Lavoro e professione

Dm 70 troppo rigido, è tempo di cambiare

di Gabriele Pelissero (presidente nazionale Aiop - Associazione italiana ospedalità privata)

Il Dm 70 rappresenta il più recente tentativo di riorganizzazione della rete ospedaliera nazionale con l'individuazione di criteri omogenei in tutto il territorio. L'intento del legislatore non può che risultare condivisibile: imprimere una spinta alla qualità e all'efficienza alle articolazioni regionali del sistema sanitario. Se l’accordo sui principi è naturale – qualità ed efficienza, nel quadro di un sistema solidaristico e universalistico per garantire a tutti i cittadini pratiche scientifiche aggiornate per la prevenzione, la tutela e il ripristino della salute – il D.M. 70 continua a suscitare ampie perplessità, sia nel metodo sia nel merito, per la sua rigidità e per la sua concezione centralista, per la tendenza a limitare l'autonomia regionale e le scelte di cura dei cittadini e per il fatto che non favorisce il pluralismo degli erogatori, con una visione particolarmente penalizzante per le piccole strutture ospedaliere di diritto privato.
La formulazione del D.M. 70 è di fatto la riproposizione, negli anni 2000, di un modo di pensare la programmazione sanitaria che si rilevava nella riforma Mariotti (1968/ 1969): in un contesto che allora era dominato da un centralismo assoluto, senza alcuno spazio per l'autonomia regionale, si identificavano già le misure di quello che oggi chiamiamo modello “hub and spoke”: gli ospedali di zona, provinciali, regionali, con diversi gradi di complessità e una distribuzione programmata dei posti letto e delle specialità.
Eravamo assai più giovani negli anni '70 quando, con il compianto Giuseppe Rotelli, lavoravamo al piano lombardo per la programmazione sanitaria e realizzavamo che la programmazione “dall'alto” non funzionava. Come possiamo infatti pensare di stabilire dall'alto e imporre agli enti locali qualcosa che nelle vicende storiche di una comunità non serve o, peggio ancora, eliminare qualcosa che funziona? La domanda dei cittadini si orienta con le sue logiche, non con quelle che gli imponiamo: per questo sarebbe essenziale introdurre un'analisi dei flussi, una verifica dei processi della domanda di assistenza e solo dopo introdurre dei parametri che possano essere un riferimento per l'allocazione delle strutture, non una limitazione necessaria, dogmatica e indiscutibile.
Nel merito poi del D.M. 70 troviamo l'imposizione di un numero minimo di posti letto per acuti molto più basso rispetto ad altre realtà europee, senza la certezza di una reale alternativa di cura territoriale. Se la media dei Paesi OCSE (dato 2014) è di 5,06 posti letto per acuti ogni 1000 abitanti e la media dei Paesi OCSE europei (dato 2013) era di 4,0 – il D.M. 70 ne prevede 2,7 per acuti e post acuzie. Questa misura, che doveva introdurre uno stimolo forte al sistema, si è tradotta unicamente in un danno ai pazienti, dato l'ovvio conseguente aumento delle liste d'attesa.
Altra questione cruciale è l'applicazione dei parametri di qualità previsti dal D.M 70 in cui non è stato sufficientemente considerata l'importanza della riduzione dei tempi di degenza ospedaliera – parametro fondamentale oltre che per l'efficienza delle prestazione erogate, anche per la riduzione delle infezioni ospedaliere e il miglioramento degli outcome dei pazienti. Caso eclatante è la modalità con cui il D.M. 70 ha inteso e formulato la qualità clinica: un esempio per tutti, la valutazione delle cardiochirurgie italiane, per cui vale il parametro del numero di bypass coronarici semplici. Un'applicazione rigorosa del D.M. farebbe chiudere 80 delle 100 cardiochirurgie italiane, senza considerare, ad esempio, che lo sviluppo della cardiologia interventistica degli ultimi anni ha modificato l'approccio a questa procedura. Questo può accadere perché il decreto ministeriale determina una tantum la qualità dell'attività degli specialisti senza aver mai avviato una revisione tra pari, senza l'apporto della comunità scientifica e professionale.
AIOP auspica che si possa costruire una revisione concertata e moderna del D.M. 70, avviando un confronto che lo renda più elastico nella sua implementazione, tenendo conto delle peculiarità locali e della importante componente privata, che rappresenta una risorsa che non va dispersa, in quanto promotore di efficienza e servizi nell'interesse dei cittadini. Ritengo che, di fatto, quanto avvenuto in Sicilia rappresenti la dimostrazione concreta che con il dialogo, con il buon senso e con un po' di flessibilità il D.M. 70 possa essere implementato con meno rigidità, salvaguardando anche le realtà ospedaliere sane, la struttura produttiva e occupazionale. Ma da questi esempi positivi dobbiamo passare a un revisione del D. M. stesso, che riguardi l'intero Ssn. In questo senso è incoraggiante l'apertura manifestata all'interno della 53a Assemblea di AIOP, appena conclusasi a Palermo, dal Sottogretario di Stato del Ministero della Salute, Davide Faraone, che ci ha ricordato che il D.M. 70 non è una legge costituzionale e possiamo pensare a un cambiamento governato dal Ministero della Salute.


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