Lavoro e professione

I radiologi: dopo il tumore mammario, controlli periodici in liste dedicate

di Francesco Sardanelli (professore ordinario di Radiologia, Università degli Studi di Milano, direttore Servizio di Radiologia - Irccs Policlinico San Donato)

L'effetto combinato della diagnosi precoce mediante screening ha ottenuto importanti risultati nella lotta contro il tumore mammario. Se diagnosticato precocemente, la sopravvivenza può arrivare al 90%. Lo screening mammografico, tuttavia, non è un vaccino, non consente una prevenzione primaria che riduca l'incidenza della malattia, ma è un fondamentale programma di salute pubblica di prevenzione secondaria che abbatte la mortalità del 40% e riduce l'aggressività dei trattamenti.
Nonostante alcune fake news circolate anche in ambito scientifico, importanti revisioni della letteratura studi confermano l'effetto dello screening mammografico: ogni 1000 donne che eseguono la mammografia biennale dai 50 ai 70 anni, 8 avranno salva la vita per effetto dello screening. Il ruolo della diagnosi precoce è confermato indirettamente da studi che indicano come, anche negli anni recenti delle moderne terapie, più il tumore è piccolo alla diagnosi, maggiore è la probabilità di guarigione. Inoltre, i minori successi nel trattamento dei casi di tumore della mammella maschile (solo l'1% rispetto a quelli femminili) inducono a pensare che lo screening rivolto alla popolazione femminile sia davvero efficace.

Nessun test diagnostico è perfetto
Anche la mammografia ha i suoi limiti: nonostante la doppia lettura indipendente (fondamentale standard qualitativo dei programmi organizzati), circa un 30% delle lesioni può non essere riconosciuto, soprattutto in caso di mammelle dense o di tumori a crescita veloce. I medici non devono generare false aspettative. L'informazione dev'essere corretta, non miracolistica. È necessario che le donne, anche dopo avere eseguito una mammografia negativa, non sottovalutino eventuali sintomi quali il nodulo mammario palpabile di nuova insorgenza, la retrazione o la secrezione del capezzolo, la pelle “a buccia d'arancia”. In questi casi occorre recarsi direttamente presso la radiologia senologica (possibilmente quella dove si è eseguito lo screening) e chiedere un controllo urgente. Queste strutture sono in grado di garantire tale controllo in pochi giorni.
In questo quadro si colloca il problema dei controlli periodici nelle donne che hanno già avuto un tumore mammario. In Italia sono circa 690mila, il 2.2 % della popolazione femminile, il 42% di tutte le donne che hanno avuto una diagnosi di tumore anche non mammario. Nel recente Convegno della sezione di senologia della Società Italiana di Radiologia Medica (Sirm), tenutosi a Grado dall'8 al 10 maggio, sono state presentate le raccomandazioni che la stessa Sezione SIRM e il Gruppo Italiano per lo Screening Mammografico (Gisma) hanno elaborato e pubblicato nei mesi scorsi (Radiol Med, DOI 10.1007/s11547-016-0676-8).

Il rischio di ripresa della malattia
La prima importante informazione è che le donne che hanno già avuto un tumore mammario hanno un rischio aumentato di un secondo evento. Tale rischio è definito intermedio, più alto di quello delle donne che non hanno avuto tumore, minore di quello delle donne portatrici di mutazioni genetiche (es. BRCA). A differenza del rischio di ripresa della malattia iniziale (locale o con lesioni a distanza), il rischio aumentato di secondo tumore non si riduce nel tempo. Queste donne, perfettamente guarite, restano a rischio aumentato per almeno 15-20 anni e devono essere prese in carico da strutture capaci di organizzare il controllo periodico a lungo termine.
La Sezione di Senologia SIRM e il GISMa ritengono che ciò possa e debba avvenire nel contesto dei Centri di Senologia (versione italiana delle Breast Unit) delle quali l'Unione Europea dal 2006 sollecitato l'istituzione anche grazie all'incessante pressione delle associazioni femminili, in particolare Europa Donna. Le modalità organizzative devono essere diversificate rispetto allo screening mammografico generale. Il medico radiologo darà specifiche indicazioni per l'esecuzione della mammografia monolaterale o bilaterale considerando la presenza di protesi o di interventi ricostruttivi, valuterà la necessità di eseguire anche una visita clinica (allorquando non eseguita da altri colleghi), eseguirà eventuali approfondimenti nel più breve tempo possibile, comunicherà alla donna l'esito degli accertamenti.

Il bisogno di breast unit
Si tratta quindi di sessioni radiologiche dedicate che potrebbero essere utilmente associate ad eventuali controlli da parte di altri specialisti, quando necessari, consentendo alla donna di effettuare tutti controlli con un unico accesso al Centro di Senologia. La necessità di controlli annuali, le dimensioni della popolazione interessata e la necessità di proseguire i controlli per molti anni (anche quando la donna ha sperabilmente ridimensionato l'impatto emotivo dell'evento e si considera – giustamente! – guarita) impongono una organizzazione su base territoriale con invito attivo da parte delle strutture che hanno esperienza consolidata in questo tipo di attività: i programmi di screening organizzato. I radiologi senologi protagonisti dello screening di popolazione (che alcune regioni italiane hanno esteso dai 45 ai 74 anni di età) e dell'attività clinica saranno chiamati ad effettuare questo particolare screening dedicato. E' un importante segmento di donne che rischia di finire in un pericoloso cono d'ombra, quando dopo 5 o 10 anni dall'evento potrebbero non essere più seguite dai centri oncologici che le hanno trattate con successo e nel contempo potrebbero non essere inserite nelle tradizionali liste di invito dei programmi di screening.
È del tutto evidente che queste raccomandazioni potranno trovare attuazione solo nel contesto di una compiuta rete nazionale dei Centri di Senologia che la comunità medica e le donne attendono da tempo.


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