Lavoro e professione

Gli anziani con demenza e il terremoto: un futuro difficile

di Marco Trabucchi (Associazione italiana di Psicogeriatria)

Da più parti arriva la sollecitazione a non dimenticare le persone che vivono nell'area del terremoto. Anche la medicina non deve dimenticare il carico di sofferenza psichica e di dolore fisico che accompagna le giornate di chi è stato colpito dal sisma, in particolare i più deboli, come sono le persone affette da demenza. Per questo motivo, seppure in modo schematico, si devono fare alcune considerazioni, sperando che chi ha il potere di decidere trovi soluzioni adeguate. La protezione civile sta facendo un lavoro eccellente, non sempre seguito però dagli altri livelli di governo. In particolare sottolineo le dissonanze tra l'area dell'assistenza e quella sanitaria, come se le persone anziane affette da demenza fossero inquadrabili schematicamente in una o nell'altra competenza. Decenni di discussioni sull'integrazione socio-sanitaria sembra non abbiano lasciato traccia!

Nell’area del terremoto 800 cittadini affetti da demenza
Lo scenario è il seguente, a grandi linee: vi sono nell'area del terremoto circa 800 cittadini affetti da demenza, che oggi vivono in condizioni precarie, a causa del disagio delle sistemazioni di fortuna. Nessuna critica può essere fatta a questi primi interventi, condotti con intelligente generosità, ma ora è necessario trovare soluzioni rapide, per evitare il perpetuarsi di situazioni umanamente insostenibili, e che la clinica sa essere disastrose per il benessere futuro. Infatti le persone ammalate vivono in ambienti che non riconoscono, affollati da sconosciuti, rumorosi, con letti scomodi, disagevoli dal punto di vita della privacy, in condizioni di igiene precaria; inoltre, anche chi li assiste è stressato per la perdita della casa, per le difficili situazioni di convivenza, per l'impossibilità di avere normali relazioni sociali, per l'assenza di momenti di riposo.

La grande fuga delle badanti
Si crea quindi una dinamica critica, caratterizzata da una progressivo peggioramento della condizione degli ammalati, con gravi disturbi comportamentali (deliri e allucinazioni, wondering, aggressività, gravi disturbi del sonno, difficoltà nell'alimentazione, o, all'opposto, depressione e apatia). Ovviamente queste condizioni peggiorano progressivamente, perché l'ambiente non favorisce la tranquillità indispensabile per la loro gestione. D'altra parte i famigliari che si prendono cura con grande dedizione hanno limiti oggettivi nella capacità di vivere l'assistenza con la necessaria tolleranza. Inoltre, il personale addetto non ha nessuna preparazione specifica; è quindi relegato alle sole funzioni di supporto organizzativo generale, mentre è meno utile nel facilitare la vita dell'ammalato (chi conosce queste persone sa bene quanto sia difficile, ad esempio, lavarli, vestirli, dar loro da mangiare, sempre con grande delicatezza e attenzione alle minime reazioni). Il rischio elevato è che in questi casi il provvedimento maggiormente adottato (e non certo criticabile in queste circostanze) sia la sedazione farmacologica, con il conseguente allettamento (condizione che, se prolungata nel tempo, induce la perdita progressiva delle residue capacità di autonomia dell'individuo ammalato). A questo complesso scenario umano si aggiunge un altro rilevante aspetto critico; da alcune valutazioni si evince che circa 1.100 “badanti”, che si curavano degli anziani della zona, sono tornate a casa, perché impaurite dagli eventi (si consideri che ben 11 di loro sono morte nel sisma, un tributo che onora queste persone generose che aiutano le nostre famiglie ad affrontare i problemi posti dagli anziano non autosufficienti). Quindi si è creata una realtà che vede le crisi dei singoli cittadini ammalati, le difficoltà enormi nell'assisterli da parte dei parenti che dovrebbero continuare a lavorare, anche per permettere al tessuto produttivo locale di riprendersi, ma che non lo possono fare perché non hanno nessuno a cui affidare i propri cari, la prospettiva di un'assistenza precaria che non durerà certo poco. Inoltre, molte delle residenze per anziani nell'area del terremoto sono inagibili, e quindi inutilizzabili per ricoveri temporanei; anzi, spesso hanno dovuto dimettere i lori ospiti.

Trovare subito soluzioni abitative adeguate
Che fare, quindi? Prima di tutto è importante che le autorità, a cominciare dal commissario straordinario, tengano a mente, tra i moltissimi problemi che devono gestire, anche questa popolazione che ha bisogni non indifferenti sul piano quantitativo e qualitativo. L'attenzione dovrebbe esercitarsi anche sugli altri livelli di governo, per evitare conflitti di competenza e tensioni. Le persone affette da demenza non possono restare nelle tendopoli; devono trovare soluzioni abitative adeguate, anche se non certo ottimali; in questi casi il rispetto burocratico di standard teorici, validi in tempi normali, induce alla paralisi e quindi al reale proseguimento della sofferenza degli ammalati.

Se le residenze per anziani dell'aree circostanti al terremoto non sono sufficienti ad ospitare l'elevato numero delle persone affette da demenza è necessario sperimentare situazioni temporanee, per garantire una vita decente e serena per i prossimi mesi (devono passare l'inverno, ma anche i mesi successivi, perché qualsiasi intervento sulle strutture abitative individuali e collettive richiederà almeno un anno). Inoltre l'ospitalità deve essere offerta in luoghi non molto lontani dalle residenze normali, perché così si favorisce un graduale ritorno alla normalità, prima sul piano psicologico e poi su quello pratico.


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