Lavoro e professione

Droghe, il proibizionismo che fa male alla salute

di Patrizio Gonnella (Antigone-Cild) e Andrea Oleandri (coordinatore della campagna «Non me la spacci giusta»)

«Le droghe sono un affare». A ricordarlo con nettezza è Europol in una ricerca pubblicata poche settimane fa e condotta insieme allo European Monitoring Center for Drugs and Drug Addiction. Si stima che l'affare droghe pesi tra lo 0,1 e lo 0,6% del Pil nei Paesi dell'area Ue. In termini assoluti esse costituiscono un affare in Europa di almeno 24 miliardi di euro. La cannabis contribuisce per il 38%. Più dell'eroina (28%) e della cocaina (24%). L'Europol stessa ammette che si tratta di dati approssimati per difetto e che hanno contribuito al rafforzamento del terrorismo internazionale che usa il narco-traffico per finanziarsi. La proibizione fa crescere le organizzazioni criminali e terroristiche. Il monopolio criminale della produzione e della commercializzazione delle droghe moltiplica i rischi per la vita e la sicurezza individuale.

La criminalizzazione allontana i pazienti dalle strutture sanitarie
In primo luogo alimenta traffici illegali che usano quei guadagni per attività criminali che producono morte e violenza. La vita va protetta sia attraverso azioni di welfare che attraverso la neutralizzazione degli attentati alla stessa.

In secondo luogo non favorisce la presa in carico pubblica dei tossicodipendenti considerati come devianti e non come cittadini, pazienti, consumatori. «Il mio sogno è che i paesi basino le loro politiche sulla droga dando la priorità ai diritti umani e alla salute pubblica. Si oppongano alla paura irrazionale e all'ideologia». A dirlo fu Dainius Pūras, relatore speciale dell'Onu sulla salute, in una lettera inviata al direttore dell'Unodc, l'Ufficio delle Nazioni Unite sulla Droga e il Crimine, segnalando come il proibizionismo abbia inciso negativamente sulla salute individuale e globale.

La criminalizzazione ha infatti spinto le persone a nascondere i propri problemi di salute e ad allontanarsi dalle strutture sanitarie per paura di essere arrestati o perseguiti, impedendo così risposte adeguate ad Hiv, epatite C, overdose e alla stessa tossicodipendenza. La repressione non ha nel tempo ridotto i consumi delle sostanze e non ha abbassato il rischio di contrarre malattie potenzialmente mortali o comunque irreversibili.

Secondo le statistiche più recenti dell'Unaids le persone che nel mondo si iniettano droghe avrebbero 28 volte più probabilità di contrarre il virus dell'Hiv rispetto alla popolazione generale. Sempre stime dell'Unaids indicano che circa il 13% di chi si inietta droghe – una cifra impressionate pari a 1,7 milioni di persone – ha contratto l'Hiv.

L'approccio unidimensionale repressivo non è mai pragmatico. Si pensi a quello che accade all'interno dei luoghi di privazione della libertà. L'Osservatorio sulle droghe di Lisbona ha dimostrato che in molte prigioni del vecchio continente gira droga, pur essendo proibito, e che i detenuti-tossicodipendenti sono costretti a iniettarsela con mezzi di fortuna contraendo malattie pericolose. Un approccio realista e attento alla salute, consapevole che un carcere non è mai una cassaforte inespugnabile, si preoccuperebbe di evitare la diffusione di malattie infettive attraverso la somministrazione controllata di eroina e la distribuzione di siringhe. È la stessa Unaids a ricordarci come ci siano prove inconfutabili per cui le nuove infezioni da Hiv diminuiscono bruscamente quando le persone che si iniettano droghe hanno accesso a servizi di riduzione del danno.

In Italia tagliate le politiche di riduzione del danno
In Italia non solo si è cavalcata l'ondata populista repressiva ma si sono anche tagliate radicalmente le politiche di riduzione del danno. Come denunciato dall'associazione Lila, nel nostro Paese il 43% delle persone che assume sostanze per via iniettiva arriva tardi alla diagnosi da Hiv, una percentuale ben maggiore della media europea che è del 29%.

La causa di questa situazione – sempre secondo la Lila - sarebbe da ricercarsi nell'assenza di offerta dei test da parte dei Servizi per le Tossicodipendenze delle Asl. Questa situazione fa sì che molte persone che consumano sostanze scoprano di avere l'Hiv solo quando il loro sistema immunitario è fortemente compromesso.

Il nostro sistema ha puntato tutto sulla proibizione e sulla punizione. Nelle carceri italiane nel 2015 oltre il 25% dei detenuti ha evidenziato problemi di tossicodipendenza che avrebbero richiesto ben altre cure e programmi specifici rispetto a quelli consentiti in una galera.

Così si danneggiano i giovani e la loro salute
Chiunque abbia esperienza di lavoro educativo sa che con i ragazzi bisogna parlare, affaticarsi a spiegare. I ragazzi non vanno trattati da stupidi o da criminali. I ragazzi sono fisicamente e mentalmente più vulnerabili, sono meno informati circa gli effetti potenziali delle sostanze che consumano, sono più propensi a correre rischi legati all'assunzione di droghe. Le leggi punitive non scoraggiano gli adolescenti e i giovani dall'uso delle sostanze.

In uno studio del 2014, il Ministero degli Interni britannico ha concluso che la durezza delle leggi sulla droga non aveva alcuna influenza sui livelli di consumo. Sono centinaia di migliaia i consumatori minorenni di cannabis in Italia. Non vanno criminalizzati. Va evitato che vadano a finire nelle mani di pusher privi di scrupoli che vendono roba tagliata e ben più pericolosa rispetto alla marjuana coltivata.

Più problemi anche per chi si cura con la cannabis
La scienza ha dimostrato gli effetti terapeutici benefici della cannabis per patologie gravi. In Italia è legale curarsi con la cannabis dal 2007. Si possono comprare farmaci a base di cannabis ma non si può coltivare in proprio. I pazienti faticano però a trovare medici informati che la prescrivano. Vince il pregiudizio. Inoltre la legge prevede che la prescrizione debba essere rinnovata ogni tre mesi così complicando ulteriormente la vita del paziente. Il prezzo del farmaco è altissimo, intorno ai 25 euro al grammo. È così impossibile l'acquisto per persone non benestanti che ne debbano consumare anche un grammo al giorno per soffrire meno. L'azienda produttrice di farmaci a base di cannabis è in Olanda. A breve potrà essere prodotta nello stabilimento dell'esercito a Firenze. Ciò si spera possa far ridurre i prezzi. Oggi curarsi con la cannabis è roba da ricchi, purtroppo. Infatti tra i malati sono molti quelli che percorrono altre strade. Alcuni l'acquistano sul mercato illegale, a prezzi ben più accessibili, assumendosi il rischio di una denuncia penale e di consumare una sostanza non pura e dunque meno benefica. Altri decidono di coltivarla da sé, garantendosi così una maggiore genuinità del prodotto, non finanziando la criminalità organizzata ma con rischi penali piuttosto elevati – arresti e condanne – come recenti episodi giudiziari ci hanno raccontato. Un paradosso nel paradosso il cui, unico risultato, è negare il diritto alla salute di migliaia di malati.


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