Lavoro e professione

Nascere di più e meglio, si può

di Alberto Villani, presidente Società Italiana di Pediatria e Mauro Stronati, presidente Società Italiana di Neonatologia

Meno di 500mila bambini nati in Italia nel 2015, per la precisione solo 485.780, ovvero 16 mila in meno rispetto al 2014 e 91 mila in meno rispetto al 2008. Poco più di un figlio in media per donna italiana. Sono i numeri della crisi della natalità e della fertilità in Italia. Che si sommano a quelli sui punti nascita con meno di 500 nati all’anno ancora attivi sul territorio nazionale, dove il rischio del mancato rispetto dei criteri minimi di qualità e sicurezza del parto è reale. Nascere di più e meglio in Italia. Si può.

È questo il messaggio che pediatri e neonatologi hanno lanciato a Napoli al 73° Congresso Italiano di Pediatria nell'ambito di un tavola rotonda alla quale hanno preso parte esperti e rappresentati delle istituzioni. La crisi della natalità e della fertilità è tutta racchiusa in pochi numeri. Tra i 28 Paesi dell'Unione Europea l'Italia è quello in cui l'età delle donne al parto è più elevata (32,7 anni) e in cui si ha uno dei più bassi indici di fertilità (1,35 figli per donna). Oggi più di un terzo delle donne partorisce a un'età superiore a 35 anni e ben il 9% a un’età uguale o maggiore di 40.
È doveroso provare a interrogarsi su questi dati: perché in Italia nascono così pochi bambini? Dobbiamo chiederci se è sufficientemente noto, tra la popolazione, che la donna raggiunge il picco massimo di fertilità tra i 18 e i 28 anni e che dopo i 35 anni la capacità riproduttiva declina irrimediabilmente. Dobbiamo chiederci se abbiamo investito abbastanza in campagne per una maternità cosciente in cui viene detto chiaramente che esiste un'età in cui la fertilità è presente. Ma servono anche concreti alle donne perché possano sentirsi sicure, protette e felici di divenire madri, serve soprattutto un cambiamento culturale che valorizzi la maternità nella nostra società: chi ha figli non deve sentirsi penalizzato nella vita e nel lavoro. Un cambiamento culturale che riconosca la maternità come un valore per l'intera società civile, per le donne, per gli uomini, per l'intera popolazione.

Nascere di più, ma nascere anche meglio
In Italia i tassi di mortalità infantile sono tra i più bassi al mondo ma alcuni recenti cambiamenti epidemiologi e sociali, insieme alla crisi economica, stanno mettendo a rischio questo primato. Con l'aumento dell'età delle donne al parto e il più frequente ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita si è osservato un incremento delle gravidanze multiple. Nel 2013 ci sono stati più di 8.700 parti plurimi e più di 12mila nati da tecniche di procreazione medicalmente assistita. E le gravidanze multiple possono associarsi a complicanze materne e a parti prematuri. A ciò si aggiunge il perdurare di piccoli punti nascita poco sicuri per le mamme e i neonati. Nel dicembre 2010 nelle misure di politica sanitaria e di accreditamento dell'Accordo Stato-Regioni si evidenziava come uno degli interventi prioritari la razionalizzazione/riduzione progressiva di punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno.

Dopo quasi sette anni non solo non sono chiusi tutti i centri con meno di 500 nati/anno, ma si sta concretizzando l'ipotesi di mantenerli aperti. Preoccupazione ha suscitato la recente presa di posizione della Giunta Regionale del Veneto che con la delibera 2238 del 23 dicembre 2016 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione n°6 del 13 gennaio 2017) ha previsto la persistenza di punti nascita con meno di 500 parti/anno e la presenza di un pediatra anche per sole tre ore al giorno. Le società scientifiche hanno da tempo fatto presente e sottolineato i rischi conseguenti al persistere di punti nascita che non hanno i requisiti per poter essere definiti sicuri, ma nonostante ciò, secondo i dati del Piano nazionale esiti 2016 i centri nascita con meno di 500 nati/anno sono circa 118 e rappresentano circa il 24% del totale delle maternità. Centri nascita con bassi volumi di attività sono meno sicuri per molti motivi non dipendenti dalla preparazione scientifica e dalla professionalità del personale sanitario, ma dal fatto che hanno una casistica inferiore e pertanto non vi è la stessa esperienza nell'affrontare situazioni di emergenza – urgenza e non si hanno a disposizione strumenti diagnostico terapeutici adeguati a situazioni complesse.

Crisi e carenza di personale
Non va poi trascurata la difficile situazione economica, ormai presente da molti anni, che rischia di mettere in crisi il nostro Sistema sanitario nazionale con ovvie conseguenze anche sulla assistenza neonatale. Particolarmente preoccupante la situazione per quelle regioni in deficit alle quali sono stati imposti piani di rientro che rischiano di rendere ancora più disomogenea la qualità dell'assistenza neonatale in Italia. Da anni viene denunciata la carenza di medici e infermieri in molti dei nostri reparti di neonatologia. Il fabbisogno previsto a livello europeo è di 6.9 infermieri (non occupati in mansioni improprie) per mille abitanti. Secondo le ultime stime Ipasvi oggi in Italia ce ne sono 6 per mille e per assicurare la copertura dei turni, dopo l'entrata in vigore delle direttive sull'orario di lavoro, servirebbe l'assunzione di almeno 17-18 mila infermieri, mentre vengono diminuiti i posti nelle Università per la Laurea Infermieristica Pediatrica.
Alla cronica carenza di personale infermieristico si somma la progressiva diminuzione di medici neonatologi. Il blocco del turn over del personale ed il blocco dei concorsi che in tutte le Regioni del Centro Sud dura da anni (soprattutto in quelle regioni cui è stato imposto un rigido piano di rientro) sta rendendo sempre più difficile reperire neonatologi. A questo si è recentemente aggiunto il peggioramento della situazione conseguente all'applicazione della normativa europea sull'orario di lavoro.

Per far fronte alla carenza del personale medico ed infermieristico è necessario proseguire con il piano di riduzione e accorpamento dei punti nascita, partendo dalla definitiva eliminazione di quelli con numero di nati inferiore a 500. Questo libererebbe risorse professionali che, se adeguatamente formate, potrebbero contribuire a ridurre l'entità della carenza di medici e infermieri. Come per i punti nascita si rende necessaria anche una riorganizzazione delle Terapie intensive neonatali (Tin), infatti il numero complessivo dei posti letto è adeguato alla popolazione italiana, ma è distribuito su troppe Tin. La riduzione del numero delle Tin farebbe aumentare i posti letto di quelle rimanenti con un sensibile risparmio di risorse.


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