Lavoro e professione

Federfarma verso il rinnovo dei vertici, ma il sindacato viaggia in ordine sparso

di Carlino Marrone

In tempi lontani e non sospetti - era il settembre 2015 - questo giornale pubblicava un articolo che, fin dal titolo, sollevava un esplicito interrogativo: con le grandi catene, come andrà a finire Federfarma? Dando per ormai prossima (con ottimismo a dir poco eccessivo) l'approvazione del Ddl Concorrenza, si poneva la questione, certamente non oziosa, di come il capitale impatterà sulla rappresentanza sindacale delle farmacie private italiane, monopolizzata da mezzo secolo dal sindacato (quasi) unitario dei titolari oggi presieduto da Annarosa Racca.

L'articolo, al riguardo, esprimeva anche una perplessità, chiedendosi come mai un tema così forte e destinato a incidere pesantemente sulla sigla di categoria non sfociasse, all'interno della categoria, in un confronto aperto e in un dibattito per quanto possibile costruttivo, finalizzato cioè a individuare le direzioni verso le quali muovere per adeguare la “forma” sindacato alle nuove necessità che inevitabilmente seguiranno una volta che l'ingresso del capitale modificherà “strutturalmente” il reta il farmaceutico italiano.

A distanza di più di un anno da allora, e a soli 7 mesi dalle consultazioni che esprimeranno i nuovi vertici di Federfarma, quel confronto e quel dibattito - intesi come tali - continuano a mancare, così come sono mancati lungo tutto il corso dell'anno.

In compenso, però, dentro il sindacato dei titolari di farmacia è scoppiata quella che - almeno a giudicarla dai riflessi che produce sulla stampa di settore - sembra essere a tutti gli effetti una lotta senza quartiere tra coloro che sono ancora alla guida della macchina e chi invece non vede l'ora di impugnare il volante al posto loro.

I primi, guidati dalla già ricordata Racca e dal segretario nazionale Alfonso Misasi, hanno perso per strada qualche pezzo da novanta - prima Carlo Ghiani, defenestrato dalla presidenza di Credifarma (la finanziaria di categoria) appena un anno fa, e poi Gianni Petrosillo, silurato da pochi mesi dal ruolo nevralgico di AD di Promofarma, la società di servizi che è nei fatti la sala-macchine della sigla dei titolari - ma ciò nonostante sembrano più che mai intenzionati a non lasciare nulla di intentato per ottenere un rinnovo del mandato.

Gli altri, per contro - una compagine ormai molto ampia anche numericamente, che mette insieme delegati sindacali dal Piemonte alla Puglia, passando per Liguria, Toscana, Umbria e Lazio, nella quale sono subito confluiti, con il dente avvelenato, anche i due eliminati prima ricordati - hanno già avviato una sorta di “campagna d'inverno” con il solo obiettivo di defenestrare gli attuali inquilini da via Emanuele Filiberto, sede del sindacato nazionale, e prendere il loro posto.

La disfida delle modifiche statutarie
I due fronti contrapposti, però, non si misurano su due diversi progetti e visioni del sindacato nell'era del capitale e delle catene, come Sanità24 riteneva si dovesse fare già a settembre 2015, né tantomeno sulle strategie da perseguire per arrestare la progressiva erosione della sostenibilità economica e dell'immagine e della funzione sanitaria, sociale e professionale delle farmacie. Questi temi - le rare volte che emergono - si fermano a livello di enunciazione e di dichiarazione di intenti, senza mai tradursi in indicazioni e prospettive praticabili.

La “disfida”, invece, si gioca tutta sulle modifiche statutarie, ritenute necessarie proprio in previsione dell'arrivo delle farmacie di capitale. Ma è solo un pretesto, e lo dimostra il fatto che la discussione non sfiora minimamente il merito (quali regole, cioè, la nuova carta delle regole debba cambiare e/o introdurre per garantire anche alle farmacie delle catene di entrare nel sindacato) ma solo ed esclusivamente il metodo, e segnatamente il quando procedere ad adottarle, quelle nuove regole, quali esse siano.

La linea di faglia è esattamente qui, nel “quando”: lo statuto va cambiato adesso, come sostiene a gran voce la presidente Racca insieme ai suoi sostenitori, oppure le modifiche vanno introdotte soltanto dopo le elezioni di maggio 2017, anche per non cambiare le regole del gioco mentre si sta giocando?

A dividere irrimediabilmente le due posizioni è una e solo una delle nuove misure contenute nella bozza di modifica dello statuto, quella che allarga il numero dell'organo esecutivo, il Consiglio di presidenza, che da 11 componenti passerebbe a 21, uno per Regione.

Dieci “poltrone” in più, dunque, per giunta molto appetibili, di cui Racca e i suoi (questo è il sospetto del gruppo degli oppositori) vorrebbero disporre per prometterle in giro e amplificare la possibilità di guadagnare consensi.

Così si ignora la tutela delle farmacie in crisi
Il “dibattito sindacale”, insomma, fin qui altro non sarebbe che la pedissequa ripetizione di uno dei malvezzi della politica nazionale decide di dare pessima prova di sé, come spesso le accade: né l'una né l'altra parte in lizza per il controllo di Federfarma sembrano infatti interessate a interrogarsi su quello che pure è (o dovrebbe essere) il core business del sindacato, ovvero la tutela delle farmacie private italiane.

Che oggettivamente non se la passano tanto bene, anzi. Le criticità sono molte e pesanti: redditività in calo da un decennio, senza che il trend accenni a cambiare segno; perdita de facto dell'assistenza farmaceutica più qualificata a favore di Asl e ospedali, con conseguente erosione della dimensione professionale; prospettiva della “farmacia dei servizi” rimasta sulla carta; convenzione con il Ssn (scaduta da più di quindici anni) ancora molto oltre la linea dell'orizzonte e, con essa, riforma della remunerazione a distanza siderale; clima di conflittualità permanente per il mancato adeguamento del Ccnl dei lavoratori dipendenti; sostanziale equiparazione, con la manovra di bilancio 2017, dei tetti della spesa farmaceutica prodotta da Dpc e distribuzione diretta in Asl e ospedali e quella che transita nelle farmacie del territorio. Per tacere, ovviamente, dell'arrivo del capitale e di altre probabili, più ancora che possibili, nuove misure finalizzate ad aprire ulteriormente il settore a spinte liberalizzatrici.

Nodi intricati e pesanti, che continuano a restare irrisolti, senza che dagli organismi di categoria - assorbiti dalla lotta per conservare o conquistare i vertici - emergano linee di contrasto, se non proposte di soluzione, in grado di scioglierli.

Una lettura troppo semplicistica, ai limiti dello schematismo? Forse. Ma basterebbe qualche rapida escursione sui gruppi di discussione delle piattaforme social, per comprendere come sia proprio questo il clima che si respira nella base dei titolari di farmacia, un clima che ormai è ampiamente diffuso dentro lo stesso “corpaccione” dei delegati territoriali che dovranno votare i nuovi vertici del sindacato.

Dove c'è chi giura di avere sentito un navigato dirigente di categoria commentare la sortita pubblica di un giovane e rampante suo collega, esponente di spicco del fronte alternativo ai vertici attuali, che - in uno scambio sui social - non ha avuto esitazioni ad affermare di “trovarsi all'opposizione solo di passaggio”. Rileva poco che si tratti di eccesso di esuberanza, incontenibile ambizione o irridente tracotanza (in ogni caso, un indicatore preciso dell'aria che si respira dentro Federfarma). Rivela invece molto il commento del sindacalista di lungo corso: «Magari, chi lo sa, quello ci arriva pure, alla stanza dei bottoni del sindacato delle farmacie private. Il problema è se, una volta arrivato, ci saranno ancora, le farmacie private».


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