Lavoro e professione

Infermieri, Ipasvi: «Turni massacranti e pazienti a rischio. Tutte le svolte da non rimandare»

di Barbara Mangiacavalli (presidente Federazione Ipasvi)

Di infermieri ce ne sono pochi. Soprattutto per far fronte a un quadro epidemiologico che va sempre di più verso la cronicità e la non autosufficienza e che richiede un’assistenza continua a livello territoriale.

Come Federazione Ipasvi abbiamo lanciato un doppio allarme in questo senso. Il primo riguarda i cittadini perché studi internazionali hanno dimostrato che la mortalità aumenta con il diminuire degli organici infermieristici: se si portano da 10 a 6 i pazienti totali affidati a un singolo infermiere si riduce la mortalità dei pazienti del - 20%. E la situazione nel nostro Paese non è ottimale, con una media di 12 pazienti per infermiere e punte fino a 18 dove ci sono i piani di rientro. Il secondo riguarda i professionisti, ma anche i pazienti.

Turni massacranti si traducono in disturbi del sonno, problemi digestivi, stress, aumento di peso, malattie dell’apparato gastroenterico, effetti sulla sfera psicoaffettiva e disturbi cardiovascolari con un aumento del 40% del rischio di malattie coronariche. Ma i danni più subdoli sono quelli ai pazienti che del Ssn hanno fiducia: la ridotta vigilanza può portare a errori clinici che possono compromettere il benessere del paziente e il rischio per turni oltre le 12 ore triplica.

Le soluzioni sono ormai sotto gli occhi di tutti, dallo sblocco del turn over alla stabilizzazione dei precari, anche se ogni volta che queste possibilità si affacciano all’orizzonte con una norma, un’altra rimanda tutto in stand-by con continui rinvii. Potrebbero esserci soluzioni diverse, perfino a costo zero. Ad esempio, assumendo almeno 10mila unità in part time al 50% si garantirebbe l’effettiva copertura di organici rispetto agli attuali part-time, e in più si comincerebbero a formare nuove leve di professionisti riavviando il ricambio generazionale e avrebbero sicuramente costi inferiori nell’immediato a unità di personale full time. In questo senso ci aspettiamo molto dal nuovo contratto per dare soluzioni. Ma il nuovo contratto potrà agire sul personale, mentre molto spesso la chiave da usare sarebbe quella delle Regioni. Per quanto riguarda il territorio invece, le ipotesi sono già contenute nelle risposte stesse che i cittadini hanno dato all’indagine Censis.

L’analisi dei risultati apre la strada a soluzioni che consentano agli infermieri, specie a i più giovani, di fronteggiare la crisi occupazionale cogliendo le opportunità di mercati in espansione. Ma si deve evitare che questi cadano nella subordinazione di un’intermediazione che punta al ribasso - soprattutto quella di grandi gruppi economici - per far fronte alla domanda di salute dei cittadini.

Quello che noi vorremmo è una “intermediazione amica”, cioè che non punti solo sul low cost tariffario ma sulla qualità e personalizzazione delle prestazioni. L’esito del low cost è solo la riduzione della remunerazione degli infermieri, come accade in ogni mercato di compravendita di servizi e prestazioni. Le retribuzioni crollano verso un valore medio di circa 7 euro l’ora e per alcune tipologie di prestazioni la quota dell’intermediario può arrivare anche ai due terzi del costo della prestazione per il cliente. Con una soluzione intelligente in questo settore – rilancio della professione e vero utilizzo del digitale ad esempio - e con interventi che favoriscano fiscalmente i professionisti coinvolti e le persone che di questo hanno bisogno, potrebbe tagliare il sommerso nel mercato delle prestazioni infermieristiche. Che oggi è secondo il Censis una delle componenti dell’elevato e crescente sommerso di welfare, a sua volta parte integrante del nuovo sommerso di servizi e prestazioni su cui affluisce parte della bolla del risparmio delle famiglie italiane.

Di fronte a un bisogno stringente che non trova soluzioni adeguate nel pubblico, anche spesso per i tempi di accesso troppo lunghi, gli italiani utilizzano la flessibilità e rapidità di accesso che le risorse di cui dispongono gli consente, si muovono veloci, molto spesso tramite canali informali, e trovano un infermiere che reputano bravo (o chi giudicano in grado di erogare una prestazione infermieristica, rischiando danni peggiori alla salute per mancanza di professionalità e qualità della prestazione), perché esperto e magari già occupato nel pubblico, e in quasi la metà dei casi dichiarano esplicitamente di avere concordato un pagamento in toto o in parte in nero. È un modo per avere l’infermiere di cui si ha bisogno a tariffe convenienti, tagliate del carico fiscale. È l’utilizzo del sommerso per sanare gli squilibri del mercato ufficiale non regolato. Viene da dire niente di eccezionale o di patologicamente specifico delle prestazioni infermieristiche dunque. Ma no, non è così: il nuovo sommerso non deve e non può coinvolgere i professionisti e, in primo luogo, il diritto alla salute.


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