Lavoro e professione

Fabbisogni, nei prossimi dieci anni esodo di 84mila medici. La ricetta a partire dalla «mozione Renzi»? Recuperare il ruolo professionalizzante degli ospedali

di Carlo Palermo (vice Segretario nazionale vicario Anaao Assomed), Domenico Montemurro (responsabile nazionale Settore Anaao Giovani), Fabio Ragazzo (direttivo nazionale Settore Anaao Giovani)

La “Mozione Renzi” per le primarie del Pd dedica poche righe al capitolo salute. Comunque leggere la parola “salute” fa un certo effetto, visto che da ben quattro presidenti del Consiglio, Renzi compreso, era stata espulsa dai discorsi programmatici e dalla agenda di governo.
Essenzialmente vengono affrontati tre temi: la non autosufficienza, la long-term care e il fabbisogno futuro di personale medico e infermieristico. Su quest'ultimo argomento si afferma che «nei prossimi anni andranno in pensione circa 30.000 medici» e pertanto «occorre elaborare un piano decennale dei fabbisogni di personale e di formazione, reinvestendo i guadagni di efficienza che derivano dall'innovazione nel servizio sanitario e in primo luogo in tutto il suo personale, a partire da infermieri e medici». Anche perché le liste d'attesa e l'umanizzazione dei servizi, con più attenzione «alla relazione di cura tra medico, equipe assistenziale e persona ammalata», richiedono l'utilizzo a piene mani di una risorsa scarsa quanto preziosa che è il tempo dei professionisti, da cui dipendono quantità e qualità dei processi di cura.
Chi, come noi, studia da almeno dieci anni la programmazione del fabbisogno di medici specialisti nel Ssn, accoglie con soddisfazione il suo emergere a problema nazionale meritevole di un intervento politico. Ci permettiamo, però, di avanzare alcune precisazioni e di delineare proposte concrete per incominciare a indicare gli elementi fondamentali per avviare una soluzione.
I dati sul pensionamento dei medici specialisti nel prossimo decennio sono in realtà peggiori e ben più preoccupanti di quelli prospettati nella mozione. In sintesi, nel decennio 2016-2025 le cessazioni complessive dei medici specialisti dipendenti del Ssn sono stimabili, per l'esaurirsi dello scalone Fornero, in circa 48.000 unità (circa 19.000 nel primo quinquennio e 29.000 nel secondo ). A queste sono da aggiungere le uscite dei medici dipendenti del Miur e degli specialisti ambulatoriali, valutabili complessivamente per le due categorie in circa 8.000 nel decennio. Se allarghiamo l'analisi anche ai medici di medicina generale, in base ai dati Enpam, si possono presumere altre 28.000 quiescenze nello stesso periodo. Ci attende, quindi, un esodo biblico verso la pensione di circa 84.000 medici in un decennio.
Attualmente l'offerta formativa post laurea è limitata a 7.100 posti ogni anno tra contratti di formazione specialistica (circa 6200/anno) e borse di formazione per la Medicina Generale (circa 900/anno). Nel decennio si prospetta una discrepanza di 13.000 unità, rapportando i pensionamenti con l'attuale capacità del sistema di formare medici specialisti e di medicina generale per la loro sostituzione.
Quello che serve, come afferma la mozione di appoggio alla candidatura di Renzi, è un piano straordinario per il lavoro medico, perché in sanità la risorsa umana è il principale fattore produttivo da cui dipende in larga misura la qualità del servizio.
Aumentare il numero degli studenti iscritti al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, valutabili negli ultimi 5 anni in circa 10.000 studenti per anno, cui sono da aggiungere circa 12.000 studenti ammessi dal Tar negli anni accademici 2013/14 e 2014/2015, non risolve il problema perché i primi risultati si vedrebbero solo dopo 10-11 anni. Inoltre si rischia di ripetere, nel lungo periodo, il fenomeno della pletora medica. La FnomCeo indica opportunamente in 6500/anno il numero degli accessi alla scuola di Medicina e Chirurgia per il prossimo quinquennio, per riassorbire il surplus di iscrizioni determinato dai ricorsi al TAR.
In considerazione dell'importante incremento di pensionamenti che interesserà gli specialisti operanti nel Ssn nel prossimo decennio (dipendenti, universitari, specialisti ambulatoriali), i contratti per i corsi di specializzazione dovrebbero essere portati fin da adesso a circa 7200/anno, se vogliamo prevenire un ulteriore impoverimento non solo quantitativo ma anche dei contenuti professionali e qualitativi del Ssn, che si sommerebbe a quello determinato dal blocco del turn over. Anche l'offerta per le borse di formazione di medicina generale dovrebbe essere incrementata in modo importante e tale da coprire i prossimi pensionamenti.
Inoltre, circoscrivere la presenza degli specializzandi all'interno dei soli reparti universitari ha come conseguenza negativa che non ci sia casistica clinica sufficiente a raggiungere gli obiettivi formativi che la normativa vigente prescrive, soprattutto in campo chirurgico, visto anche il numero complessivo degli specializzandi, a livello nazionale, di circa 25.000. Un numero molto grande, pari a circa il 25% del numero dei medici dipendenti italiani, ma comunque insufficiente a colmare le uscite che si prospettano, anche adottando criteri prudenziali nella valutazione dei flussi.
Nei prossimi anni usciranno dal Ssn decine di migliaia di professionisti dotati di grande esperienza, sofisticate capacità tecniche e vaste conoscenze culturali. Bisogna creare le condizioni organizzative per permettere, con l'osmosi tra vecchie e nuove generazioni, quel trasferimento di saperi necessario per la crescita dei nuovi professionisti e per la tutela della qualità generale del nostro sistema sanitario pubblico.
Occorre, pertanto, anticipare l'incontro tra il mondo della formazione e quello del lavoro, oggi estranei l'uno all'altro, animati da conflittualità latenti o manifeste e contenziosi infiniti, consentendo ai giovani medici di raggiungere il massimo della tutela previdenziale ed al sistema sanitario di utilizzare le energie più fresche. La soluzione consiste nella trasformazione del contratto di formazione-lavoro in contratto a tempo determinato, finalizzato al completamento del percorso formativo e con oneri previdenziali ed accessori a carico delle Regioni, che porti all'inserimento dei giovani medici nella rete formativa regionale. Recuperare il ruolo professionalizzante degli ospedali rappresenta la strada maestra per garantire insieme il futuro dei giovani medici e quello dei sistemi sanitari.
L'urgenza di tali operazioni è dimostrata anche dal recente appello lanciato dall'Usl di Matera che non riesce a coprire la propria dotazione di specialisti essendo i concorsi andati più volte deserti. L'idea che interventi fondamentali per salvare il nostro Ssn possano aspettare i tempi necessari per recuperare risorse economiche dai «guadagni di efficienza che derivano dall'innovazione nel servizio sanitario» e reinvestirli nei processi di formazione e assunzione ci appare poco realistica. Peccato che di tempo ne sia già trascorso molto e che le risorse tagliate nel frattempo alla sanità, ed i guadagni di efficienza realizzati, siano state usate per altri obiettivi politici. Il Ssn non si salva ad invarianza di spesa. Soprattutto quando questa spesa è tra le più basse del mondo occidentale.


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