Lavoro e professione

Anche per i medici l’obbedienza non è più una virtù

di Francesco Medici (consigliere nazionale Anaao Assomed)

Ho partecipato a un corso di formazione organizzato dalla Fondazione Pietro Paci presentato da un collega di rara bravura, Gabriele Gallone. In una delle relazioni veniva presentato un esperimento condotto nel 1961. Ne sono rimasto colpito (scioccato per la verità) anche perché alla luce dell'esperimento ho rivalutato alcuni miei comportamenti professionali e quelli di molti di noi.

Attraverso l’esperimento il professor Stanley Milgram voleva capire e valutare come fosse stato possibile, prima e durante la seconda guerra mondiale, commettere atrocità nei confronti degli ebrei. Come fu possibile convincere molti soldati a uccidere e torturare altri esseri umani, non in una azione di guerra, ma solo obbedendo a degli ordini. L'obiettivo dell'esperimento era valutare il comportamento di soggetti ai quali un'autorità, nel caso specifico uno scienziato, ordinava di eseguire delle azioni in conflitto con i valori etici e morali dei soggetti stessi. Vennero selezionati alcuni soggetti, presi tra la popolazione. Fu loro comunicato che avrebbero collaborato, dietro ricompensa, a un esperimento sulla memoria e sugli effetti dell'apprendimento. Il ricercatore ordina al soggetto di punire con scosse elettriche, che quest'ultimo crede siano dolorose, un altro soggetto, che in realtà è un attore e complice. Il ricercatore aveva il compito, durante la prova, di esortare in modo pressante l'insegnante: “l'esperimento richiede che lei continui”, “è assolutamente indispensabile che lei continui”, “non ha altra scelta, deve proseguire”. Il grado di obbedienza fu misurato in base al numero dell'ultimo interruttore premuto da ogni soggetto prima che quest'ultimo interrompesse autonomamente la prova oppure, nel caso il soggetto avesse deciso di continuare fino alla fine, al trentesimo interruttore (morte del soggetto). Soltanto al termine dell'esperimento i partecipanti furono informati del fatto che la “vittima” non aveva subito alcun tipo di scossa. Contrariamente alle aspettative, nonostante i 40 partecipanti mostrassero sintomi di tensione e protestassero verbalmente, il 65% del campione obbedì pedissequamente allo sperimentatore.

Questo stupefacente grado di obbedienza, che ha indotto i partecipanti a violare i propri principi morali, è stato spiegato in rapporto ad alcuni elementi, quali “l'obbedienza indotta da una figura autoritaria considerata legittima, la cui autorità induce uno stato eteronomico, caratterizzato dal fatto che il soggetto non si considera più libero di intraprendere condotte autonome, ma strumento per eseguire ordini”. I soggetti dell'esperimento non si sono perciò sentiti moralmente responsabili delle loro azioni, ma esecutori dei voleri di un potere esterno.

Alla creazione del suddetto stato eteronomico concorrono tre fattori:
•percezione di legittimità dell'autorità (nel caso in questione lo sperimentatore incarnava l'autorevolezza della scienza)
•adesione al sistema di autorità (l'educazione all'obbedienza fa parte dei processi di socializzazione)
•le pressioni sociali (disobbedire allo sperimentatore avrebbe significato metterne in discussione le qualità oppure rompere l'accordo fatto con lui).

Perché l'esperimento mi ha colpito tanto? Una settimana fa ho affrontato un familiare esasperato dal vedere sua madre assistita su una barella, in attesa di ricovero da tre giorni, posizionata in un sottoscala (il nostro pronto soccorso è sotto terra), assistita in contiguità con altre barelle, in assenza di ogni privacy ed inutile dirlo da ogni confort, con negli occhi solo luci al neon accese H24, vicino ad altri malati alcuni sofferenti e lamentosi, altri legati per evitare loro episodi di autolesionismo, con parenti allontanati.

Per fare capire al familiare che non vi erano alternative a quel tipo di assistenza, nessuna alternativa possibile in assenza di posti letto, mi ha detto: «Sì va bene ma voi se accettate di lavorare così siete complici».

E allora una domanda. Quanto siamo diversi, noi medici che accettiamo di curare in questi modi i nostri malati, che accettiamo che una visita ambulatoriale possa essere programmata tra un anno, che alle proteste dei pazienti diciamo che non vi sono alternative, che così perché così ci è stato detto.

Non siamo noi stessi, inconsapevolmente in uno stato eteronomico tanto che il medico non si considera più libero di intraprendere condotte autonome, ma strumento per eseguire ordini.

Se siamo sempre più soggetti ai quali un'autorità, nel caso specifico “le istituzioni”, ordinano di eseguire delle azioni in conflitto con i nostri valori etici e morali”, i nostri comportamiti sono improntati a “scienza e coscienza” o a “così è se vi pare”?

Mi direte: noi non eroghiamo scosse, non torturiamo, non uccidiamo ma viceversa salviamo vite. Vero ma questo non fa che aumentare l'inganno. Negare prestazioni sanitarie, prevedendo indagini e visite a templi biblici, costringendo i pazienti a pagare di tasca propria 34,5 miliardi di euro non confligge coi i nostri principi, contro il nostro giuramento professionale, contro il nostro essere medici pubblici, vincitori di un concorso pubblico? Non riuscire ad assistere al meglio i nostri pazienti dovendo correre di qua e di la, non confligge con l'idea che avevamo di noi, del nostro sentire la nostra professione? Riempire moduli su moduli invece di visitare è etico? I nostri sogni di studenti in medicina ce li ricordiamo? E il giuramento di Ippocrate?

Oggi la voglia di fuggire, togliere la spina, andare in pensione, abbandonare l'ospedale, pensare solo e soltanto alla pensione è una strategia per allontanarci, fuggire le nostre responsabilità di cittadino, di Medico.

Guardate il filmato di Milgram. Noi, nel 65% dei casi, come i cittadini dell'esperimento, sudiamo, ci agitiamo, vorremmo fuggire, ci indigniamo, ma seppure sentiamo lamenti, richieste di aiuto, richieste di attenzione, dignità nelle cure …. andiamo avanti perché cosi si fa, così ci viene detto, ci viene ordinato. Ci deresponsabilizziamo.

Non siamo costretti a spingere fino all'ultimo bottone, la scarica che porta alla morte. Possiamo fermarci prima. Non dobbiamo necessariamente abbandonare, dobbiamo e possiamo combattere.

Fra non molto si voterà. Ciascuno di noi potrebbe farsi promotori di iniziative.

1.I malati non possono essere curati sotto terra e in assenza di spazi adeguati. Dopo 24 ore devono essere ricoverati nei reparti. Il numero dei posti letto necessari in Italia non li stabilisce una iniqua legge dello Stato, ma deve essere determinato dalle esigenze (vere).

2.Si stabiliscano per ogni tipo di malattia i tempi massimi di attesa per diagnostica e/o visita specialistica. Superati quei termini il malato deve avere il diritto a ricevere la prestazione pubblica accedendo alla attività intramoenia aziendale ma con costi a carico della ASL. Scommettiamo che le aziende si organizzerebbero?

3. Il tetto di 3.7 post letto per acuti sono una teoria sbagliata. I malati hanno diritto costituzionale alle cure. Facciamo valere la nostra costituzione.

4. La quota del 6.8% del Pil speso oggi per la Sanità è poco, vicino alla soglia dei paesi in via di sviluppo. Siano le esigenze dei pazienti, sia il rispetto dei Lea a determinane la spesa non solo dei burocrati del Mef.

Diventi la sanità una priorità dello Stato, così come lo è stata la scuola e come è il lavoro. Impariamo a denunciare, a disobbedire, a segnalare le situazioni. Inviamo segnalazioni al direttore generale, all'assessore la sanità, all'Odm. Che non possano dire “non sapevamo”. Non siamo stati noi ad ordinare … Io prenderò contatto con alcune associazione dei diritti del malato ed insieme a loro proporrò un manifesto da affiggere nei luoghi di lavoro.

Costringiamo le istituzioni a “prendersi carico”, evitiamo di essere solo pedine inermi del sistema. Guardiamoci con i nostri occhi ma al momento della laurea, al momento del nostro giuramento. Ricordando don Milani, l’obbedienza non è più una virtù.


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