Lavoro e professione

Proposte per lo sviluppo di carriera dei dirigenti medici

di Carmine Gigli (presidente Fesmed)

Il cittadino che si rivolge a un medico all’interno di un ospedale o di un presidio sanitario, anche se il medico è dotato di un cartellino identificativo, non ha alcun riferimento sulle competenze e sull’incarico affidato a quel medico, a meno che non si tratti del direttore del reparto.
Questo non è dovuto a una cattiva organizzazione aziendale, ma è la conseguenza di quello che è noto come “Decreto Bindi” (229/1999), il quale stabilisce che «la dirigenza sanitaria è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, e in un unico livello».
Per questo motivo la stragrande maggioranza dei medici che entrano nel Servizio sanitario nazionale (Ssn), all’atto dell’assunzione ricevono la qualifica di «dirigente medico» e dopo oltre 40 anni di servizio vanno in pensione sempre con la qualifica di «dirigente medico». Molti professionisti mal sopportano questa situazione e sarebbero favorevoli all’introduzione di un percorso professionale che valorizzi la peculiarità del lavoro medico all’interno del Ssn, attraverso il riconoscimento di incarichi progressivi e differenziati sulla base delle competenze acquisite, siano esse prevalentemente professionali o gestionali.

Qualcosa potrebbe cambiare con l’applicazione dell’accordo Stato-Regioni del 10 luglio 2014, concernente il nuovo Patto per la Salute per gli anni 2014-2016, il quale prevede un disegno di legge delega (art. 22), che dovrà dettare princìpi e criteri direttivi anche in ordine alla disciplina dello sviluppo professionale di carriera.
Potrebbe essere l’occasione buona per un cambiamento, attraverso il quale si dovrebbe prendere atto e riconoscere che le competenze individuali dei dirigenti medici si vanno differenziando nel tempo, in base ai percorsi professionali, alla formazione, alle esperienze e alle abilità acquisite. L’Azienda dovrebbe prendere atto di tutto questo e utilizzarlo ai fini del miglioramento del servizio e per gratificare i professionisti.
Molti medici ritengono che, con l’acquisizione di competenze più elevate, debbano essere riconosciuti nel tempo incarichi di maggiore responsabilità, con un coinvolgimento crescente nelle attività dell’equipe. Ovviamente, ai nuovi e progressivi incarichi si dovrebbe associare un beneficio economico e anche l’attribuzione di un titolo, che renda palesi le competenze e il grado di responsabilità raggiunto.
In pratica, lo sviluppo professionale di carriera del medico dovrebbe essere impostato sulla formazione, dovrebbe essere motivato consentendo il raggiungimento di incarichi progressivi associati a benefici economici e di immagine, oltre a comportare un crescente coinvolgimento nelle attività più complesse dell’équipe.
Le tappe del percorso professionale, che potrebbero essere via via raggiunte, dovrebbero essere identificabili dai colleghi e dagli utenti, attraverso l’attribuzione di un titolo che indichi in qualche modo le competenze acquisite e/o il grado di responsabilità riconosciuta, per esempio: Dirigente medico qualificato, Dirigente medico esperto, Dirigente medico responsabile di percorso, Dirigente medico responsabile della formazione (tutor), etc.
È inutile negare che un simile percorso professionale, inevitabilmente basato sul merito, ponga il problema della corretta identificazione dei criteri da utilizzare per la selezione e di un’equa modalità di valutazione delle competenze acquisite, ai fini del riconoscimento dei nuovi incarichi nel percorso professionale.
La selezione dovrebbe essere il più possibile trasparente e basata sulle competenze professionali realmente acquisite e documentate, tenendo conto della formazione svolta, delle attività professionali eseguite e rilevabili dalla casistica e dagli esiti, con riferimento agli standard nazionali (Pne) e regionali specifici, oltre all’effettivo contributo fornito per il raggiungimento degli obiettivi quali-quantitativi dell’équipe.
Un discorso a parte richiede l’auspicabile rivisitazione dell’incarico di direzione di struttura complessa (S.C.), diventato sempre più raro, il quale dovrebbe essere maggiormente caratterizzato nel senso di governo clinico della struttura e di gestione delle risorse assegnate (umane e strumentali). Ferma restando l’elevata competenza professionale che si deve richiedere al direttore della S.C, la sua attività dovrebbe mirare prevalentemente all’efficienza clinica, alla efficacia delle cure, alla formazione del personale e all’implementazione di linee guida e procedure.

Carmine Gigli

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