Lavoro e professione

Nuovi contratti, Cavallero (Cosmed): «L’Abc per sedersi al tavolo»

di Rosanna Magnano

Ripristino dei fondi aziendali, detassazione e decontribuzione del salario variabile e degli aumenti contrattuali come avviene nel privato, welfare aziendale. È questo l’Abc per un rinnovo contrattuale accettabile dei medici Ssn. Per recuperare, almeno in parte, il terreno perduto in sette anni . Lo sottolinea Giorgio Cavallero, segretario generale della Cosmed, Confederazione sindacale medici e dirigenti.

In generale la grande incognita sul futuro del personale Ssn sono le risorse che saranno destinate al Fondo sanitario nazionale dalla prossima Legge di Bilancio. E le sigle sindacali sono in attesa di essere convocate entro metà settembre dall’Aran e dalla ministra della Pa Marianna Madia per fare il punto su questo snodo cruciale. «Perché anche il Governo - sottolinea Cavallero - ha capito che con le briciole stanziate per il rinnovo dei contratti scaduti da sette anni non si va da nessuna parte».

Il contratto quadro sui nuovi comparti è stato sottoscritto definitivamente il 13 luglio scorso, gli atti di indirizzo delle Regioni ci sono ma hanno avuto pesanti rilievi dal Mef ai quali le Regioni risponderanno a breve. Insomma la nuova tornata contrattuale è sulla rampa di lancio ma l’altezza del volo è tutta da stabilire.

E le questioni aperte sul tavolo sono anche altre: la stabilizzazione di circa 8mila medici precari, il ddl ex articolo 22 del Patto della Salute e il rebus della formazione, il comma 566 e le nuove competenze delle professioni sanitarie.

A che punto siamo?
Esistono due scenari : quello della legge di Stabilità, che non è solo uno scenario economico contrattuale, ma di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, che ha comunque delle ricadute sulle condizioni di lavoro. Si parlava di 2 miliardi perché bisogna fare delle assunzioni e mandare avanti la macchina del servizio pubblico. Nel frattempo stanno venendo fuori delle scadenze. Il 21 settembre c’è il Def e il 12 di ottobre devono presentare il disegno di legge della Manovra. E poi c’è lo scenario particolare dell’atto di indirizzo. Bisogna quindi vedere le carte. Per capire come avviare il tavolo su basi credibili.

Quali sarebbero le soglie della credibilità?
La ministra Lorenzin parlava di 2 miliardi per il Fsn e mi sembra il livello minimo. Per i contratti voci giornalistiche hanno parlato di un incremento a 1,2 mld ma bisogna vedere il Def. In ogni caso anche 1,2 mld non serviva che per aumenti medi di 20 euro al mese. E questo provvedimento deve comunque essere accompagnato anche da altre misure. È difficile approvare un contratto peggiorativo rispetto al precedente. Perché dal 2010 le Finanziarie hanno tagliato i fondi aziendali e questo è un fatto molto grave. Li hanno ridotti bloccando il tetto al 2010 e riducendoli in proporzione al numero dei dipendenti. Il pubblico impiego ha perso 300mila dipendenti e gli stessi medici sono calati di 7mila unità su 120mila. Quindi il Governo ha risparmiato anche sui fondi accessori, che dovevano sostenere gli straordinari, le riorganizzazioni, i disagi, l’adeguamento alle norme europee dell’orario di lavoro, sulle quali c’è di nuovo una procedura di infrazione che può portare multe milionarie. Quindi il primo passo è quello di rimuovere le penalizzazioni mettendo il sindacato nelle condizioni di firmare un contratto che non sia peggiorativo.

Parlava di altri provvedimenti, quali?
Bisogna applicare al settore pubblico quello che si applica al settore privato e cioè la detassazione, la decontribuzione del salario accessorio estendendolo a un tetto che non è di 35mila euro ma di 90-100mila euro in modo da far godere anche i dirigenti di una detassazione sul salario di produttività. E poi c’è la questione che i dipendenti privati ma non quelli pubblici hanno il cosiddetto welfare.Quello contenuto nella circolare del 15 giugno 2016 dell’Agenzia delle Entrate, ossia la detassazione di una serie di oneri che vanno dalla badante alla baby sitter e altri oneri sociali. Questo va esteso anche al settore pubblico e può essere un notevole ristoro. Allora se ci sono tutte queste condizioni a monte la trattativa può consentire al sindacato di sedersi al tavolo almeno recuperando le retribuzioni storiche.

Quanto si è perso per strada in questi sette anni?
Abbiamo perso non solo potere d’acquisto, inflazione, eccetera ma anche in valore assoluto sui fondi accessori. Il taglio è stato di circa un 10% sulla parte variabile della busta paga che significa un 5-6% della retribuzione complessiva. Per il calo degli organici e per il congelamento del tetto del 2010, che è diventato invalicabile. Tutto questo in un momento in cui si cerca di aumentare la produttività per soddisfare i bisogni dei pazienti. Misura che sosterrebbe anche crescita e Pil ma che cozza con i tagli agli incentivi alla produttività stessa prodotti dalle Finanziarie degli ultimi anni. Anche la riforma della dirigenza, che non ci riguarda ma rappresenta un orientamento, enfatizza un salario variabile che è quello che però è stato tagliato. Poi c’è tutta una serie di aggiustamenti, ad esempio sugli straordinari che andrebbero pagati dall’azienda.

Serve il pane e servono anche le rose. Non solo soldi quindi ma anche condizioni di lavoro. C'è la piaga del precariato, da tempo fuori controllo..
Qui siamo ancora fermi alla Finanziaria del 2004, con un vincolo sulle spese per il personale. Questo vincolo non ha più senso, è vecchio di 12 anni e va rimosso. Non solo il precariato è in continuo aumento in sanità ma siamo in attesa del decreto delegato ex art. 17 che deve stabilire quale tipo di precariato è compatibile con il lavoro in sanità. Questo è un obbligo che risale al 2003, alla legge Biagi..negli ospedali c’è ogni tipo di precariato, dai cococò alle partite Iva, che vengono utilizzate per fare le guardie sottopagando dei giovani. Non è corretto, si tratta di lavoro subordinato e come tale va retribuito. La libera professione è un’altra cosa. Bisogna trovare un minimo di soluzione, per esempio consentendo ai medici di andare in pensione a 65 anni. In questo modo si potrebbero immettere in ruolo i giovani. Occorrono dei provvedimenti legislativi, altrimenti il precariato non calerà mai. È la legge di Bilancio che deve dare un segnale. Attenuando il regime pensionistico, favorendo l’immissione in ruolo ed eliminando forme opportunistiche di precariato.

E su formazione e art. 22?

Qui i tempi sono più lunghi trattandosi di un disegno di legge delega. Bisogna discutere con l’Università che su questo argomento non mi risulta abbia una posizione di apertura. Il problema è che accorciare di un anno le specializzazioni, pensare a un percorso di formazione-lavoro, di introduzione nella dirigenza e di inserimento degli specializzandi almeno negli ultimi anni in servizio a disposizione del Ssn e non solo nelle università agevolerebbe sicuramente l’inserimento lavorativo dei giovani medici, la qualità dell’assistenza e quel legame tra studio e lavoro che in italia è la sfida vera.

Anche il comma 566 è una partita da chiudere. Come?

Allora, il problema è di non usare il 566 per fare cassetta. Se qualcuno pensa di sostituire i medici e i dirigenti con altre categorie per risparmiare fa un errore gigantesco che toglie solo qualità al servizio e non risolve alcunché. È evidente quindi che dobbiamo difendere un ordinamento europeo: dove ci vuole il medico deve esserci il medico e non possiamo surrogarlo con altre categorie che fanno un nobilissimo lavoro ma che non hanno nessun interesse ad assumersi responsabilità improprie. Se un ospedale è un ospedale il medico ci deve essere. Se non c’è il medico diventa un’altra cosa. Non si può derogare dai requisiti di professionalità che sono nell’ambito europeo. Pur prendendo atto che anche le professioni sanitarie hanno incrementato le loro competenze.


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