Lavoro e professione

La casa della salute scricchiola? Ecco come procedere al restyling

di Emanuele Vendramini (professore associato Università Cattolica del Sacro Cuore sede di Piacenza)

Da alcuni anni è in atto in diverse Regioni la sperimentazione legata alle case della salute. Obiettivo di questo breve contributo è quello di interrogarsi su quali siano i bisogni a cui queste nuove realtà intendono rispondere e, quindi, quale sia la loro concreta efficacia.

Inutile ripetere quali sono i bisogni che caratterizzano i pazienti delle nostre Aziende sanitarie in quanto oramai sono noti e risaputi. La domanda vera è quindi: alla luce della fragilità, della polipatologia, della non autosufficienza come si sta attrezzando la sanità territoriale? Molti dicono che grazie alle case della salute si intende dare una risposta efficace e tempestiva a livello territoriale. Se fosse cosi le premesse sarebbero molto buone.

Ragionare oltre i numeri
Rimane il dubbio se le case della salute siano un fine in sé oppure un mezzo per raggiungere degli obiettivi e soprattutto se il sistema e gli operatori si stiano autoconvincendo che avere il territorio caratterizzato dalla presenza di queste strutture sia automaticamente un bene. Si dovrebbe quindi, per non rischiare di affastellare servizi e professionisti, iniziarne a misurare l’efficacia più che il numero.

Proviamo a ragionare: veniamo da un ventennio in cui le aziende sanitarie hanno raggruppato servizi in strutture, razionalizzando l’offerta territoriale riducendo ad esempio le sedi periferiche aperte solo poche ore alla settimana. Le sedi di continuità assistenziale si sono ridotte e aggregate, in alcuni casi si è già passati a un’assistenza h16 alla luce delle evidenze e dei bisogni espressi nella fascia 24-8.

In aggiunta, in questi ultimi anni una serie di sedi - una volta denominate poliambulatori distrettuali - sono state dotate di un ambulatorio infermieristico, una sede per qualche Mmg - quello che una volta sarebbe stata chiamata “medicina nel distretto” - o un punto prelievi e sono state denominate case della salute; di fatto centri di offerta territoriale con medici specialisti tipicamente “sumaisti” a erogare prestazioni. A una prim’analisi raggruppare sotto un unico tetto queste funzioni sembra un’ottima soluzione. È importante però analizzare se in questo modo il sistema abbia risposto in modo più efficace al bisogno dei cittadini e la risposta potrebbe non essere positiva. Provo a illustrarne le motivazioni.

I punti qualificanti di una casa della salute
Una casa della salute intesa come centro di offerta risponde solo parzialmente ai bisogni emergenti, sarebbe infatti importante interrogarsi in merito alla capacità di intercettare la prevalenza delle patologie croniche, di governare la domanda e di monitorare la compliance dei pazienti rispetto ai Piano di assistenza individuale (Pai) e ai Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (Pdta).

Questa funzione sembra infatti quella di maggiore rilevanza rispetto a un ruolo di esclusiva erogazione di prestazioni e servizi (inoltre avere un poliambulatorio aperto anche h12 non risolve i problemi come non sono stati risolti dagli incentivi dati ai medici di medicina generale per ampliare l’orario di apertura dei propri studi).

Le case della salute dovrebbero quindi rappresentare il braccio operativo dei Distretti in tema di governo clinico e di percorsi e rispondere quindi alle seguenti domande:

quanti sono gli ipertesi (diabetici/Bpco/post Ima ecc) nel mio ambito di riferimento? A quanti stiamo dando risposta?

Quanti non sono inclusi in un Pai/Pdta? E di quelli arruolati qual è il livello di compliance?

Necessario prendere in carico cronici e post acuti
In sintesi la risposta alle precedenti domande dovrebbe portare il responsabile della casa della salute a integrarsi con i responsabili della presa in carico per valutare il livello di performance e responsabilizzarli soprattutto in tema di reclutamento della prevalenza non intercettata. Questo implica che si vada da un lato a inserire in un Pai quei pazienti che hanno bisogno di essere presi in carico ma che non sono stati ancora intercettati dall’altro offrire prestazioni con slot dedicati per permettere di effettuare a pazienti dichiaratamente diabetici il fundus oculi o la visita generale o a quelli con Bpco la spirometria annuale o comunque periodica. Quindi benissimo che la casa della salute sia un centro di offerta, ma che sia aggiornato e coerente con la logica dei percorsi e della presa in carico soprattutto dei cronici o dei post acuti.

Il fulcro di queste realtà dovrebbe poi essere il costante monitoraggio dei consumi della popolazione di riferimento e la relativa appropriatezza clinica e dell’ambito di cura. E non è secondario che emerge con forza la marginalità di istituire case della salute in assenza di un’organizzazione per percorsi da parte dell’azienda sanitaria (tanto in ospedale quanto a livello territoriale), senza i Pdta verrebbe meno la funzione legata al monitoraggio della prevalenza reclutata e della relativa compliance rispetto agli standard.

In tal senso avrebbe una certa logica che nella sala riunioni della casa della salute si organizzino gli incontri periodici delle Aft di riferimento per il monitoraggio continuo dei risultati insieme ai Mmg e, per quanto di competenza, con gli specialisti presenti e il personale infermieristico al fine di aumentare la performance complessiva e l’efficacia della presa in carico.

Responsabili di gestione
Dal punto di vista logico ne consegue un’ulteriore domanda: chi deve avere la responsabilità della direzione e gestione della casa della salute?

Non esiste una risposta unica ma forse quella maggiormente convincente è che a dirigere la casa della Salute possa essere del personale appositamente formato di estrazione assistenziale proprio per le caratteristiche intrinseche di quella realtà che non è o non dovrebbe essere “solo” un poliambulatorio che ha cambiato insegna, ma una nuova realtà che svolge una funzione di committenza e di governo clinico al fine di garantire alla popolazione una presa incarico per patologia e non per prestazioni.

Un indicatore interessante potrebbe essere non tanto se vi è o meno un centro prelievi o quanti prelievi ematici vengano effettuati, ma se ogni anno aumenta il numero di pazienti diabetici che periodicamente controlla l’emoglobina glicata presso la casa della salute (o periodicamente fa il fundus oculi, così come prescritto dalle linee guida).

In tal senso un governo della casa della salute da parte di un dirigente dei servizi infermieristici appare coerente con l’altra funzione di rilievo della casa della salute, l’integrazione con i servizi socio-assistenziali per intercettare l’anziano fragile per ora autosufficiente ma che vive da solo per esempio in una frazione di un piccolo comune.

In questa prospettiva si auspica una ritrovata integrazione tra le funzioni di committenza e di erogazione a livello territoriale al fine di strutturare al meglio quella rete di servizi volta a rispondere ai bisogni delle nostre popolazioni.


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