Lavoro e professione

Se innovazione in chirurgia fa rima con sicurezza e risparmio

di Francesco Corcione (presidente Società Italiana di Chirurgia)

Oggi, l'innovazione tecnologica è sinonimo di standard elevati di trattamento con un risparmio, nel lungo periodo, in termini di gestione della malattia. In chirurgia, però, per garantire dispositivi e procedure sempre più evolute, che consentono trattamenti efficaci e di maggiore qualità, è necessario assicurare un continuo aggiornamento delle strutture ospedaliere.
Da più di vent'anni il chirurgo non si avvale più solo delle proprie mani o di strumenti tradizionali, ma è supportato da tecniche mininvasive - la più diffusa è la chirurgia laparoscopica -, più favorevoli al paziente e all'esito dell'intervento stesso. Si tratta di strumentazioni costose che non incidono, tuttavia, in maniera così significativa sul Sistema. Se pensiamo, infatti, al risparmio sul lungo periodo, gli approcci mininvasivi riducono le tempistiche delle degenze e dei posti letto occupati, abbreviano l'atto chirurgico e, grazie alla diminuzione delle infezioni ospedaliere, in particolare della parete addominale, minimizzano l'impiego dei farmaci.
Su questo tema si è discusso di recente anche a Roma in occasione del Congresso congiunto di ventisette Società scientifiche di chirurgia italiane, dal quale è emerso un'importante quesito: di quali aggiornamenti tecnologici può e deve beneficiare il chirurgo e quali, tra le strutture ospedaliere, può dotarsi di strumentazioni sempre all'avanguardia?
Da un lato c'è il desiderio del medico di essere sempre “à la page” in termini di tecnologie e performance, dall'altro quello del paziente di ricevere il miglior trattamento disponibile, ovvero approcci più “raffinati”, “gentili” e tecnologici. È chiaro, perciò, che il problema dell'aggiornamento va di pari passo con l'organizzazione degli ospedali. Per risolvere la questione occorrerebbe riorganizzare il Sistema in strutture sanitarie di base e centri di eccellenza. Nel primo caso, parliamo di ospedali dotati di tecnologie ad hoc per tutti gli interventi cosiddetti di routine, nel secondo, invece, di strutture all'avanguardia nel trattamento delle situazioni più complesse. Una soluzione che razionalizzerebbe la spesa rendendo il servizio più efficiente.
Sono molti i margini di risparmio che il Sistema sanitario potrebbe ottenere. Da un lato, con l'approvazione del Ddl Gelli nell'ottica di mitigare l'effetto dirompente della medicina e della chirurgia difensiva, un costo elevatissimo per il Paese, e dall'altro con la riorganizzazione delle reti ospedaliere. In questo modo, si garantirebbe un miglioramento degli outcome clinici, un aumento dei benefici per il cittadino e una notevole riduzione delle complicanze post-operatorie, tutti elementi che porterebbero a una migliore assistenza con costi minori.
Per quanto riguarda, infine, l'acquisto delle diverse tecnologie, è sempre più comune il ricorso a gare regionali o nazionali. Lo scopo è comprare lo stesso prodotto al medesimo prezzo per tutte le Regioni italiane. Alla base, dovrebbe esserci la scelta del dispositivo migliore al prezzo più competitivo, tuttavia, spesso, ci si dimentica quanto sia fondamentale il parere del singolo chirurgo, unico responsabile dell'intervento sul paziente, in termini etici, professionali e medico-legali.
Come discusso recentemente con il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e con il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, andrebbe istituito un albo di chirurghi esperti in acquisti e gare; non è semplice, infatti, per un operatore sanitario “districarsi” tra numeri e leggi che potrebbero portarlo ad acquisti non graditi alla maggior parte dei colleghi.

Non può esserci avanzamento tecnologico, però, promuovendo politiche di pura spending review nella sanità; in tal senso, la domanda sorge spontanea: che futuro avrà il Sistema sanitario nazionale italiano? Si tratta di uno dei migliori al mondo, uno dei più etici, dove l'assistenza medica è garantita a tutti. Un elemento che non potrà essere più sostenuto se continuerà il connubio tra riduzione della spesa e aumento dei costi. È necessario uniformare l'offerta sul territorio nazionale in un'ottica di equità sociale, mettendo mano all'organizzazione sanitaria del Paese. È difficile ipotizzare di continuare a gestire le cose come trent'anni fa. Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte, garantendo comunque qualità nelle sale operatorie ed elevate prestazioni per il paziente.
Qualità assicurata anche dalla mano degli stessi chirurghi che devono continuare a essere correttamente formati. Oggi gli specializzandi difficilmente riescono a raggiungere una reale autonomia nella gestione delle nuove tecnologie, necessitando, spesso, di una formazione post-specializzazione. Un percorso garantito solo dal lavoro sul campo, in ospedale e in università.
Al contrario, invece, i giovani si trovano sempre più di frequente in condizioni poco consone al concetto di formazione, impiegati nei pronto soccorso, in piccoli ospedali di periferia o come medici di guardia in strutture convenzionate. L'Italia è un Paese strano: l'università continua a fornire laureati in medicina, soprattutto specialisti, anche se è presente un, ormai noto, imbuto post-specializzazione, creato dalla riduzione degli ospedali, dalle spending review e dalle politiche di rientro di molte Regioni commissariate. Tutto questo a fronte di un'età media dei chirurghi oggi piuttosto elevata. L'unione di ventisette Società di chirurgia, durante il recente congresso a Roma, ha dimostrato come i rappresentanti italiani di questa specialità possano lavorare coesi e con obiettivi comuni: migliorare la qualità assistenziale, il rapporto medico paziente, le performance e la qualità dell'atto assistenziale, nell'ottica di rilanciale il Servizio sanitario nazionale verso traguardi sempre più prestigiosi.


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