oltre a quella cattolica dal 32,3% è ritenuta “accettabile perché è parte dei cambiamenti della globalizzazione”. E su questo i giovani possono insegnare ai grandi.


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